Papa Francesco invita al cambiamento, ma il cambiamento siamo noi
Articolo di Joan Chittister pubblicato sul sito cattolico National Catholic Reporter (Stati Uniti) il 10 marzo 2018, libera traduzione di finesettimana.org
C’è stata un’epoca nella mia vita in cui volevo che le cose si facessero e che si facessero immediatamente. Anche adesso desidero che le cose siano fatte subito, ma col passare degli anni ho scoperto che, almeno per quanto riguarda la Chiesa, cercavo l’azione nei luoghi sbagliati. Come dice Sean Freyne, teologo irlandese e specialista delle Scritture: “È un errore pensare che un papa abbia il potere di fare qualsiasi cosa”. Traduzione: il diritto di regnare da autocrate, di prendere misure unilaterali a proposito di qualsiasi cosa, non viene con la mitria e il pastorale. E neppure, del resto, con i mantelli e le croci dei vescovi.
I papi e i vescovi, mi sono resa conto, sono quelli che mantengono la tradizione della Chiesa. Quando cambiano, generalmente lo fanno con un occhio al passato – il punto in cui si trova il territorio canonico sicuro. Solo noi siamo le vere fonti di cambiamento nella Chiesa. È il laico medio, che vive la fede nel suo tempo, a plasmare il futuro. È l’insegnante visionario, è la persona che critica per amore, è il profeta che parla con parresia a far passare la Chiesa da un’epoca a un’altra.
Sono stati coloro che hanno dovuto affrontare la nuova economia a riconoscere che un giusto interesse per gli investimenti era virtù di prudenza piuttosto che peccato di usura. Sono state le vittime di relazioni violente a rendersi conto che il divorzio poteva essere una decisione più ricca d’amore di una situazione familiare devastante. E tuttavia, il modo in cui i papi e i vescovi si muovono, l’ascolto attento a ciò che accade nel mondo, la partecipazione che mostrano, l’amore e la leadership che esprimono possono fare tutta la differenza nel tono e nell’efficacia della Chiesa.
Cinque anni fa, ad esempio, siamo passati da uno stile di Chiesa ad un altro. Ciò è avvenuto tranquillamente, ma è giunto ai fedeli come una sorta di Libro della Rivelazione. Erano scomparse le immagini di papi con dita benedicenti, le storie di inchieste teologiche, i rimproveri pubblici e le scomuniche di persone che osavano rimettere in discussione il valore attuale di metodi antichi.
Quando Joge Bergoglio, appena eletto papa Francesco, è comparso al balcone della basilica di San Pietro a Roma, si è inchinato davanti al popolo e ha chiesto una benedizione. I fedeli hanno gridato la loro approvazione ad un uomo che riconosceva di aver bisogno del nostro aiuto e orientamento. Quando ha detto a vescovi aristocratici di “essere dei pastori con l’odore delle pecore”, di andare tra le persone, di toccarle, di servirle, di condividere la loro vita – i palazzi episcopali e i recinti agiati hanno perso il favore ecclesiale.
Ciò che la gente voleva, erano vescovi che uscissero dalle loro cancellerie, camminassero con tutto il popolo e arrivassero a capire la difficoltà del cammino. Quando Francesco ha detto ai preti di affrontare il problema dell’aborto nella confessione, lì dove tutti i problemi dell’umanità trovano conforto e perdono, piuttosto che trattarlo come un peccato imperdonabile, la Chiesa è cresciuta in capacità di comprensione. Quando ha detto: “Chi sono io per giudicare” la qualità spirituale della comunità gay, la Chiesa è ritornata ad essere Chiesa. La variabilità della natura umana e il grande bisogno di misericordia e di forza che accompagnano le decisioni più dolorose della vita sono diventate evidenti.
Basandosi sulle fondamenta poste da papa Giovanni Paolo II e da papa Benedetto XVI, Francesco ha aperto i cuori e le porte a Cuba, indipendentemente dalla politica, e con l’amministrazione Obama ha allentato l’isolamento cubano dal mondo moderno.
