Omosessualità e Cristianesimo. Tra biologia e cultura
Relazione tenuta dal teologo Benjamin Forcano* al IV Incontro nazionale su “Cristianesimo e omosessualità” tenutosi a Valencia (Spagna) dal 12 al 14 ottobre 2001, traduzione di Dino M.
Non c’è dubbio che l’omosessualità sia un fatto che compare in ogni popolo e cultura. Ma d’altra parte l’omosessualità è stata percepita in molte culture come un fatto negativo:
“Nelle culture attualmente vive ci sono molte società che approvano una qualche forma di omosessualità. In queste società le relazioni omosessuali sono connotate in modo standardizzato e pertanto sono accettate socialmente. In alcune società l’omosessualità è normale allo stesso modo che nella cultura occidentale può esserlo la scelta del coniuge da parte del diretto interessato e non da parte dei genitori…
In Spagna e in molte società occidentali il comportamento omosessuale viene disapprovato, e ci sono anche delle leggi che lo proibiscono. Le sanzioni sociali e culturali sono molto dure con gli omosessuali, anche il semplice sospetto può essere preso come un insulto. Malgrado ciò sembra che l’omosessualità vada aumentando, o per lo meno il fenomeno dell’uscita dalla clandestinità e la visibilità per strada delle coppie” (Pablo Laso, “Antropologia culturale e omosessualità”, in Omosessualità, scienza e coscienza, pp. 43-44, 1981).
Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad un cambiamento molto forte nel modo di rapportarsi all’omosessualità e al modo di valutarla.
Questa nuova posizione sta indicando varie cose: in primo luogo che l’omosessualità non è una cosa tanto innaturale come si credeva, poichè il cambiamento da come si è sarebbe artificioso o addirittura impossibile e non sarebbe nemmeno un progresso lecito; in secondo luogo che la sua emarginazione e la sua repressione sono state provocate da una errata o scarsa conoscenza della sessualità umana; e in terzo luogo che la nuova cultura, dopo l’apporto multidimensionale delle scienze, è in condizione di sgomberare una serie di pregiudizi in base ai quali l’omosessualità era qualificata come tara, malattia, deviazione, perversione, “crimen pessimum”.
1°) La persona come essere culturale
Si tratta di tutto un processo storico-culturale in cui agiscono fattori che hanno contribuito a modificare posizioni che da secoli erano immutabili. Tutto è talmente semplice, come si vede da quanto segue: la persona è un essere che si realizza, che dipende da un ambiente socioculturale che la plasma e dal quale assume delle regole di comportamento. In questo senso la società viene prima dell’individuo ed esercita un ruolo predominante nella configurazione della sua personalità. Nessuno, pur ritenuto un genio, può evitare questa mediazione socioculturale.
Benchè sia peraltro certo che la persona, man mano che consolida la sua autonomia, possa ritornare su quanto ha ricevuto per metterlo in discussione e rinnovarlo.
D’altra parte tutta la società ha bisogno di fissare un determinato modello culturale a cui riferirsi e da cui essere guidata. L’incapacità di applicare questo concetto agirebbe come una paralisi o uno sconcerto della società.
Tuttavia i modelli culturali, non perchè siano necessari, sono rigidamente definiti. La legge del progresso è intrinseca all’essere umano, per il fatto che esso è libero è dotato di ragione, ed è quella che spiega la sua evoluzione storica. Gli animali non hanno storia, sono unità chiuse.
Se le cose stanno così, allora si deve considerare come sia difficile presentare un modello culturale che possa essere considerato come stabilmente definito. Noi siamo dipendenti, riceviamo e creiamo delle regole, ma nello stesso tempo siamo liberi, apportiamo e creiamo nuove norme.
La vita ci costruisce e noi la costruiamo; siamo attaccati alla vita ma non per tutta la vita; noi ereditiamo la storia ma anche ne siamo gli artefici.
Sarebbe pretestuoso quindi pensare che in una questione tanto ricca di implicazioni anche trascendentali com’è la sessualità, le norme siano puramente naturali e, di conseguenza, sempre uniformi ed immutabili. La vita umana non è così.
2°) Bisessualità e plasticità della sessualità umana
Sono convinto che la propensione a giudicare l’omosessualità come un fatto di pura indole o di semplice espressione della volontà, sia conseguenza di un atteggiamento antiscientifico, che agisca più per inerzia e automatismo che per riflessione e responsabilità.
Essere omosessuale non dipende dal fatto di volerlo o meno. L’omosessualità è una variante sessuale che emerge nel processo evolutivo della persona, e partendo da essa si deve procedere per condurre a buon fine la propria realizzazione.
Sarebbe eccessivamente semplice se ciò che è umano fosse realmente come noi molte volte immaginiamo. La sessualità non è un mondo bipolare, assolutamente contrapposto, che dà origine a due soli tipi di generi ben distinti: il maschile e il femminile.
La maschilità e la femminilità pure non esistono. Esistono invece persone che, all’interno della loro predominante forma maschile o femminile, conservano anche elementi e contenuti del genere opposto, proprio perchè il mondo umano, fin dal suo inizio, è un mondo determinato soltanto parzialmente dai cromosomi, e successivamente è definito da fattori ormonali ed anche da fattori educativi e culturali.
Un mondo complesso, in cui l’originaria e frammentaria attuazione della natura biologica dev’essere accompagnata dall’attuazione della natura educativa e culturale.
Questo processo poliedrico, dialettico, è ciò che costituisce il carattere essenzialmente plastico della sessualità umana e che spiega come nel suo sviluppo siano possibili forme molto meno differenziate, anche se si evidenziano come principali quella completamente maschile e quella femminile, con le loro rispettive esigenze di complementarietà.
“Il fatto di dimenticare questo dato della bisessualità insita in ogni essere umano ci porta a posizioni semplicistiche e tranquillizzanti per chi le sostiene, ma costrette a condannare come “contro natura” qualsiasi omosessuale che rende evidente l’infinita complicazione della realtà sessuale umana. E inoltre la pratica clinica, anche senza prendere posizioni di tipo psicanalitico, sospetta fortemente di tutti coloro che gridano vendetta e lanciano anatemi sugli omosessuali, mostrano comportamenti maschilisti o si vantano della loro virilità. Da cosa nasce questa imperante necessità di stabilire limiti precisi? Non sarà per caso dovuta al fatto che queste due realtà non vengono percepite come ben distinte dentro loro stessi?” (Pablo Lasso, “Psicologia e omosessualità, p. 63).
Questa coesistenza dialettica di fattori nel processo della sessualità provoca il problema dell’identità e dell’identificazione sessuale e fa sì che essa si presenti ad ogni persona come un compito rischioso. Ma questo non nega il fatto che
“Quasi tutti noi esseri umani nasciamo e ci evolviamo connotati decisamente verso uno dei sessi, ma questo non impedisce che qualcuno, sia per l’aspetto biologico che per quello psichico, sia più indeterminato e che pertanto si giochi in lui più crudamente e addirittura tragicamente la grande avventura del dare una forma concreta alla massa plastica della sessualità” (Idem. p. 64).
Il mio approccio all’argomento
Ho sempre sostenuto che non si possa comprendere in modo corretto un problema se non lo si affronta con un atteggiamento empatico ed aperto alla mediazione. E ancor più se si tratta di un problema che riguarda esseri umani concreti, con vari gradi di sofferenza. L’autore svedese Elmer Dictonius diceva: “Gli uomini odiano ciò che non capiscono, e ciò che odiano non potranno mai capirlo, poichè la comprensione passa attraverso l’amore“.
