Per i gay credenti il Bene è sostantivo plurale
Riflessioni di Stefano Ventura dell’Associazione LiberamenteNoi
L’identificazione del Bene con Dio si traduce per noi cristiani in una affermazione di pluralità relazionale: se mi è dato di capire correttamente il dogma cristiano della Trinità, dovrei dire che il bene è plurale e unitario contemporaneamente. E’ molteplice e uno. E’ relazionale e comunitario.
Come dire che, immediatamente, o forse potremmo dire per grazia, noi cristiani dovremo essere decisamente liberi dal pericolo del pensiero unico, saldi nel valore della pluralità, sicuri che tutto si regge perché la relazione viene prima, radicalmente prima, dei suoi termini, perché non c’è bene senza relazione perché solo nella relazione si riconosce il bene, che è sempre anche libero e creativo: genera pluralità e garantisce libertà. E’ amore.
Da più parti sento voci di sirene che predicano il “relativismo” come una pericolosa peste morale; l’atteggiamento relativistico sarebbe capace di mettere sullo stesso piano tutti i valori, negandoli così de facto.
Il rischio è reale, a mio avviso, e ben più pericolosamente per noi, per le nostre vite e le nostre storie: negando che esistano punti fermi, scelte decisive, si può giungere a negare la differenza fondamentale fra vittima e carnefice, tra arbitrio e diritto. E’ una questione seria, che ci riguarda direttamente come gay, lesbiche, bisessuali e transessuali ogni volta che rivendichiamo un nostro diritto – dimenticando spesso che costruiamo così anche un bene.
“Se due uomini possono sposarsi perché non un uomo e un cane?” Simili idiozie sono solo i frutti più insipidi di una filosofia che vuole richiamare tutti all’ordine, ad un ordine tradizionale, bastato sulla legge di natura.
Si tenta di richiamare alla Norma, anche con argomenti capziosi e sofistici come quelli di Joseph Ratzinger per il quale, se una società che si richiama a valori tradizionali è più ordinata, meno caotica, allora anche se non possiamo dimostrare che i valori tradizionali sono veri, conviene1 almeno sul piano pratico accettarli.
E’ così si può essere atei devoti se questo renderà la vostra vita meno incerta sul piano contingente; genuflettersi ad un altare anche se non avete idea del significato di quello che fate, se questo serve a mantenere la sicurezza nella nostra vita.
Dietro l’equiparazione di ogni valore, ossia di ogni aspirazione al bene, dietro i richiami sempre più seducenti all’ordine che in un a situazione di caos sempre più consapevole vengono gridati da più parti, sta l’idea di unicità del bene. Se il bene esiste è uno, vero, bello. E’ uno dei motivi più antichi della tradizione filosofica occidentale. Possiamo identificare, da credenti, il bene con Dio e scrivere la parola in maiuscolo: il Bene.
Di fronte a questa concezione del bene come uno, possiamo avere due atteggiamenti contrapposti: accettare ed ubbidire alle leggi, considerate necessarie, come questo Bene prescrive per via di Ragione o per via di Rivelazione; o possiamo negarlo, per via di Ragione o per via di Libertà, affermando, non senza fondamento, che una concezione simile porta inevitabilmente a negare proprio la libertà e il pluralismo – porta alla dittatura, al pensiero unico, all’autoritarismo.
Ora però si da il caso che l’identificazione del Bene con Dio si traduca per noi cristiani in una affermazione di pluralità relazionale: se mi è dato di capire correttamente il dogma cristiano della Trinità, dovrei dire che il bene è plurale e unitario contemporaneamente. E’ molteplice e uno. E’ relazionale e comunitario. Come dire che, immediatamente, o forse potremmo dire per grazia, noi cristiani dovremo essere decisamente liberi dal pericolo del pensiero unico, saldi nel valore della pluralità, sicuri che tutto si regge perché la relazione viene prima, radicalmente prima, dei suoi termini.
Bene, come comunità, è un sostantivo singolare di significato plurale. Non c’è bene senza relazione perché solo nella relazione si riconosce il bene, che è sempre anche libero e creativo: genera pluralità e garantisce libertà. E’ amore.
E per di più, se volessimo continuare ad interpretare i dogmi che fanno parte del nostro comune credo, il Bene si è incarnato, è sceso nel tempo e si è fatto storia. Come dire che il bene si rivela nella relazione concreta e nel tempo. Non è una legge fissa al di là degli individui, perché il cuore dell’uomo non è come un libro di geometria, in cui valgano teoremi indiscutibili come il teorema di Pitagora.
Queste considerazioni aprono ad ogni credente cristiano la via ad una sana laicità, ad una fattiva promozione del pluralismo, alla valorizzazione della creatività come dono – e fondano il contributo particolare che ciascuno di noi gay credenti può dare alla costruzione della comunità omosessuale, libera, creativa, plurale e unita. Non resta quindi che esercitare I nostri talenti, iniziando a parlare…
1 Cfr. Contro Ratzinger, Isbn Edizioni, 2006 – “Secondo l’autore il tentativo di Ratzinger sarebbe di spodestare la modernità dalle sue pretese di razionalità per porre la Chiesa come autentica erede della filosofia greca e quindi della cultura occidentale. A tal fine Ratzinger, utilizzando i concetti e le metodologie del pensiero debole, evidenzierebbe i limiti del concetto moderno di razionalità, limitandone così le pretese. A conclusione di ciò Ratzinger si avventurerebbe in un passaggio rozzo e semplicistico, elencando le tragedie del mondo, che spiegherebbe come semplici effetti della modernità, ossia della pretesa di fare a meno di Dio.” (Fonte Wikipedia)