Perché le persone omosessuali sono “più chiesa” dei loro fratelli etero

Mentre le principali confessioni cristiane d’America ancora una volta si scontrano duramente e si dividono sulla questione se si debbano permettere agli omosessuali e alle lesbiche il matrimonio e il sacerdozio, non è un miracolo che esista ancora qualche omosessuale cristiano?
Data l’esclusione storica e spesso autenticamente omofobica del Cristianesimo e l’accanimento attuale sul loro ruolo, perché gli omosessuali si prendono la briga di rimanervi, se non addirittura di credervi?
Ma Barna, egli stesso un “Bible-believing” (protestante fondamentalista), ribattezzato cristiano, precisa che le cifre dimostrano che “gli stereotipi popolari sulla vita spirituale degli omosessuali e delle lesbiche sono semplicemente sbagliati”.
“La gente che dipinge i gay adulti come lontani da Dio, edonisti e anti-cristiani, non fa i conti con i fatti”, secondo Barna. “La grande maggioranza degli omosessuali cita la fede come perno centrale della loro vita, si considera cristiana e sostiene di avere un impegno personale rilevante verso Gesù Cristo presente nella sua vita.”
Inoltre, mentre i dati di Barna indicano che i credenti omosessuali tendono a evitare la partecipazione attiva a una chiesa istituzionale, sia dalle storie personali sia da alcune ricerche si evince che gli omosessuali e le lesbiche impegnati nelle loro chiese e confessioni sono spesso più partecipi alla chiesa e al ministero rispetto ai loro fratelli eterosessuali.
Per Scott Thumma, sociologo della religione all’Istituto di Hartford per la Ricerca sulla Religione e co-autore del testo “Religione gay”, i risultati di Barna non sorprendono. Thumma studia gli omosessuali nelle chiese sin dagli anni 80 e ha trovato fedeli gay in ogni religione – comprese le congregazioni evangeliche, mormone ed altre chiese conservatrici.
Perché? Sia la ricerca sia i cristiani gay stessi indicano parecchi fattori. Il più evidente è che gli omosessuali trovano nella Chiesa le stesse cose che trovano gli eterosessuali: comunità, famiglia e un posto dove vivere la loro chiamata – la loro vocazione – per aiutare gli altri, così come arricchiscono anche la propria fede.
“Mentre non riesco tuttora ad essere ordinato nella mia congregazione della Chiesa Riformata perché devono ancora riconoscere la mia chiamata, ciò non significa che vi rinunci”, afferma Ann Kansfield, co-pastore di una congregazione Riformata a Brooklyn, N.Y., con la sua collega, anche lei lesbica. (Il padre di Kansfield, ex capo del seminario nazionale della Chiesa Riformata d’America, perse il suo incarico nel 2005 perché prese parte al matrimonio della figlia con un altra donna).
“Niente mi impedirà di assistere la gente che Dio mi ha chiamato a servire, convinzione che non penso che molte persone capiscano. La Chiesa Riformata si è comportata in modo realmente disgustoso verso di me e la mia famiglia… ma se dovessi lasciare questa congregazione allo sbando, penserei di commettere un peccato”, dice Kansfield.
Thumma nota che la maggior parte dei cristiani gay – così come la maggior parte degli altri cristiani – fa parte delle comunità religiose perché apprezza il pastore o la musica o la comunità, mentre aspetti “confessionali” rivestono meno peso. Nella maggior parte delle chiese, l’atteggiamento nei confronti degli omosessuali è “vivi e lascia vivere”, oppure, molto spesso, “io non lo chiedo, tu non dirlo”.
È quando gli omosessuali e le lesbiche si manifestano pubblicamente, o chiedono l’ammissione a sacramenti quali l’ordinazione o il matrimonio, che si innescano i conflitti.
Ci sono anche altri fattori in gioco, che possono essere specifici della comunità e psicologia cristiana LGBT – lesbica-gay-bisessuale-transgender -.
