Padre Piva: I cattolici LGBT+ devono essere “liberi di vivere la loro fede”
Riflessioni del gesuita padre Pino Piva pubblicate su Outreach.faith (USA), sito di risorse per i cattolici LGBTQ e i loro familiari, il 16 gennaio 2025, liberamente tradotte da Innocenzo Pontillo
L’anno scorso ho partecipato a un incontro con il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze (ndr ora in pensione), sulla “Pastorale dell’inclusione”, uno sforzo per includere le persone LGBTQ e le loro famiglie nella vita della Chiesa.
All’origine di questa “pastorale dell’inclusione” c’è la prospettiva di Papa Francesco, ben evidenziata nella sua enciclica Evangelii Gaudium: un approccio pastorale inteso come il cammino di una comunità che raccoglie tante diversità, fragilità e difficoltà, verso un ideale comune di pienezza, verso cui tutti camminano, anche se nessuno lo raggiunge pienamente.
Questa visione pastorale si oppone a una pastorale “doganale”, per cui solo coloro che soddisfano i requisiti minimi specificati dalla legge morale possono entrare in un club esclusivo di cattolici.
Esiste una precondizione rispetto a una pastorale di inclusione per le persone omosessuali, che è un dovere di “riconoscimento” della loro specifica dignità, in quanto persone che vivono una condizione – l’orientamento omosessuale – considerata dalla scienza psicologica e sociale come non patologica e non problematica.
Le persone omosessuali sono persone normali e quindi sono cristiani normali.
Per questo motivo, un primo impegno di una “pastorale dell’inclusione”, dell’accoglienza e dell’accompagnamento dovrebbe essere quello che il Catechismo afferma e che “Amoris Laetitia” ribadisce: “ogni persona, indipendentemente dall’orientamento sessuale, deve essere rispettata nella sua dignità e trattata con riguardo, mentre ‘ogni segno di ingiusta discriminazione’ deve essere accuratamente evitato, in particolare ogni forma di aggressione e di violenza” (AL 250).
Da un punto di vista pastorale, ciò significa combattere ogni forma di discriminazione sociale o di omofobia nei confronti delle persone omosessuali. Il Papa lo ha fatto esplicitamente schierandosi contro ogni forma di criminalizzazione delle persone o dei comportamenti omosessuali nelle legislazioni civili, anche se la tendenza non è considerata moralmente corretta, e cercando di rimuovere ogni forma nascosta di discriminazione all’interno della comunità cristiana nei confronti delle persone omosessuali e delle loro famiglie.
Quanti cattolici omosessuali, impegnati nella vita cristiana ordinaria, magari anche con incarichi di ministero, sono attenti a non rivelare il proprio orientamento sessuale? Forse vivono nella piena osservanza delle regole morali, e quindi nella castità, ma vivono comunque con la paura di essere esclusi solo perché omosessuali? E allo stesso modo, quanti genitori con figli omosessuali hanno talvolta la sensazione che gli altri nella comunità cristiana li vedano come cattivi genitori e possano addirittura incolparli per l’orientamento sessuale dei loro figli?
Ecco perché credo che una pastorale di inclusione debba riconoscere alle persone omosessuali la dignità intrinseca di essere cristiani battezzati. Esse hanno quindi il pieno diritto di partecipare attivamente alla vita della comunità cristiana, come tutti gli altri cristiani, senza dover nascondere il proprio orientamento sessuale. Devono essere liberi di vivere la loro fede e il loro amore per la Chiesa anche se si identificano come parte della comunità LGBTQ.
Le persone omosessuali dovrebbero essere libere di vivere la loro fede e il loro amore per la Chiesa anche se si identificano come parte della comunità LGBTQ.
Un’altra questione pastorale che si presenta non di rado è la situazione delle persone omosessuali che scelgono di vivere una relazione stabile di coppia. In passato, i documenti della Chiesa hanno quasi sempre espresso un giudizio negativo e non hanno avanzato alcuna considerazione pastorale se non la necessità di interrompere la relazione.
Nella comunità cattolica, finora, non ci sono mai state molte indicazioni per la cura pastorale delle coppie omosessuali. Al massimo c’è stato un accompagnamento, nell’accoglienza misericordiosa, delle persone omosessuali che non potevano vivere una vita casta. A queste persone veniva e viene consigliato di frequentare i sacramenti per contrastare la tentazione. Ma alle persone con relazioni stabili veniva esplicitamente detto che se volevano vivere un’autentica vita cristiana, dovevano porre fine alle loro relazioni.
Ma negli ultimi anni si sta aprendo uno spazio pastorale anche per le coppie omosessuali, pur senza mettere in discussione la dottrina sul matrimonio cristiano e gli insegnamenti sulla morale sessuale.
Quando nel 2021 il Vaticano ha risposto a un dubium sulla possibilità per le coppie omosessuali di ricevere una benedizione da parte di un sacerdote, le coppie omosessuali sono state incluse in un gruppo che comprendeva tutte le unioni “coniugali” che non sono “matrimonio”, e la risposta è stata: “Non è lecito impartire una benedizione a relazioni o unioni, anche stabili, che comportino attività sessuale al di fuori del matrimonio”.
Si apre uno spazio di impegno pastorale piuttosto ampio per chi offre assistenza pastorale alle persone LGBTQ, in particolare per le famiglie con figli omosessuali e anche per le stesse persone LGBTQ.
Ma nel 2023, con la dichiarazione “Fiducia Supplicans”, la condizione delle coppie omosessuali era stata assimilata a quella “irregolare” delle coppie eterosessuali, come i conviventi o i divorziati in seconda unione. Alle persone che hanno una relazione omosessuale è stata data la possibilità di una benedizione pastorale – non alle loro unioni, ma a una persona che si trova in una coppia.
Ciò significa comunque che per le coppie omosessuali si apre uno spazio pastorale che coincide con quello di altre situazioni matrimoniali irregolari, che Amoris Laetitia prende in considerazione nel capitolo 8.
Si apre uno spazio pastorale di impegno piuttosto ampio per coloro che offrono assistenza pastorale alle persone LGBTQ, soprattutto per le famiglie con figli omosessuali e per le stesse persone LGBTQ. Vediamo in questi sviluppi un impegno a integrare queste situazioni pastorali nella stessa pastorale ordinaria della comunità cristiana, senza mettere in disparte le persone LGBTQ e le loro famiglie.
* Pino Piva è un sacerdote gesuita che svolge il suo ministero presso il Centro di spiritualità ignaziana di Bologna e si occupa anche di accompagnamento spirituale dei cattolici LGBTQ e i loro genitori.
Testo originale: LGBTQ Catholics must be “free to live their faith,” writes Italian Jesuit