Omosessuali in Marocco, tra rassegnazione e ottimismo
Articolo di Bruno Daroux tratto da Radio France Internationale, traduzione di Erica
In Francia il «Gay Pride», la marcia dell’orgoglio omosessuale, riunisce più di 500.000 persone e ogni anno denuncia “l’omofobia” presente nella società francese. Ma invece come si vive da omosessuali in un paese mussulmano come il Marocco, dove l'omosessualità è severamente condannata per legge? Ce lo raccontano Khalid e Hakim, due gay marocchini, insieme alle loro speranze e difficoltà quotidiane.
Come in tutti i paesi di tradizione mussulmana, l’omosessualità è severamente condannata in Marocco. Almeno ufficialmente. La legislazione prevede da sei mesi a tre anni di carcere per tutte le persone di comprovata “devianza sessuale”, come si dice in Marocco.
Khalid, un funzionario di 45 anni, si definisce come un “omosessuale di carne, di sangue e di spirito". Proveniente da una famiglia modesta che vive nella zona rurale vicino alla città di Oujda, alla frontiera con l’Algeria, racconta l’impossibilità di esprimere e di vivere la sua differenza in un tale contesto: ”In una famiglia come la mia, avere un figlio omosessuale, è la vergogna assoluta”.
A 19 anni, Khalid decide quindi di partire per la Francia. A Parigi, agli inizi degli anni 80, scopre un’altro modo di parlare di omosessualità e sopratutto di viverla. “Era l’inizio della liberazione omosessuale da voi”.
Primi incontri, prime storie d’amore con un francese più vecchio. Poi l’insediamento a Marsiglia. E i contatti in una associazione con degli altri gay marocchini. “Una vera rivelazione per me. In Marocco, la cappa di piombo era così pesante che pensavo il mio caso fosse unico. Là ho visto quanto potevo essere arabo e omosessuale. Ero pronto a rientrare al paese”.
Ma non in un posto qualunque. Khalid decide di andare a vivere a Casablanca, ”in una grande città, lontano dalla mia famiglia”. Adesso, vive in un quartiere popolare della metropoli: ”Per uscirne, bisogna farsi rispettare. Non provocare, ma nemmeno nascondere la propria omosessualità. quando incrocio i giovani del quartiere in bande, sento i commenti non molto eleganti su di me. Dico buon giorno e faccio la mia strada con l’aria di non aver sentito niente. Ma con quei giovani, se li incrocio quando sono soli, cambia tutto: sono molto educati con me, molto gentili. Alcuni mi fanno perfino capire che vorrebbero avere una piccola avventura…”
In un caffè discreto in centro, Hakim, trent’ anni, spiega che: "nella cultura araba, l’omosessuale non è definito come tale. Quello che è riprovevole, è che un uomo adotti il comportamento di una donna, chiaramente quando è passivo…Non c’è dunque un identità sessuale così determinata come nella vostra cultura tra gli omosessuali, i bisessuali, gli eterosessuali.
Da noi non funziona così. La gente ha prima di tutto delle pratiche sessuali. Degli uomini vanno a letto con degli altri uomini e basta. Questo non vuol dire che si ritengano omosessuali. Spesso i rapporti mercenari tra un uomo maturo e un giovane permettono di vivere il rapporto senza troppi sensi di colpa. Questi rapporti monetizzati sono ancora molto frequenti, compreso fra marocchini, non solamente con degli stranieri…”
Tutto il tempo sulla difensiva
Originario di Casablanca, Hakim si ritiene piuttosto ben organizzato. Nella più grande città marocchina (Casablanca ha 4 milioni di abitanti), la più sviluppata economicamente ed occidentalizzata, lì è possibile vivere la propria omosessualità… A condizione di rimanere molto discreti.
“Non ci sono luoghi d’incontro per gay e ancora meno per lesbiche come si possono trovare negli Stati Uniti o in Francia. Ma sappiamo molto bene dove ritrovarci, in certi ristoranti,bar,locali,lungo il mare…Tutto è nell’ambiguità, nel non detto…E poi, ci sono anche i parchi pubblici, certi grandi viali, che diventano dei luoghi d’abbordaggio al calar della notte…”.
Dei luoghi che non sono esenti da ogni pericolo…da parte della polizia: "Si deve sempre stare attenti, racconta Khalid. Regolarmente i poliziotti fanno delle retate, soprattutto quando si tratta di ‘ripulire’ la città per un congresso o per la visita a Casablanca di una personalità importante. Senza parlare dell’assillo molto frequente. Uno ne esce spesso con molto sangue freddo e un piccolo backshish (mancia ndt)…”
“In Marocco, spiega Hakim,tutto quello che concerne l’omosessualità è ufficialmente proibito. Ma di fatto, tutto è possibile. Si deve stare attenti, è tutto. E poi le cose cominciano a muoversi con le nuove generazioni. Certi giovani di 20 anni osano farsi notare apertamente…”.
Ecco perché né Khalid, né Hakim non progettano di lasciare i loro paesi : "Ho vissuto molti anni in Francia. Non tornerei là per vivere la mia omosessualità, come fanno molti giovani. Conosco i due paesi.
Certo essere omosessuale in Marocco è più difficile da gestire, più difficile da vivere, specialmente se si vuole avere una relazione stabile e visibile. Ma so anche che vivo in uno dei paesi arabo-mussulmani più tolleranti nei confronti dell’omosessualità. Infatti da noi è una lunga tradizione. Da voi le cose sono più avanti. Ma non sono tutte rose neppure per i gay francesi”.
Con un sorriso, Hakim aggiunge: "Il tema del Gay Pride a Parigi quest’anno, è l’omofobia, vero?”.
Articolo originale (sito esterno)
Les homosexuels entre résignation et optimisme