La Chiesa cattolica che abbiamo e quella che vorremmo essere
Contributo del gruppo Nuova Proposta, Donne e Uomini Omosessuali Cristiani, all’Assemblea Nazionale ‘Chiesa di Tutti, Chiesa dei Poveri’ (Roma, 15 settembre 2012).
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.
Le parole iniziali della Gaudium et Spes rispecchiano perfettamente l’idea che abbiamo di Chiesa e di Chiesa che vorremmo avere, che vorremmo essere. Una Chiesa capace di vivere nel presente (gli “uomini d’oggi”), di guardare alle gioie ed alle speranze, alle tristezze ed alle angosce dell’umanità tutta non con gli occhi di chi giudica e di chi paternalisticamente concede ma di chi vede come proprie le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce degli altri semplicemente perché genuinamente, e profondamente, umane.
Nulla è più genuinamente umano del bisogno di giustizia, del grido di giustizia che sempre più forte e sempre più attutito dai rumori di una società indifferente si alza da chi vede le proprie gioie e le proprie speranze disattese e da chi vede le proprie tristezze e le proprie angosce ignorate.
La Chiesa che vorremmo è una Chiesa davvero capace di compiere una scelta preferenziale per i poveri, davvero capace di ricordare che non c’è nulla di più disumano che rivestire di oro il corpo di Cristo quando il corpo di un povero è ancora nudo, davvero capace di santificare l’umanità intera.
Con la Gaudium et Spes la Chiesa ha promesso di allargare le proprie braccia, di abbracciare il mondo, non di stringerlo e soffocarlo; questa promessa, ci sembra talora, non è stata sempre rispettata, troppo volte la Chiesa è parsa fare suo tesoro di una Grazia che doveva annunciare al mondo; penso ad esempio alle ultime parole del cardinal Martini sui sacramenti, che non sono uno “strumento per la disciplina” ma un “aiuto per gli uomini”.
Come gruppo di donne ed uomini che si dicono omosessuali e che si scommettono credenti, vorremmo contribuire a questa importante e significativa assemblea, segnalando la solitudine in cui vive la maggior parte delle persone omosessuali e transessuali cristiane, costrette alla consegna del silenzio, a nascondere la propria vita affettiva e i propri desideri, a ricevere, come unico progetto di vita, la vita solitaria nell’assenza dell’affettività.
Siamo persone guardate ancora con pregiudizio e sospetto, allontanate, una volta che la propria omosessualità o transessualità si svela, da incarichi parrocchiali e dalla guida dei gruppi. Omosessuali e transessuali vivono, nel ricco occidente, la negazione delle proprie gioie e speranze soprattutto nel profondo delle loro anime; in altre parti del mondo a questo si aggiungono violenze brutali, tortura e condanne a morte, purtroppo anche con l’approvazione di chi si dice “cristiano”.
Persone che la chiesa dice di accogliere ma con un’accoglienza che è inevitabilmente condizionata dall’adesione a una visione dell’omosessualità come attitudine “intrinsecamente disordinata” e dalla ineluttabile prospettiva di isolamento affettivo, cosa che suona come una sinistra condanna per chi non vive nel profondo la vocazione alla castità. Persone che, per la situazione che abbiamo descritto, finiscono vittime di una forza centrifuga che ha, come risultato finale il più delle volte, l’espulsione (o l’auto espulsione) dalle comunità di riferimento che, fino a qualche tempo prima, erano state una seconda casa.
Il risultato, il più delle volte, è la perdita dei punti di riferimento per il proprio cammino di fede, la solitudine, la perdita della speranza, che solo i più caparbi riescono a superare.
Seguendo quella follia del Vangelo di cui parla Paolo, ci piace sperare – e la nostra speranza è una certezza – che un giorno la Chiesa possa guardare anche a noi come qualcosa di genuinamente umano e di riconoscere alle nostre esistenze, al nostro amore quella dignità, anche sacramentale, che Cristo stesso ha fatto sua, divenendo, come noi, realmente e profondamente umano, pensando al bene reale della persona omosessuale e transessuale, a renderla destinatario e donatore di vita piena.