Per il domenicano Timothy Radcliffe “è tempo di abolire l’omofobia dai seminari”
Articolo di Laurent Grzybowski tratto dal sito del settimanale cattolico La Vie (Francia), 20 ottobre 2005, liberamente tradotto da Dino
Il dibattito sulla sessualità nella Chiesa è molto animato. Grande autorità morale del cattolicesimo, l’anziano Timothy Radcliffe (ex) Maestro Generale dei Domenicani prende posizione, senza timore di infrangere i tabù.
Si fanno timidi accenni all’ordinazione di uomini sposati. E’ una buona idea?
Non ho la risposta, ma mi piacerebbe che si potesse discuterne. Personalmente dò un grande valore al celibato, poichè esso consente una certa libertà. Un esempio: in Inghilterra, se è celibe, il prete sfugge al ruolo delle classi sociali, così importante nella società britannica. Può essere se stesso, dovunque.
Ma il fatto di avere dei preti sposati può anche essere un arricchimento per la Chiesa. Uomini che vivono il loro ministero sacerdotale appoggiandosi sulla loro esperienza di sposi e di padri possono aiutarci a meglio comprendere i Vangeli. Non è bene che ci siano soltanto dei celibi.
E l’ordinazione delle donne?
Non ho mai sentito nemmeno un’argomentazione contro l’ordinazione delle donne che mi abbia veramente convinto. E anche in questo caso, non so cosa bisognerebbe fare, ma credo molto all’utilità della discussione. Ci si potrebbe interrogare anche sul diaconato femminile.
Gli omosessuali potrebbero non essere più ammessi al seminario. Lei è d’accordo?
Non penso che il Vaticano arriverà fino a questo punto. Sarebbe una pessima idea. La prima ragione consiste nel fatto che una vocazione è in primo luogo una chiamata di Dio. E’ Lui che chiama alla vita religiosa o al sacerdozio. Ed è evidente che Egli ha chiamato degli uomini e delle donne, dei preti e dei vescovi che sono omosessuali.
Non si può dire a Dio che non ha il diritto di chiamare degli omosessuali, poichè Egli l’ha già fatto! E’ importante che coloro che entrano nella vita sacerdotale possano maturare ed accettarsi così come sono. Se si dichiara che non si possono accettare gli omosessuali, questo spingerà queste persone a non accettare se stessi per quello che sono.
Perchè etichettarli e rinchiuderli in una casella? L’orientamento sessuale di una persona non è qualcosa di essenziale. Poco m’importa di sapere se mio fratello è omosessuale o etero. Credo invece che bisognerebbe essere molto più vigili sull’omofobia e sulla misoginia. Questi atteggiamenti dovrebbero essere totalmente aboliti nei seminari.
Eterosessualità e omosessualità sono equivalenti?
No, ma penso che le persone eterosessuali e omosessuali debbano affrontare le stesse sfide. Siamo capaci di entrare in relazione con le persone che incontriamo?
Siamo capaci di accettare noi stessi per quello che siamo, con le nostre debolezze e le nostre ferite? Siamo pronti ad impegnarci nel celibato?
Ciò che conta è la nostra capacità di amare. Se sappiamo di essere accettati da Dio, completamente e senza riserve, anche noi stessi possiamo accettarci. I preti non devono focalizzarsi troppo sulla questione della loro identità sessuale, corrono il rischio di chiudersi in se stessi. La nostra identità, la troviamo in Cristo. La questione più importante è: come annunciare il Vangelo?
Alcuni specialisti affermano che le persone omosessuali hanno una sessualità molto più difficile da gestire rispetto agli altri. Lei cosa ne pensa?
Ho trascorso vent’anni in un centro di formazione domenicano in Inghilterra. Alcuni fratelli erano senza dubbio omosessuali, altri invece no. Non ho mai avuto l’impressione che ci fossero problemi specifici, da una parte come dall’altra. Ad ogni modo, i giovani che entrano in seminario non sempre hanno ben chiaro il loro orientamento sessuale. Molti lo stanno scoprendo proprio allora.
Siamo tutti uomini e donne complessi, con elementi di attrazione verso gli uomini e verso le donne. Piuttosto che procedere a semplificazioni negative escludendo gli omosessuali, dovremmo invece affrontare questa complessità.
L’unico pericolo sarebbe quello che si stabilisca in un seminario o in una comunità una specie di sottocultura omosessuale. Ciò sarebbe molto destruente. E’ la ragione per cui l’orientamento sessuale non deve diventare qualcosa di centrale.
La verità scaturisce sempre dal dialogo. Piuttosto che prendere delle misure che si rivelerebbero dannose, in questo campo come in un altro la Chiesa deve continuare a discutere.
Partendo dalla sua esperienza personale, come si poterbbe, secondo lei, rinnovare la questione dell’Eucaristia?
Ho trascorso qualche tempo in Africa e sono sempre rimasto colpito dalle caratteristiche delle celebrazioni eucaristiche e dalla gioia che da esse scaturisce. Nonostante la povertà, le guerre civili, nonostante tutte le calamità che colpiscono il loro continente, gli Africani entrano molto più facilmente di noi nel mistero pasquale celebrato nella messa.
Il sacramento dell’Eucaristia per loro è veramente una questione di vita o di morte. E, per esprimere questa posta in gioco, dimostrano una stupefacente creatività che a noi in Europa manca terribilmente.
Noi dovremmo ispirarci a loro, ricorrendo ad artisti, a poeti e musicisti per esprimere, attraverso la bellezza, la nostra speranza per l’avvenire. Mi aspetto anche che il sinodo non chiuda le porte che sono state aperte dal concilio Vaticano II, ma che apra dei percorsi di dialogo.
* Nato nel 1945 in Inghilterra, Timothy Radcliffe ha insegnato la Sacra Scrittura ad Oxford. Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori dal 1992 al 2001, viene oggi richiesto in tutti i Paesi per tenere conferenze, fino a diventare una delle grandi coscienze del mondo cattolico. Nel suo libro “Che cosa significa essere cristiani? (San Paolo Edizioni, 2008) il teologo si interroga sul senso odierno della vita cristiana.
Testo originale: Question d’actualité. Timothy Radcliffe « Proscrire l’homophobie des séminaires»