Una delle teorie più controverse è giunta da uno studio effettuato alcuni anni fa dal sociologo Darren E. Sherkat, che ha confrontato il grado di coinvolgimento degli eterosessuali e degli omosessuali nell’attività religiosa.
Egli ha verificato che, al riguardo, gli uomini omosessuali mostrano livelli significativamente più elevati rispetto agli uomini eterosessuali (e sono risultati religiosamente più attivi anche delle lesbiche e dei bisessuali).
Gli omosessuali, ha notato Sherkat, partecipano alle funzioni “senza dovervi essere trascinati dalle compagne – come è il caso per gli uomini eterosessuali”.
Tra i fattori citati da Sherkat per spiegare il fenomeno vi è stato un desiderio degli omosessuali di “evitare il rischio della punizione eterna, stando vicini alla religione – proprio come succede alle donne eterosessuali”. Sherkat inoltre si è anche domandato se gli omosessuali si interessano a una religione orientata al maschile e con un salvatore maschio, Gesù. Vi sono anche altre spiegazioni, forse più convincenti.
Una di queste è che gli omosessuali e le lesbiche sono predisposti ad assistere gli altri come risultato della propria esperienza di vita e che il cammino cristiano del perdono, della redenzione e dell’accettazione li tocca profondamente.
“Una ragione per cui gli omosessuali sono spinti a servire in chiesa è che molti di loro sono stati a loro volta feriti. Essi sanno cosa si prova a sentirsi spezzati e vogliono aiutare gli altri su qualsiasi cosa li stia facendo soffrire”, ha detto il Rev. James Martin, prete gesuita e scrittore, che conosce omosessuali e lesbiche che si adoperano nel ministero nonostante non si possano dichiarare apertamente omosessuali.
“Il modello cristiano del capro espiatorio – l’emarginato, la persona che soffre ingiustamente – è molto forte, particolarmente per le persone gay”.
Allo stesso riguardo, altri citano l’incisivo testo di Christian de la Huerta sulla religiosità gay “Coming Out Spiritually” (“Fare Il Coming Out Spirituale”) e la sua riflessione che la gente gay è costretta, tra l’altro, a mediare tra la propria sessualità e spiritualità, una divisione che gli eterosessuali cristiani non si trovano a dover negoziare.
Questo rende le persone LGBT particolarmente esperte ad aiutare gli altri a destreggiarsi in un mondo di dualità, in particolare fra il mondo materiale e quello spirituale.
Inoltre, il processo di coming out come omosessuale è spesso ritenuto simile a quello del pellegrinaggio cristiano di conoscenza di sé e di auto-accettazione.
“Sono dell’avviso che una volta che distingui una chiamata – ossia che Dio ti ha creato gay – sei facilitato a capire la chiamata di Dio in altri settori, come verso il ministero” afferma Kansfield.
Gli omosessuali giunti a patti con la loro sessualità tendono inoltre ad essere attivi in Chiesa e particolarmente nell’adoperarsi per cambiare le politiche della Chiesa sull’omosessualità, per gli stessi motivi per cui sono impegnati in queste cause nella società civile: perché vogliono che la Cristianità e l’America vivano veramente secondo i valori dichiarati.
“Sono profondamente impegnata affinché gli Stati Uniti, come paese, vivano secondo i propri ideali costituzionali; inoltre, vedere la democrazia che adottiamo come ideale mi commuove profondamente”, ha detto il Rev. Rebecca Voelkel, lesbica e pastore della Chiesa Unita di Cristo, che dirige gli sforzi in tal senso da parte dell’Unità Operativa Nazionale Lesbica e Gay.
“Inoltre, parte del mio DNA è cristiano, perché sono membro della Chiesa Unita di Cristo. Le cause per cui la Chiesa combatte sono realmente la mia identità” (Voelkel nota che molti degli scettici più duri provengono proprio dall’interno della comunità LGBT, che, comprensibilmente, fanno l’equazione: religione organizzata = organizzata ostilità alle attività della comunità LGBT e alla sua identità).