Ricordo ancora lo stupore e la collera che mi presero per il caso di quella donna disperata e piangente che mi confidava di essere andata a confessarsi, riguardo alla sua realtà di convivenza lesbica, e il sacerdote le sentenziò che per il fatto che lei si trovasse in peccato mortale non poteva concederle l’assoluzione, a meno che non rinunciasse a questa situazione.
“Chi è in peccato mortale – mi affrettai a dirle – è lui“. Lui, per il fatto che amministra indegnamente un sacramento fatto per concedere la comprensione, l’amore e il perdono del Vangelo e non è una fredda legge, frutto piuttosto dell’ignoranza e della crudeltà.
E’ necessario smettere di fare domande dirette, il che significa entrare in contatto con colui che soffre in prima persona il problema. Questo entrare in contatto, in vicinanza umana, con gli omosessuali è la chiave per la soluzione del problema, poichè soltanto questo contatto risveglia la comunanza, la comprensione e l’impegno per aiutare a superare situazioni umanamente insostenibili.
Ma in questo caso la distanza culturale si è trasformata in rifiuto e si è fatta enorme nel tempo e nello spazio. Per come è concepito, il sistema ci impedisce una visione individuale, una valutazione personale. A questo proposito E. Drewermann scrive:
“La Chiesa Cattolica è stata l’unica istituzione dell’occidente che ha osato imporre ai suoi adepti un modo di pensare che prescinde assolutamente da ciò che pensa il soggetto, ma che il soggetto stesso deve far proprio, che lo condivida o no, per raggiungere la sua “salvezza qui e nell’eternità” (Ecclesiastici, Trolla, 1989, p. 443).
Soltanto quando l’esperienza della sofferenza altrui ci tocca l’anima e trova in noi un terreno fertile di libertà e coraggio, si può cominciare a interrogarci, ad esigere cambiamenti, a educare e convivere in un’altra maniera.
Qualsiasi persona segnata dalla sofferenza deve essere per noi di incitamento ad agire, prima ancora che a pensare. E come sono convinto che Dio non vuole la sofferenza di nessuna sua creatura, così è stato attraverso la sofferenza che mi sono interessato a studiare il problema.
Io conosco bene ciò che significa questo, applicato nell’ambito della Chiesa Cattolica, nella quale il semplice concetto di “omosessuali cristiani” provoca una specie di incompatibilità istintiva.
Come cristiano e come teologo, trovo gratificante trovarmi in accordo con un teologo del calibro di E. Schillebeekx quando scrive:
“Col passare del tempo ho imparato per mia esperienza che se da un lato la religione è il bene più grande dell’uomo e per l’uomo, dall’altro molte volte è anche completamente strumentalizzata per umiliare e perfino per torturare l’uomo (nel corpo e nello spirito).
Per questo fatto, soprattutto negli ultimi anni, la mia riflessione teologica ha preferito difendere l’essere umano, uomo e donna, contro le disumane imposizioni della religione, più che difendere questa dalle nostre esigenze illusorie di uomini peccatori, quali siamo tutti” (Sono un teologo felice, Sociedad de Educacion de Atenas, Madrid 1994, p. 124).
Il mio approccio all’argomento
1°) L’omosessualità non è un semplice dato di natura biologica.
Certamente, nel trattare l’omosessualità, entrano in gioco diversi punti di vista. A ben considerare, essi si possono ridurre a dua fondamentali: quello tradizionale e quello evolutivo. Il primo si limiterebbe a riportare la concezione ufficiale; e il secondo invece cercherebbe di mettersi al passo con i progressi della scienza.
Se l’omosessualità fosse una questione di legge naturale, così come la si è intesa in determinati momenti della storia, è chiaro che l’omosessualità sarebbe un fenomeno praticamente immutabile dal punto di vista etico, sottomesso a norme etiche immutabili.
Ma è chiaro che la sessualità umana non può adattarsi alla rigidità della natura animale o di una natura biofisica inalterabile. Il fatto di essere riferito ad una persona, che sta alla base della sessualità umana, la distanzia allo stesso modo sia da una biologia cieca, sia da una spiritualità smaterializzata.
