Perché è così difficile per la Chiesa cattolica accompagnare le persone LGBTQ?
Testo di padre James Martin SJ* tratto da AA.VV., Recognition of LGBTIQ+ Persons in the Church, quaderno n.185, edito da Cristianisme i Justícia (Spagna), settembre 2022, pp. 2-5, liberamente tradotto dai volontari del progetto Gionata
Perché è così difficile per la Chiesa cattolica rivolgersi alle persone lesbiche, gay, bisex, trans e queer** (LGBTQ)? Perché la Chiesa sembra così in ritardo rispetto ad altre organizzazioni secolari e persino ad altre confessioni religiose, che si sono dimostrate più accoglienti verso questa comunità? E perché è così lenta nell’aiutare e proteggere un gruppo spesso esposto a molestie, violenze e discriminazioni? Perché è tanto complicato per i cattolici vedere le persone LGBTQ come figli amati da Dio?
Non ovunque nel mondo è così. Alcune diocesi, parrocchie e scuole cattoliche promuovono pastorali vivaci dedicate alle persone LGBTQ, facendole sentire accolte nella loro Chiesa.
E man mano che sempre più cattolici dichiarano apertamente il loro orientamento sessuale e si sentono meno imbarazzati per il modo in cui Dio li ha creati, più famiglie ne vengono coinvolte. E quando più famiglie ne vengono coinvolte, anche più parrocchie e scuole ne sono influenzate. Tutto ciò genera un desiderio crescente di maggiore accoglienza.
Un’altra piccola ma importante influenza proviene dalle famiglie dei vescovi e dei sacerdoti, i cui nipoti e cugini oggi si dichiarano più apertamente rispetto a pochi anni fa.
Questo permette a vescovi e sacerdoti (così come a fratelli e sorelle consacrati) di vedere le persone LGBTQ non solo come categorie o stereotipi, o persino come categorie teologiche con una “sessualità oggettivamente disordinata”, ma come persone, come individui, come membri della loro famiglia. Con questi piccoli passi verso una maggiore comprensione e amore, la Chiesa progredisce.
Negli ultimi anni, Papa Francesco ha compiuto piccoli ma significativi passi nel suo stesso approccio alle persone LGBTQ nella Chiesa. Innanzitutto, il Santo Padre ha nominato molti cardinali, arcivescovi e vescovi più aperti e accoglienti verso i cattolici LGBTQ.
In secondo luogo, Francesco stesso ha parlato calorosamente della necessità di accogliere le persone LGBTQ nella Chiesa, in diverse occasioni. (In effetti, è il primo Papa ad aver usato pubblicamente la parola “gay”).
Infine, ha scritto lettere di incoraggiamento ai cattolici che lavorano nei ministeri LGBTQ in tutto il mondo (incluso il sottoscritto). Presi insieme, gli sforzi di Papa Francesco hanno fatto sì che molte persone LGBTQ si sentano più a casa nella Chiesa.
Tuttavia, ci sono ancora luoghi in cui le persone LGBTQ subiscono le critiche più severe da parte dei leader della Chiesa (sia clero che laici), che le etichettano costantemente come “peccatori”.
In alcuni luoghi vengono fatte sentire indesiderate nelle parrocchie, licenziate da posizioni in istituzioni cattoliche e persino private dei sacramenti.
L’etichetta di “peccatore” è particolarmente offensiva poiché tutti noi, in un modo o nell’altro, siamo peccatori. Nessuno di noi è perfetto, tutti pecchiamo e tutti abbiamo bisogno di perdono e pentimento. Ma nessun altro gruppo viene trattato con tanto disprezzo, quando le loro vite non sono pienamente conformi agli insegnamenti della Chiesa.
Per esempio, molte coppie sposate oggi usano metodi contraccettivi. Eppure, quando parlo con loro, nessuno mi chiede: “Perché stai parlando con dei peccatori?”.
Allo stesso modo, molti studenti universitari sono sessualmente attivi, il che non è conforme agli insegnamenti della Chiesa. Eppure, quando tengo conferenze per studenti universitari, nessuno mi dice: “Perché stai parlando con dei peccatori?”.