La presenza di omosessuali nella Chiesa Cattolica può confondere soprattutto chi ne è al di fuori, perché non solo le gerarchie cattoliche sono da sempre nemiche giurate del matrimonio gay, ma in aggiunta il magistero della Chiesa denuncia gli atti omosessuali come una “grave depravazione” (per voler scegliere un’espressione moderata).
Inoltre, tali posizioni così negative riappaiono nonostante la presenza storica – e secondo alcuni anche in aumento- di omosessuali nel clero e nella gerarchia e nonostante le nuove politiche vaticane contro l’ammissione al seminario di omosessuali dichiarati.
Che altro? Oltre ai fattori appena citati, vi è la visione sacramentale del battesimo come vincolo dei Cattolici verso la Chiesa, in un legame che nessuno può dissolvere. “Così, non c’è tanto da chiedersi perché gli omosessuali si debbano sentire parte della Chiesa, quanto, piuttosto, perché non dovrebbero”, ha osservato padre Martin.
Altri notano le somiglianze estetiche fra cultura cristiana e sensibilità gay, soprattutto nelle tradizioni di vecchio stampo come il Cattolicesimo. Mark Jordan, studioso di religione gay alla Harvard Divinity School e autore di diversi libri provocatori come “Il silenzio di Sodoma: Omosessualità nel Cattolicesimo Moderno”, ha rilevato che questo senso del dramma presente nella Messa rende le chiese un palco privilegiato per le “Liturgy Queens” (Checche della liturgia), un epiteto che Jordan rivendica come un distintivo d’onore.
“La liturgia genera le sue dive, da entrambi i lati del palco. È uno show perfetto per fan gay appassionati”, scrive. Le Liturgy Queens non sono necessariamente membri del clero, ma si trovano tipicamente nelle vicinanze dell’altare – o almeno nel coro”. Oppure, come padre Martin ha espresso in termini un po’ più gentili, Michelangelo era probabilmente omosessuale: “Se non avessimo avuto gay cattolici, non avremmo ora la Cappella Sistina”.
La spiegazione forse più semplice e convincente per la dedizione dei gay cristiani si trova nella loro visione, sicuramente coerente con l’ortodossia, della teologia della dignità umana – ovvero, che Dio li ha creati come sono.
“Una volta sperimentata la grazia di Dio, niente mi potrebbe far rinunciare alla fede che mi ha permesso di sperimentare il potere trasformante della Sua grazia”, ha detto Kansfield. “Nessun omofobo, nessuno che ci voglia picchiare, o estromettere dalla Chiesa, niente mi allontanerà dall’amore di Dio e dall’esserGli riconoscente per il dono della grazia”.
(Cresciuta nella tradizione Riformata – e dotata di un pungente senso dell’umorismo – Kansfield inoltre si diverte a catalogare la questione come appartenente alla predestinazione dei Calvinisti: ” Quando sei fra gli eletti – visto che sei gay, intendo – perché rinunciarvi?”).
Il risultato è che i gay cristiani non hanno intenzione di lasciare a breve la Chiesa e quindi non si placheranno nemmeno le discussioni, le divisioni e la retorica spesso troppo accesa.
Alla loro riunione generale in luglio, per esempio, il clero e i fedeli della Chiesa Episcopale americana hanno definitivamente approvato una moratoria a favore dell’elezione di vescovi gay (e della benedizione alle coppie dello stesso sesso) proprio poche settimane dopo che una potente fazione della frangia dei conservatori si è scissa perché questa Chiesa accetta sempre di più gli omosessuali al suo interno.
La corrente scissionista mira a formare una nuova provincia americana della confessione anglicana nel mondo, forse sotto la giurisdizione di un prelato conservatore africano.
In giugno, gli enti regionali della più grande Chiesa Presbiteriana hanno rifiutato un programma che prevede l’ordinazione degli omosessuali, la terza sconfitta del genere in dodici anni. Stavolta, tuttavia, la proposta è stata bocciata per un margine più stretto che mai, segnale che il dibattito continuerà a dividere aspramente la Chiesa Presbiteriana americana.
