Perché benedire le coppie omosessuali? I valdesi di Trapani e Marsala, l’Italia di oggi e l’etica del rischio
Riflessione di Rosa Salamone, Vice presidente della REFO (Rete Evangelica Fede e Omosessualità)
Dunque, appuntamento con il gruppo Arcobaleno, della comunità (valdese) di Trapani e Marsala. Il massimo dell’eretismo tra tutti gli eretici, quelli che nella maniera più fraterna sono stati definiti come minimo “bizzarri”. Per non parlare di una pubblica opinione che li ha descritti come coloro che hanno “sposato” due donne, sì sposato con le virgolette. Ah, il sopracciglio levato delle virgolette, non c’è niente come loro in tutto il regno ortografico che possa esprimere lo sdegno e l’irrisione. (Ma poi la gente quando la capirà che noi valdesi non abbiamo il sacramento del matrimonio?).
In un Italia che non si scandalizza più per le cifre da capogiro della disoccupazione giovanile e dal numero dei ministri di un governo plurinquisito. Per la corruzione dilagante, la distruzione sistematica dell’ambiente, la degenerazione della violenza e dell’insulto. Niente da fare, il sopracciglio si leva imperioso su due che si amano, sembra una reazione alla Pavlov.
Insomma, arrivo lì, dopo sei ore di viaggio, venendo dall’altra parte dell’isola. C’è voluto tutto il mio impegno per conoscerli, perché ho desiderato fortemente questo incontro. Mi ritrovo un drappello di persone fiere ( ce ne vuole essere testardi in questa cocciutissima terra che è la Sicilia), quasi meravigliati da tanta fama che li precede.
In realtà, mi sembra davvero comico che non sappiano che in Italia si parla dappertutto di loro. Quanto al pastore Esposito è sposato con una indigena mapuche.
Gli stessi indigeni a cui in Cile stanno togliendo le terre. Le poche terre che gli erano rimaste, s’intende. Condanne pluriennali in carcere a chi si oppone a questa prevaricazione, anche con la non violenza.
Il pastore ha conosciuto la realtà dei senza tetto e degli sbaraccati in Argentina, si vede proprio che l’America Latina gli è rimasta nel sangue, non solo per le sue vicende coniugali. Chi è stato dall’altra parte del mondo lo capisci subito. Dall’altra parte, intendo, ci puoi stare anche qui in Italia, in una qualunque periferia ROM dove il nostro governo esercita la sua pietas davvero particolare, tra i drogati, i carcerati, i senzadiritti.
Insomma, c’è l’imbarazzo della scelta. Ma se stai “dall’altra parte”, ti rimane una solidità dell’anima, una concretezza spoglia da qualunque inciucio, nessun desiderio da teatrante. E’ l’effetto baraccopoli: ti basta vederne una e ti passa la voglia di parlare a vanvera per il resto della vita.
Ti concentri su ciò che c’è da fare per aiutare concretamente chi sta peggio di te, invece di insegnare a destra e a manca che cos’è la Bibbia, come va letta, interpretata, maneggiata. Mi ritrovo a parlare di Jon Sobrino e di Teologia della Liberazione, di speranza, di fiducia, di coraggio.
Di lotta concreta per cambiare questo mondo e lasciarlo un po’ migliore. La verità è che quando chiedi ai membri della comunità di Trapani e Marsala perché hanno condiviso l’invito di due donne a benedire il loro amore (tutti loro, mica solo il pastore, con una decisione democratica e unanime, non certo il colpo di testa di un singolo com’è stato detto in giro) ti sconcerta la semplicità della risposta: perché non avremmo dovuto farlo?
Un po’ come accaduto con il pastore Malan, Ugo, della comunità rioplatense quando gli chiesi perché all’epoca di Videla avevano protetto i perseguitati politici che riparavano in Uruguay: perché ne avevano bisogno, mi fu risposto.
A volerci pensare, infatti, la generosità e l’accoglienza non sono un concetto da spiegare. Piuttosto, somigliano a un esercizio continuo che è necessario praticare nei confronti di se stessi. Cinismo e menefreghismo sono molto più facili.
I musulmani chiamano il Corano il Discriminante, ecco, si potrebbe dire che è tutta lì la risposta. La discriminante è il bisogno. Che si riconosce, come no. Quando sai di gente che viene massacrata, uccisa e derisa per il suo orientamento sessuale, che altro ti serve per aprire le porte di casa tua, se davvero ti consideri cristiano?
Lo so, c’è questa melense e buonista versione per cui nessuno perseguiterebbe i gay e le lesbiche in Italia, come se bastasse poi semplicemente non essere perseguitati per stare bene e come se si potesse concentrare l’attenzione solo in Italia. In Iran ci impiccano ancora. Che ipocrisia, che perfidia terribile nascosta in queste affermazioni.
Poi li senti: Calderoli e Bossi che ci definiscono all’unisono “ culattoni”, Carfagna che ci pregia di un delizioso “le coppie gay sono costituzionalmente sterili”, Gasparri che arringa in televisione definendoci “indegni”, la Mussolini, bontà sua, che dichiara “ meglio fascista che frocio”, Santanché la quale spera che tutte le famiglie italiane abbiano figli eterosessuali.
E mi limito alla parte di destra, perché a sinistra e al centro, anche lì c’è un bel florilegio.
Davanti a questo marasma, forse, è meglio il rischio della condivisione, come dicono e praticano fratelli e sorelle di questa isolata comunità siciliana.
L’etica del rischio, come la chiama Don Franco Barbero. Meglio rischiare il nostro buon nome che sbattere le porte a chi ci chiede accoglienza. Si parla, dunque.
E non mi sembrano degli sprovveduti gli amici di Marsala, delle teste calde, degli ingenui. Tutt’altro: gente posata, soda, tranquilla. Di quelli che non scardini facilmente dalle loro convinzioni e che sa il fatto suo.
Perché poi, di un’intera riunione con il gruppo Arcobaleno, una serata spesa a ringraziare degli amici per avere condiviso l’invito di benedire pubblicamente una coppia dello stesso sesso, mi rimane soprattutto questa frase del pastore Esposito: ‘se davvero consideriamo le persone con altro orientamento sessuale uguali in tutto e per tutto, non dovremmo mai infliggergli l’obbligo di dovere spiegare perché sentano la necessità di benedire il loro amore.
Forse noi eterosessuali, siamo tenuti a spiegare questa esigenza a loro?’.