Padre James Martin: “perché i cattolici dovrebbero accogliere le persone LGBTQ?”
Articolo di padre James Martin SJ* pubblicato sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 2 agosto 2021, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Perché i cattolici dovrebbero accogliere le persone LGBTQ (Lesbiche, Gay, Bisex, Trans e Queer) cattoliche e le persone LGBTQ in generale? Dovremmo farlo non solo perché sono cattolici (le persone LGBTQ cattoliche fanno parte del Corpo di Cristo), ma perché noi stessi siamo cattolici. Essere cattolici e cristiani vuol dire anche stare dalla parte di coloro che sono rifiutati, esclusi ed emarginati, come Gesù stesso scelse di fare; vuol dire “camminare con gli esclusi”, come diciamo noi gesuiti, e nella nostra Chiesa le persone LGBTQ sono tra le categorie più escluse.
Non saprei dirvi quante persone LGBTQ cattoliche mi hanno riportato commenti omofobi pieni di odio pronunciati da sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, responsabili laici, vescovi, insegnanti di religione e di altre materie, e tutti costoro pretendevano di parlare a nome della Chiesa. Quasi tutti i giorni, attraverso i social, ricevo messaggi del tipo “Dove andrò, adesso che il mio parroco mi ha trattato così?”, “Cosa devo dire al preside di mia figlia, dopo quello che ha detto?”, o “Come posso rimanere nella Chiesa, dopo aver sentito una simile omelia?”.
Una donna mi ha raccontato che, dopo aver detto a un sacerdote di essere lesbica, costui le ha risposto che, fin dal giorno della sua ordinazione, ha sempre pregato di non incontrare mai una persona omosessuale. In certe parrocchie è del tutto normale sentire omelie in cui si afferma che la “agenda” LGBTQ è satanica, che le persone LGBTQ sono il demonio e che il matrimonio omosessuale è paragonabile all’aborto.
Secondo uno studio del 2016 i messaggi negativi a proposito delle questioni LGBTQ sono una delle ragioni principali per cui si abbandona la Chiesa, in misura maggiore rispetto alle altre religioni. Sostiene lo studio, tracciando un confronto tra gli ex cattolici e il resto degli Americani che hanno abbandonato la religione della loro infanzia: “Chi è stato allevato in una famiglia cattolica ha più probabilità, rispetto a chi è stato allevato in un’altra religione, di porre, come ragione primaria per la quale ha abbandonato la Chiesa, i comportamenti negativi verso gay e lesbiche (rispettivamente il 39% e il 29%) e gli abusi sessuali da parte del clero (rispettivamente il 32% e il 19%)”.
Alcune statistiche presentate dal gruppo LGBTQ cattolico DignityUSA possono aiutarci ancora meglio a capire. DignityUSA ha intervistato in maniera informale alcune persone (non solo LGBTQ) che hanno abbandonato la Chiesa, chiedendo “La dottrina cattolica sull’omosessualità ha a che fare con il fatto che hai abbandonato la Chiesa?”: il 55% ha affermato di sì.
Alle persone LGBTQ che non si considerano più cattoliche è stato chiesto “Il fatto che sei LGBTQ+ è la ragione principale per cui hai abbandonato la Chiesa?”: il 64% ha affermato di sì.
Alle persone LGBTQ è stato chiesto “Ti sei mai sentit* a disagio, o direttamente discriminat*, in una parrocchia o in ambienti cattolici?”: il 72% ha affermato di sì.
Già solo tali statistiche dovrebbero bastare per farci desiderare una metanoia, ovvero un cambiamento di mente e di cuore, e per chiederci come mai la nostra Chiesa è un luogo che non solo non accoglie le persone LGBTQ, ma anche un luogo che le caccia.
Ma i pregiudizi contro le persone LGBTQ, in particolare giovani, non è solo una questione di gente che se ne va dalla Chiesa: è un’autentica questione di vita o di morte. Molti cattolici benintenzionati non conoscono i fatti, perciò è bene rammentarli. Ci riferiamo a uno studio del 2020 condotto dal Trevor Project, un’associazione che opera nella prevenzione del suicidio tra i giovani LGBTQ. Lo studio stabilisce che il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani, e che ha un impatto enorme tra i giovani LGBTQ.
Secondo uno studio del 2015, pubblicato dal Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, e condotto su studenti liceali, il 29% degli individui gay, lesbiche e bisessuali avevano tentato il suicidio l’anno precedente; la percentuale tra gli studenti in generale era del 9%. (Poiché i dati sull’incidenza del suicidio tra gli individui LGBTQ non sono molti, l’Alleanza Nazionale per la Prevenzione del Suicidio auspica la raccolta di una maggiore mole di dati, anche “attraverso domande valide e corrette sull’orientamento sessuale e l’identità di genere a livello nazionale”.)
L’indagine nazionale del 2020 del Trevor Project riporta l’esperienza di più di 40.000 giovani LGBTQ statunitensi dai 13 ai 24 anni, ed è la più vasta indagine mai condotta sulla salute mentale dei giovani LGBTQ. Tale indagine è un monito per i cattolici e la Chiesa sui seri effetti del linguaggio stigmatizzante sui giovani. Forse rimarrete sorpresi di fronte ad alcune di queste scoperte, ma sono dati che vanno affrontati.
Il 40% degli intervistati LGBTQ ha riferito di aver seriamente pensato al suicidio nei dodici mesi precedenti.
Il 48% dei giovani LGBTQ ha riferito di episodi di autolesionismo nei dodici mesi precedenti.
Il 46% dei giovani LGBTQ ha riferito di aver desiderato ricevere aiuto psicologico ed emotivo da parte di professionisti nei dodici mesi precedenti, ma di non aver potuto accedervi.
Il 10% dei giovani LGBTQ ha riferito di essere stato sottoposto a terapie riparative, di cui il 78% prima di compiere diciotto anni. Le terapie riparative o di conversione, che procurano immensi danni mentali, emotivi, spirituali e persino, a volte, fisici, sono tutt’ora attivamente promosse in diversi ambienti cattolici.
Un giovane LGBTQ su tre ha riferito di essere stato fisicamente minacciato o danneggiato, durante la sua vita, per il fatto di essere LGBTQ. Il 29% dei giovani LGBTQ ha riferito di aver dormito per strada, di essere stato cacciato di casa o di aver dovuto fuggirne.
Molti attivisti che si occupano di giovani LGBTQ sostengono che una principali cause per cui molti di essi vivono in strada è il rifiuto da parte delle loro famiglie per motivi religiosi; dobbiamo quindi essere consapevoli degli effetti del linguaggio stigmatizzante, soprattutto di quello religioso, perché è una questione di vita o di morte.
Il Trevor Project dà un segno di speranza affermando che i giovani LGBTQ che non sentono i loro genitori dare giudizi religiosi negativi sull’identità LGBTQ hanno molte meno probabilità di tentare il suicidio, a prescindere dall’importanza che ha per loro la religione. Il 51% dei giovani ha riferito appunto di non aver sentito i loro genitori dare giudizi religiosi negativi sull’identità LGBTQ (e ha una probabilità di tentare il suicidio ridotta della metà).
Ecco poi qualcosa di ancora più positivo. I giovani LGBTQ che hanno almeno un adulto che li accetta hanno il 40% in meno di probabilità di tentare il suicidio. L’adulto può essere un sacerdote, un diacono, un responsabile laico, un insegnante, un addetto alla mensa della scuola, un parrocchiano… Non è necessario sia un genitore, anche se sarebbe meglio.
E se queste statistiche fossero la voce di Dio che ci invita a essere quell’adulto di cui può aver bisogno un ragazzo o una ragazza LGBTQ? E se queste statistiche invitassero la Chiesa a rappresentare quella forza positiva?
Ora, guardiamo alle persone LGBTQ in generale, anche agli adulti, quindi: hanno una probabilità quattro volte maggiore, rispetto alle persone non LGBTQ, a “subire violenze, stupri, aggressioni di ogni genere”, secondo uno studio della facoltà di giurisprudenza dell’Università della California a Los Angeles. Nel 2019, secondo l’FBI, un crimine d’odio su cinque era motivato dai pregiudizi anti-LGBTQ.
Oltretutto, sempre secondo l’Università della California a Los Angeles, su (approssimativamente) 11,3 milioni di adulti LGBTQ negli Stati Uniti, circa 1,3 milioni sono cattolici, il 24,8% degli adulti LGBTQ che seguono una religione: queste persone sono membri del Corpo di Cristo, sentono quello che diciamo e vedono quello che facciamo.
Se guardiamo al fenomeno in un’ottica internazionale, c’è davvero di che allarmarsi: in molti Paesi la Chiesa potrebbe essere, se lo volesse, una voce potente a favore delle persone LGBTQ (spesso fisicamente minacciate), per proteggerle e amarle nel nome della misericordia e della compassione.
Molti Paesi sono potenzialmente pericolosi per le persone LGBTQ, a causa delle leggi discriminatorie e delle minacce di violenze: tra questi, i Paesi in cui la religione dominante è l’Islam, molti Paesi africani e asiatici e alcuni ex comunisti, come la Polonia con le sue “zone libere da persone LGBT”.
In più di settanta Paesi il semplice fatto di essere LGBTQ è perseguito penalmente, e in moltissimi altri è culturalmente accettabile picchiare e maltrattare le persone LGBTQ. In molti Paesi, se si è omosessuali o se si ha una relazione omosessuale si può essere picchiati, arrestati, messi in carcere e perfino giustiziati; in quei luoghi, proteggere le persone LGBTQ significa schierarsi per la vita. Dov’è la Chiesa in questi Paesi? Purtroppo, in alcuni di essi la Chiesa si è schierata a fianco di regimi oppressivi. Un vescovo dell’Europa dell’Est ha definito le persone LGBTQ “peste arcobaleno”.
Tali fatti forse sono scioccanti per i cattolici, ma non devono indurci allo sconforto o alla disperazione, perché sono sentimenti che non vengono da Dio. Allora, come dobbiamo reagire a queste terribili statistiche? Come sempre, l’esempio di Gesù (che sempre si è schierato dalla parte di coloro che erano rifiutati, emarginati, isolati, derisi, molestati e abusati) può aiutarci a trovare la via.
Queste statistiche dovrebbero spingerci ad avvicinarci ai nostri fratelli e alle nostre sorelle LGBTQ con quelle stesse “vicinanza, compassione e tenerezza” (per usare le parole di papa Francesco) con cui Dio stesso si avvicina a loro.
* Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato un contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e ha portato una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).
Testo originale: Why should the church reach out to L.G.B.T.Q. people? Some shocking statistics can answer that.