Omosessualità e chiesa cattolica. Uno sguardo oltre la paura
Riflessioni di Domenico Pezzini tratte da Viator n. 7-8 del luglio 2008
In tempi di imperversante cultura (!) mediatica è probabile che il termine omosessualità evochi le pittoresche sfilate del Gay Pride o qualche tipo bizzarro che viene ogni tanto infilato in certi programmi televisivi per fare colore.
Sarebbe invece da augurarsi che fossero sempre più coloro che si ponessero davanti al tema ricordando che sotto questa categoria vengono radunate, un po’ alla rinfusa per il vero, delle persone, che come tali hanno una loro singolarità, una loro affettività, e un bisogno, uguale a quello di tutti gli altri, di condurre una vita che abbia senso e che sia fonte di gioia.
Per fare questo passaggio niente è tanto utile quanto l’incontro concreto, aperto e simpatico, con chi si trova a vivere questa realtà. Ma possono servire anche letture serie che affrontano il tema possibilmente da più angolature. Un’occasione del genere è offerta da un numero della rivista teologica “Concilium”, che, per cominciare, parla di omosessualità al plurale.
Partiamo pure da qui, perché, anche se per qualcuno potrà sembrare una sorpresa, quando si affronta un tema complesso come questo il primo passo da fare è, appunto, riconoscerne la complessità e abbandonare l’istinto a ridurre il tutto sotto etichette riassuntive tanto facili quanto inutili.
C’è in effetti in giro una paccottiglia di idee sul tema che sono ben note: l’immaturità psico-affettiva, la madre dominante, l’istinto alla perversione, magari pedofilo, la possibilità di una ‘terapia riparativa’, la condanna morale senza appello, ecc. Simili ideologismi di solito ne producono altri che sono uguali e contrari. Così non se ne esce.
Basterebbe anche solo ricordare che il “Catechismo della Chiesa Cattolica” parla in proposito di “forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture”, la cui “genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile” (n. 2357).
Il numero di Concilium raccoglie una serie di saggi disparati, dove la morale si confronta in modo salutare anche con le scienze umane per evitare di cadere in slogan che, passando accanto al vissuto delle persone, sono di scarso aiuto. Volendo raccogliere il senso di tutto, a partire dalla versione “plurale” del titolo, diciamo che due sono i punti maggiori.
Il primo chiede che la realtà dell’omosessualità sia “decolonizzata”, sia cioè fatta uscire da quella forma di violenza che è l’invenzione di “categorie” basate su presunte classificazioni “chiare”, condanne morali e identità rigide.
Il secondo è, di riflesso, l’invito a ricordare che nella frase “persona omosessuale”, già di per sé una conquista, il sostantivo è “persona”, mentre “omosessuale” rimane pur sempre un aggettivo, che dunque non può pretendere di esaurire in una “identità” onnicomprensiva una realtà che rimane irriducibilmente complessa.
Con questo non si intende dire che l’aggettivo possa essere rimosso o cambiato a piacere, ma che rimane “un” aspetto della persona, e se talvolta si parla di “identità omosessuale” questo dovrebbe indicare primariamente proprio la rilevanza dell’aggettivo senza il quale la persona in questione si sentirebbe non compresa integralmente.
I saggi contenuti nella rivista sono di vario peso. Segnalo come rilevanti quello di N. Eck sul desiderio («La storia mostra come la violenza contro il desiderio non incomincia con la valutazione, bensì già con l’invenzione delle categorie»), quello di J. Clague sui valori morali dell’Europa, con invito ad accogliere il positivo che possono offrire le testimonianze delle coppie omosessuali, e infine e soprattutto quello di E. Borgman che riprende in esame il concetto di “legge naturale” da intendere non come la fotografia di qualcosa di “fisso”, ma da leggere in prospettiva aristotelico-tomistica, secondo cui “l’aspetto più importante della natura è che essa possiede una direzionalità”, da scoprire, naturalmente.
Il fascicolo contiene anche un “forum” che riprende alcuni problemi sollevati dall’enciclica “Humanae Vitae”. La morale sessuale è, si sa, un campo minato. La paura spinge a ignorare i problemi. Forse però è più saggio provare, con una buona guida, a esplorare il territorio.
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