Francesco ha attirato l’attenzione del mondo sui migranti che fuggono la guerra e le situazioni economiche oppressive; si è pronunciato contro il massacro nell’Asia sudorientale e nell’Africa centrale. Ha espresso un no definitivo alle armi nucleari e ha incoraggiato a ripensare la cosiddetta guerra giusta.
Chiaramente, Francesco è lui stesso un invito a cambiare la nostra posizione nel mondo. Noi abbiamo un nuovo modello di come la Chiesa deve apparire agli altri e anche di ciò che noi possiamo sperare dalla Chiesa per le nostre vite. Noi cominciamo a vedere la Chiesa come un segno dell’amore di Dio invece che come lo spettro della collera di Dio.
Eppure, allo stesso tempo, certe cose che chiaramente devono cambiare, non sono cambiate nel corso degli ultimi cinque anni. Invece, c’è fumo senza fuoco, commissioni promesse, ma non create, domande che si ha il diritto di porre, sì, ma risposte ancora rare.
Per il mondo moderno, il riconoscimento dell’esistenza di un problema è l’inizio della sua soluzione. C’è una promessa e moltissime possibilità. Ma, in troppi casi, non succede nulla, così, un numero sempre maggiore di persone, deluse, si allontanano da una nave alla deriva. E così le coppie sposate che hanno vissuto abusi o matrimoni più dannosi che vivificanti, si aspettano che, anche se si risposano, meritano il diritto di avere il sostegno spirituale offerto dalla Chiesa, nel loro tentativo di vivere matrimoni più ricchi d’amore. Aspettano, ma la dichiarazione di inclusione nella Chiesa non arriva.
Una commissione sulla reintroduzione del diaconato femminile è stata formata, ma la Chiesa tutta non viene coinvolta nella discussione, non viene mai comunicato nessun resoconto pubblico, e una parte molto importante e costitutiva della storia cattolica romana torna ad essere silenziosa.
Il leviatano della pedofilia, il problema più preoccupante a cui la Chiesa è confrontata, continua ad alzare il capo. Si estende in tutto il mondo e perfino all’ambiente attorno al papa. Fintanto che anche i vescovi e i cardinali non saranno stati sospesi fino a che le accuse siano risolte, la sporcizia sull’integrità stessa del Vaticano continuerà a compromettere la sincerità degli sforzi dispiegati dalla Chiesa per dissipare il veleno. Nel frattempo, una commissione sugli abusi è stata creata, autorizzata a scomparire, poi ora formata di nuovo, ci dicono, ma come risposta al problema poco o nulla è stato evidenziato.
L’appello alle donne in posti ufficiali ai livelli superiori della Chiesa è stato promesso – ma ignorato. Questo significa, evidentemente, che il ruolo delle donne non è ancora cambiato – nonostante la loro preparazione, i risultati di eccellenza nel servizio, e la qualità di discepole che conferisce loro il battesimo. L’effetto è chiaro: le donne non rientrano mai in commissioni teologiche dove sono prese le decisioni che riguardano la vita spirituale della metà della Chiesa che esse costituiscono. Ma Francesco dice che non c’è niente di più da dire sulle donne perché i suoi predecessori hanno già parlato.
La questione è capire perché questo pontificato sembra essersi bloccato. Se situazioni di questo genere dipendano dalla mancanza di impegno di Francesco o dall’infinita resistenza della Curia al papa, non lo possiamo sapere. Ma segnano negativamente questo papato. E, alla lunga, creano diffidenza.
Dal mio punto di vista, questo papato ha di nuovo reso possibile pensare. Ha accolto l’idea che il cambiamento fa parte del processo della vita. Ma non ha dato un orientamento significativo a determinati problemi molto importanti. In casi come questi, la promessa dell’azione e la mancanza di risultati, hanno fatto nascere false speranze. In fin dei conti, l’assenza d’azione è ancora più deludente di quanto sarebbe stata se non fossero mai state fatte vuote promesse.
San Paolo ha messo in guardia la Chiesa secoli fa da questo tipo di leadership poco chiara. Scrive in 1Corinti 14,8: “Se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà al combattimento?”. È un avvertimento a un papato che è arrivato ricco di speranza e che per questo è profondamente rispettato. Come dice il Talmud, “coloro che non rischiano niente, rischiano molto di più”.