Solo le persone LGBTQ vengono etichettate in questo modo. Per quasi ogni altro gruppo, anche dove molte persone non vivono pienamente in accordo con gli insegnamenti della Chiesa, queste vengono trattate con rispetto, si presume che seguano la loro coscienza e vengono accolte nella Chiesa.
Perché? Principalmente perché le conosciamo. Conosciamo coppie sposate che possono avere difficoltà con gli insegnamenti sulla contraccezione, ma che, sappiamo, stanno usando la loro coscienza al meglio per prendere una decisione morale.
Allo stesso modo, conosciamo giovani universitari e sappiamo che stanno cercando di vivere al meglio una vita morale. Conosciamo queste persone, le amiamo e quindi ci fidiamo di loro. Le vediamo nella complessità delle loro vite, così come vediamo noi stessi nella complessità delle nostre vite.
Lo stesso non vale per le persone LGBTQ, che spesso rimangono sconosciute, misteriose e “altre” per molte persone nella Chiesa, inclusi molti leader ecclesiastici. Non sono viste come individui con una coscienza, che cercano di vivere vite amorevoli, ma come stereotipi e categorie. Così vengono respinte, escluse e condannate.
La chiave è la “Cultura dell’Incontro” che Papa Francesco sottolinea spesso: conoscere le persone come amici, nelle loro “gioie e speranze” e nelle loro “angosce e tristezze”, come afferma il Concilio Vaticano II nel suo bellissimo documento Gaudium et Spes.
In effetti, le “gioie e speranze” e le “angosce e tristezze” di tutte le persone, dice la Chiesa in quel documento, sono anche le gioie, le speranze, le angosce e le tristezze dei “seguaci di Cristo”. Perché? Perché “nulla di genuinamente umano manca di trovare eco nel loro cuore”. In altre parole, la Chiesa è vicina a tutte le persone.
Eppure, è più vicina ad alcune persone che ad altre. Naturalmente, siamo vicini a coloro che conosciamo. Questo è uno dei motivi per cui la Chiesa deve rivolgersi alle persone LGBTQ: per conoscerle, amarle e accompagnarle.
Questo è il compito della Chiesa oggi. Più profondamente, era la missione di Gesù: raggiungere tutti coloro che si sentivano trascurati, esclusi o emarginati.
Gesù lo ha fatto ripetutamente durante il suo ministero pubblico: avvicinandosi a un centurione romano, a una donna samaritana, a un esattore di tasse di nome Zaccheo.
Tutte persone che, per motivi diversi, vivevano ai margini. Un centurione romano non era nemmeno ebreo. Una donna samaritana con una storia sessuale controversa, ostracizzata dal suo stesso popolo. E un esattore di tasse che collaborava con il potere occupante di Roma, probabilmente odiato dai suoi connazionali ebrei. Eppure, Gesù si avvicina a loro e ricorda ai suoi discepoli che queste non sono stereotipi o categorie, ma persone.
Quindi, rivolgersi a coloro che vivono ai margini — e nessuno è più emarginato delle persone LGBTQ nella Chiesa — non è solo un compito della Chiesa, ma è seguire il ministero di Gesù.
L’azione pastorale verso i cattolici LGBTQ non è semplicemente una moda passeggera, una tendenza momentanea o una risposta a “pressioni” culturali, ma un’opera costitutiva della Chiesa e una missione che trova le sue radici ultime proprio nei Vangeli.
* James Martin SJ è un gesuita, scrittore e teologo statunitense. Direttore editoriale della rivista America, impegnato nella pastorale con le persone LGBTQ+ attraverso pubblicazioni, conferenze e incontri. È autore di numerosi libri, tra cui Costruire un ponte (Building a Bridge), che promuove il dialogo tra la Chiesa e la comunità LGBTQ.
** Il termine queer oggi è usato per descrivere in modo inclusivo tutte le identità sessuali e di genere che non rientrano nei modelli tradizionali (Lesbiche, gay, bisex, trans), riconoscendo la diversità delle esperienze umane.
Testo originale: The Pastoral Service of the Church to LGBTIQ+ Catholics