La persona è quello che è, senza paragoni, e coordina la sua doppia dimensione, psichica e somatica, come due sottosistemi nei quali essa vive contemporaneamente.
E’ quindi necessario superare l’approccio dualistico che semplifica eccessivamente la realtà umana e, per lo stesso motivo la rende inutilmente spezzata in due parti tra loro in antagonismo.
2°) L’omosessualità soggetta ad un’evoluzione culturale
Questo è il secondo punto. Sappiamo che, riguardo a molti argomenti, abbiamo mantenuto per molto tempo un atteggiamento mentale immodificabile.
Proprio perchè l’omosessualità appartiene al mondo della sessualità umana e poichè abbiamo scoperto che questo è un mondo complesso, ancora inesplorato, abbiamo potuto stabilire progressivamente che molte delle nostre idee e regole riguardo a questa realtà erano insufficienti, scarse, se non addirittura sbagliate.
La conoscenza ci ha aperto la porta, ci ha fatto togliere di mezzo pregiudizi e timori, a molti tabù, ed abbiamo potuto modificare atteggiamenti e sentimenti ed avanzare verso rapporti di convivenza più aperti, più sereni e più umanizzanti. L’omosessualità è sempre quella, ma sono cambiate la nostra comprensione e la nostra valutazione nei suoi riguardi.
Senza dare un giudizio precipitoso dell’omosessualità, è chiaro che l’atteggiamento che si adotta nei suoi confronti, positivo o negativo, sarà dipendente dalla cultura. A una cultura sessuofobica e omofobica faranno seguito atteggiamenti omofobici. E’ dunque la cultura che, partendo da nuove conoscenze, assicura la modificazione della persona e promuove l’evoluzione della società.
La cultura è la matrice della personalità morale dell’individuo. In lei si sviluppa il progresso o l’involuzione, l’apertura o l’intolleranza, l’odio o l’amore. Dimmi come pensi e ti dirò come vivi. O al contrario, ma in ogni caso, nel modo di vivere si nasconde un contenuto ideologico. L’agire consegue all’essere e il comportarsi al conoscere.
3°) La fede cristiana non si identifica con nessun modello culturale.
Credo che qui abbiamo una buona chiave per la comprensione del problema. Il cristianesimo è universale, ma nello stesso tempo è specifico e deve cercare come concretizzarsi in ciascun luogo e momento della storia. “Senza concretizzazione non c’è salvezza“. Ma questa concretizzazione è dipendente dalle realtà contingenti e non può circoscriversi ai limiti precisi di un tempo, spazio, cultura o popolo.
Fece bene il cristianesimo ad intavolare un dialogo con la cultura greca, romana, ecc. utilizzando i concetti filosofici, antropologici o cosmologici propri di allora. In quel momento filosofi ed etici si riferivano alla natura umana attribuendole un significato ben preciso.
Ma il significato di natura fu modificato ed arricchito successivamente partendo da altre prospettive. L’errore è stato nel fatto che, malgrado questi contributi, la Chiesa si è fissata sull’interpretazione data dalla patristica e dalla scolastica ed ha cercato di sancirla come tramite obbligato per la trasmissione del messaggio biblico.
Allora, quando si tratta di affermare una verità come patrimonio della rivelazione cristiana, molte volte si confonde quello che è il contenuto essenziale della rivelazione con il modo di esposizione che della stessa è stato fatto in un’epoca determinata e si cerca indebitamente di presentarla e di mantenerla come definitiva.
Non devo professare come elementi della mia fede degli elementi culturali (filosofici, antropologici, cosmologici) propri del sistema di Platone, Aristotele, Sant’Agostino, ecc.
Una cosa sono le teorie filosofiche dei filosofi dell’antichità e un’altra la Buona Novella del Vangelo, anche se per annunciare questo Vangelo si devono utilizzare i concetti più validi e significativi di quel tempo. Ma questi concetti cambiano e col tempo sono stati arricchiti ed è logico il ricambio di uno con un altro, quando c’è motivo di farlo.
In quest’ottica capita di chiedersi: La Chiesa ha l’autorità per dare pareri su questioni di cui il Vangelo dice poco o niente e sulle quali si può fare chiarezza soltanto per mezzo della scienza?
Che dire riguardo a questioni umane importanti, quando la rivelazione cristiana non dice niente in modo esplicito? Il caso dell’omosessualità è competenza di un insegnamento specifico della Chiesa? Allo stesso modo di altri teologi, anch’io penso di no:
“Per quanto riguarda l’omosessualità non esiste un’etica cristiana. Si tratta di un problema umano che deve essere risolto in modo umano. Non ci sono norme specificatamente cristiane per giudicare l’omosessualità. I vescovi americani di recente hanno protestato per la lettera del cardinale Ratzinger riguardante l’omosessualità (all’epoca dell’articolo, Ratzinger era ancora cardinale – ndr). Va contro le nuove acquisizioni della scienza.
Ci sono omosessuali per natura. Chi può dire? Non c’è nessun “consenso” sull’argomento, ma dire che la discriminazione nella vita sociale è un fatto eticamente permesso, questo no; questo va contro il cristianesimo.
Far ricorso alla Bibbia per condannare l’omosessualità non è giusto. Capisco che è necessario riflettere ed essere cauti, ma non sono cristiane nè la condanna, nè la discriminazione. Queste persone soffrono” (E. Schillebeekx, idem, pp. 109-110).
4°) Dal confronto fede-scienza al dialogo.
Quello che ho appena detto dimostra che nel campo della conoscenza dell’essere umano ci portiamo dietro una diffidenza se non addirittura una contraddizione. E’ comprensibile che Galileo si sia scontrato con l’autorità di Roma, dato che anche questa interpretava la Bibbia in modo letterale e, secondo lei, la parola della Bibbia era la parola di Dio. Ma già oggi questo problema è risolto poichè sappiamo che il linguaggio della Bibbia molte volte è mitico, simbolico, prescientifico, e non c’è motivo di prenderlo alla lettera.
Oppure il problema era forse posto in modo non corretto: il fatto che la Bibbia sia parola di Dio, non vieta che sia anche parola di uomo, e che quindi debba essere analizzata in un contesto storico secondo il livello scientifico di allora. La Bibbia non è mai stata un trattato scientifico riguardo alla biologia, la psicologia, la sessuologia, l’antropologia, ecc. E per questo non è corretto cercare in essa risposte a questioni che sono proprie della scienza.
Ma neppure la scienza può dichiararsi depositaria assoluta della conoscenza – come è avvenuto con la scienza strumentale, positiva e razionale dell’epoca moderna – ma essa deve rispettare il campo a lei inaccessibile del sovraempirico, e che riguarda in genere la filosofia, la religione, la mistica, ecc.
La realtà umana è oggetto di indagine da parte dell’intero sapere umano, e questo è possibile, necessario e fruttuoso solo quando viene rispettata la differenza di ogni disciplina e le si coordina in un unico insieme.
* Benjamín Forcano è stato direttore della rivista “Misión Abierta” per tredici anni, e dirige la casa editrice cattilca nuova utopia ed è membro dell’Associazione dei teologi Giovanni XXIII. Laureato in Teologia presso l’Università di San tommaso d’Aquino di Roma e si è specializzato in teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma, ha esercitato la sua formazione in diversi centri di Roma, Madrid, Salamanca, Bogotá, L’Avana, etc. Ha al suo attivo numerose conferenze e articoli e libri.
Articolo originale: Homosexualidad y cristianismo. La homosexualidad entre la biologia y la cultura