Per qualche voto in più si vendono pure i gay
Articolo di Vittorio Lingiardi pubblicato su Il Venerdì di Repubblica n.1356 del 14 marzo 2014, pp.42-43.
Buona parte del mondo, non solo occidentale, sta finalmente venendo a patti con l’omosessualità e i suoi diritti di cittadinanza giuridica e sociale. Persino Cuba, grazie alle politiche di Mariela Castro, presidentessa del Centro Nacional de Educación Sexual de Cuba (Cenesex), si sta risvegliando da un lungo incubo omofobo.
Un giorno, ci si augura, i governi del mondo smetteranno di occuparsi dell’orientamento sessuale dei cittadini che, davanti alla legge, saranno tutti uguali. Ma per molti governi, l’omosessualità continua a rappresentare un problema da affrontare e risolvere alla radice.
Nel dicembre 2013 la Corte suprema indiana ha confermato la validità di una legge introdotta nel 1861 dagli inglesi – la Section 377 – che punisce penalmente i rapporti tra persone dello stesso sesso, definiti «contro natura».
La più alta istanza giudiziaria indiana ha infatti cassato una sentenza del 2009 di un tribunale di Nuova Delhi che depenalizzava i rapporti tra adulti consenzienti dello stesso sesso, dichiarando che spetta al Parlamento legiferare sulla materia (causa Naz Foundation v. Govt. of NCT of Delhi).
Il ministro della giustizia in carica, Kapil Sibal, dice che il Governo non sostiene la Section 377 e vorrebbe fermarla, ma teme di agitare l’elettorato. In primavera, infatti, si svolgeranno le elezioni politiche.
Elezioni molto importanti, soprattutto per due motivi: il Partito del Congresso, l’Indian National Congress rischia di essere sconfitto; l’altro partito, il Partito Popolare Indiano, il Bharatiya Janata Party, nazionalista indù e conservatore, ha scelto un candidato, Narendra Modi, a dir poco controverso (Wikipedia gli dedica una lunga voce, di cui consiglio la lettura).
Il partito nazionalista difende la Section 377 sostenendo tra l’altro che l’identità gay è un pericoloso prodotto di importazione occidentale. I movimenti gay indiani hanno subito iniziato la protesta scegliendo un messaggio di speranza e di resistenza: «Ladenge, Jeetenge» (combatteremo e vinceremo). Lesbiche,gay, bisessuali, transgender indiane/i chiedono che in tutto il mondo si levino voci a favore della tutela dei loro diritti messi sotto scacco.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato che applicare la Section 377 va contro il diritto internazionale.
Si noti bene che il tema di un Occidente depravato esportatore di omosessualità (una sorta di imperialismo sessual-identitario) e corruttore di culture dove l’omosessualità non esiste (Ahmadinejad lo disse in mondovisione: «!n Iran non ci sono omosessuali») sarà sempre più spesso cavalcato dai governi nazionalisti e conservatori.
Proprio per questo motivo è importante segnalare un’altra notizia. Anch’essa ha a che fare con l’India, ma è di segno opposto alla precedente. Il presidente della World Psychiatric Association (WPA), che rappresenta circa duecentomila psichiatri di tutto il mondo, ha fatto coming out.
Dinesh Bhugra, 61 anni, indiano, professore di psichiatria al King’s College di Londra, in un’intervista al Guardian ha raccontato di avere un compagno, Mike, da più di 30 anni. Amici e familiari ne erano al corrente, ma in ambito professionale Bhugra non si era ancora dichiarato.
Cresciuto a Yumuna Nagar, una cittadina nel nord dell’India, ricorda che, da ragazzo, non conosceva il termine con cui avrebbe potuto definire i suoi sentimenti. Bhugra è il primo presidente dichiaratamente gay della Wpa.
Il suo coming out acquista un significato speciale per una professione la cui storia è macchiata da molti abusi: dall’elettroshock alla castrazione chimica (ne fu vittima il padre dell’informatica teorica, l’inglese Alan Turing che, condannato e poi «curato» per l’omosessualità nel 1952, si suicidò in carcere; nel dicembre scorso ha ricevuto un’«assoluzione postuma» da parte della Regina) fino alle terapie riparative.
Il coraggioso coming out di Bhugra assume particolare importanza in un momento storico in cui non solo l’India (e la Russia), ma anche gran parte dell’Africa (tranne la Repubblica Sudafricana) sta imboccando il tunnel della persecuzione delle persone gay e lesbiche.
Il 24 febbraio il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni, cristiano evangelico, ha firmato un progetto di legge approvato dal Parlamento lo scorso dicembre, che punisce l’omosessualità con il carcere (ergastolo per i «recidivi»), vieta qualsiasi forma di «propaganda gay» e rende obbligatoria la denuncia delle persone omosessuali.
Secondo gli estensori della legge, gli omosessuali provengono dall’Occidente (anche qui!) e rappresentano una minaccia per le famiglie ugandesi e i bambini africani.
L’amministrazione degli Stati Uniti ha annunciato che verrà avviata una «revisione delle relazioni con il governo ugandese, in linea con le nostre politiche anti-discriminatorie e i principi che riflettono i nostri valori».
Desmond Tutu, arcivescovo anglicano sudafricano e premio Nobel per la pace ha dichiarato: «In Sudafrica, la polizia faceva irruzione nelle camere di bianchi sospettati di avere rapporti con neri. Era umiliante sia per chi commetteva il crimine di amarsi sia per i poliziotti – ed era una macchia per l’intera nostra società.
La storia dei popoli è sporcata da troppi tentativi di promulgare leggi contro l’amore o il matrimonio all’interno di classi, caste, razze. Ma non c’è una base scientifica o un disegno genetico per l’amore. C’è solo la grazia di Dio. Non ci sono giustificazioni scientifiche per il pregiudizio e la discriminazione, mai. Né giustificazioni morali possibili. Il nazismo in Germania e l’apartheid in Sud Africa lo hanno testimoniato».
Due anni fa, mentre il parlamento ugandese discuteva l’inasprimento delle leggi contro gli omosessuali, l’attivista gay David Kato veniva ucciso nella sua abitazione. Nello stesso periodo, fotografie e indirizzi di cento gay erano stati riportati nella prima pagina di una rivista ugandese sotto il titolo “Impiccateli”.
Lo sdegno internazionale non è bastato per fermare la barbarie che sta attraversando l’Africa: l’estate scorsa, in Camerun, Eric Lembembe è stato ucciso a causa del suo impegno per i diritti Lgbt e nella lotta contro l’Aids.
Alcune settimane fa, in Nigeria, è stata firmata una legge che colpisce l’omosessualità in ogni sua espressione. In troppi Paesi l’omosessualità è considerata una malattia o perseguitata come un crimine: «Dobbiamo opporci con forza» ha dichiarato Dinesh Bhugra.
Ladenge, Jeetenge (combatteremo e vinceremo).
* Vittorio Lingiardi. Psichiatra e psicoanalista, è professore ordinario di Psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma