Perchè la Bibbia non condanna le persone LGBTQ?
Testo di Brandan Robertson pubblicato su Outreach (Stati Uniti) il 9 ottobre 2025. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata
Come teologo cristiano e come uomo gay dichiarato, mi viene chiesto quasi ogni giorno come io possa conciliare il mio “stile di vita” da persona LGBTQ con la mia fede cristiana. Per anni questa domanda mi ha turbato e mi ha spinto a restare nascosto, convinto che Dio desiderasse che io facessi del mio meglio per diventare eterosessuale o, almeno, per reprimere dentro di me questo “desiderio peccaminoso” per conformarmi a quella che credevo fosse la “chiara dottrina della Scrittura” sull’identità e le relazioni LGBTQ.
Il mio più grande desiderio è sempre stato quello di onorare Dio e vivere in armonia con la verità rivelata nella Bibbia. Per questo, nell’ultimo decennio, ho dedicato la mia vita a studiare e insegnare ciò che la Scrittura dice non solo sull’omosessualità, ma sulla sessualità e il genere in senso più ampio. I miei studi mi hanno portato in giro per il Paese e nel mondo: ho visitato antichi siti biblici, consultato studiosi e teologi di fama internazionale, conseguito due lauree in teologia biblica e intrapreso un dottorato dedicato proprio al tema della sessualità e del genere nelle Scritture.
Potremmo dire che volevo essere sicuro di ciò che credevo. Come protestante, ho imparato che uno dei modi principali per essere certi della correttezza delle proprie convinzioni è lo studio serio e approfondito della Bibbia. Dopo dieci anni di ricerca critica, sono giunto a una convinzione profonda e incrollabile: la Bibbia non condanna in alcun modo le identità, le espressioni sessuali o le relazioni delle persone LGBTQ.
Non voglio qui proporre un’analisi minuziosa di tutti i cosiddetti “passaggi clava” (le famose citazioni usate per condannare le persone LGBTQ), ma offrire un breve riassunto delle spiegazioni che do quando mi chiedono che cosa insegna realmente la Scrittura sull’identità LGBTQ. Lo faccio con la speranza che possa essere utile ad altri cristiani LGBTQ e ai loro sostenitori, quando si trovano a rispondere a chi continua a ritenere peccaminose le relazioni e le identità queer.
In parole semplici, i sei riferimenti presenti nella Bibbia ai rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso non riguardano comportamenti consensuali e affettuosi, ma atti di sfruttamento, abuso e idolatria.
Basta aprire la Bibbia su uno di questi passi e leggere l’intero capitolo per scoprire che tutti contengono numerosi riferimenti al culto degli idoli e a peccati di violenza e sfruttamento.
Prendiamo ad esempio Levitico 18, che contiene il famoso versetto “Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole” (v. 22).
Per capire il senso di questa frase basta tornare all’inizio del capitolo, dove si legge:
“Il Signore parlò a Mosè e disse: ‘Parla agli Israeliti e riferisci loro: Io sono il Signore, vostro Dio. Non farete come si fa nella terra d’Egitto, dove avete abitato, né farete come si fa nella terra di Canaan, dove io vi conduco; non seguirete le loro usanze’” (vv. 1-3).
Il contesto è chiaro: Dio sta dando agli Israeliti un insieme di norme per non imitare le pratiche religiose dei popoli pagani che li circondano. Come ha sottolineato la biblista Amy-Jill Levine, queste norme erano destinate solo al popolo d’Israele, non a tutta l’umanità. Non si tratta quindi di leggi morali universali, ma di precetti legati alla purezza cultuale dell’antico Israele.
Le nazioni di Egitto e Canaan erano dedite al culto di molte divinità, con riti che includevano sacrifici e pratiche sessuali che per gli Ebrei erano considerate idolatriche. Tutti i comandi successivi in Levitico 18 devono essere letti alla luce di questo contesto.
Il capitolo si concentra infatti soprattutto sui comportamenti sessuali “impuri” legati a culti pagani. Gli antichi Egizi, per esempio, onoravano la dea Sakhnet con una festa annuale che prevedeva ebbrezza, danze e rapporti sessuali rituali, spesso tra persone dello stesso sesso, e non di rado di natura coercitiva.
Anche i Cananei praticavano la prostituzione sacra nei templi dedicati alle dee Astarte e Ishtar. Inoltre, quasi tutti gli altri divieti sessuali presenti nel capitolo si riferiscono a relazioni incestuose.
Tenendo conto di tutto ciò, è chiaro che il versetto 22 non condanna relazioni d’amore e consensuali tra uomini, ma pratiche legate all’idolatria o a rapporti incestuosi maschili.
Lo stesso vale per il passo più citato del Nuovo Testamento, Romani 1. L’intero capitolo descrive come la cultura romana si sia allontanata da Dio scivolando nell’idolatria. Paolo scrive:
“Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità, secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, perché hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e servito la creatura invece del Creatore” (vv. 24-25).
Quel “perciò” indica chiaramente che i comportamenti descritti sono la conseguenza dell’idolatria appena menzionata. E la domanda è: nell’antica Roma esistevano contesti in cui i rapporti tra persone dello stesso sesso erano parte di riti idolatrici?
La risposta è sì. Anche i Romani, come gli Egizi e i Cananei, avevano culti dedicati a divinità come Bacco, Afrodite e Voluptas, celebrati con “sacrifici sessuali”. Inoltre, nella società romana gli uomini liberi potevano usare schiavi e ragazzi come oggetto di piacere, un abuso che Paolo conosceva bene come membro di un popolo conquistato e oppresso.
In altre parole, Romani 1 non parla di normali relazioni d’amore tra persone dello stesso sesso, ma di atti idolatrici o di sfruttamento sessuale.
Se poi leggiamo gli altri “passaggi clava” — in Genesi, 1 Corinzi, 1 Timoteo e Giuda — nel loro contesto, vediamo che anche lì si parla di comportamenti legati a sfruttamento, idolatria o violenza culturale, non di relazioni d’amore tra persone dello stesso sesso. Nessun versetto condanna l’amore tra due persone dello stesso genere: tutte le condanne riguardano solo atti di abuso o idolatria.
Certo, ci sarebbe molto altro da dire su come la Chiesa ha interpretato questi passi nel corso della storia e su come un atteggiamento anti-LGBTQ sia diventato uno dei pilastri dell’etica cristiana moderna. Nel mio libro The Gospel of Inclusion (Il Vangelo dell’inclusione) affronto in modo più ampio questi temi.
Ma ciò che mi preme sottolineare qui è che la Bibbia è chiara nel suo messaggio: i cosiddetti “passaggi clava” non condannano le persone LGBTQ, bensì l’idolatria, lo sfruttamento e la violenza sessuale.
Ed è proprio questo il messaggio che oggi la Chiesa dovrebbe ascoltare. Dal punto di vista biblico, non c’è alcuna ragione per cui le identità e le relazioni LGBTQ debbano essere condannate. Al contrario, credo che le persone LGBTQ e le loro relazioni rappresentino una meravigliosa espressione della creatività e dell’amore sconfinato di Dio.
Brandan Robertson
*Brandan Robertson è dottorando in studi biblici alla Drew University, attivista LGBTQ e autore di numerosi libri, tra cui Dry Bones and Holy Wars: A Call for Social and Spiritual Renewal. I suoi scritti sono apparsi su The Washington Post, The New York Times, Politico e Time Magazine.
Testo originale: The Bible does not condemn LGBTQ people