Anche la Chiesa Metodista Unita ha visto una divisione simile. Il mese scorso ha annunciato che i suoi corpi regionali non sono riusciti a promuovere gli emendamenti (approvati invece l’anno precedente dai capi della Chiesa), che avrebbero consentito a qualsiasi fedele cristiano di appartenere alla Chiesa, indipendentemente dall’orientamento sessuale.
La proposta è nata da un episodio del 2005 accaduto in Virginia, in cui un pastore rifiutò l’appartenenza alla Chiesa a un omosessuale perché l’uomo non accettò di cambiare la sua sessualità.
Intanto, i maggiori rappresentanti nazionali dei Luterani si riuniranno a Minneapolis questo mese per discutere la controversa proposta – messa a punto dopo anni di accese discussioni – di permettere una sorta di “opzione locale” con cui le chiese possono scegliere di ordinare preti dichiaratamente gay (“dichiaratamente gay” o “in una relazione” sono frasi chiave, poiché alcune chiese ordineranno gli omosessuali a patto che rinuncino all’attività sessuale).
A tutto questo fermento si aggiungano gli sforzi crescenti di Roma di escludere gli omosessuali dal sacerdozio cattolico, dove alcuni temono che una “lavender mafia” (“mafia alla lavanda”) abbia la meglio.
Inoltre, il centro di gravità demografico della Cristianità si sta rapidamente spostando verso l’emisfero Sud – verso l’Asia, l’America Latina e, in particolare, verso l’Africa – dove i giudizi contro l’omosessualità sono particolarmente radicati. Man mano che queste chiese acquistano importanza in tutto il mondo, possono obbligare le chiese dell’America del Nord a scegliere fra una chiesa unita e i loro congregati gay.
D’altro lato, durante la sua storia la Cristianità ha già affrontato periodi di crisi riguardo chi ammettere al suo interno e come farlo — dalle dispute fra gli apostoli sull’accettare i Gentili, alla spaccatura della Riforma, ai disaccordi sulla razza e sul ruolo da destinare alle donne.
“Ciascuna di esse è secondo me un’occasione per la Chiesa di decidere come una singola entità: sceglieremo un’esagerata accoglienza, ospitalità e giustizia come linea guida per la comunità?
Oppure adotteremo il timore dell’altro e l’esclusione?” si è chiesta Rebecca Voelkel. “Ancora una volta, quando la Chiesa sceglie un benvenuto e per un’ospitalità inaspettati, si rende più forte e più autenticamente vicina al cuore del suo Vangelo”.
Inoltre, come ha notato l’ortodosso George Barna nella sua ricerca, sebbene la maggior parte dei cristiani omosessuali abbia rifiutato gli elementi del magistero per rimanere nella comunità, lo fa quasi “nella stessa misura con cui gli eterosessuali cristiani hanno rifiutato quegli stessi insegnamenti e princìpi.”
“Sebbene, chiaramente, ci siano alcune differenze sostanziali nel credo e nelle pratiche religiose dei fedeli eterosessuali rispetto a quelli dei fedeli gay”, conclude Barna, “tra gli eterosessuali e gli omosessuali ci può essere, in tema spirituale, una differenza minore di quella che molti Americani potrebbero presumere.”
Forse tutti abbiamo qualcosa da imparare l’uno dall’altro.
* David Gibson è un pluripremiato giornalista che si occupa di religione convertitosi al cattolicesimo nel 1980 durante il suo lungo soggiorno a Roma. Gibson ha cominciato la sua carriera giornalistica come redattore e editorialista del The Courier International, un piccolo quotidiano in lingua inglese di Roma.
Ha poi trovato lavoro come giornalista di là del Tevere alla Radio Vaticana, dove è stato assunto anche se non aveva alcuna esperienza di radio, non sapeva pronunciare il nome di “Karol Wojtyla” e non era cattolico.
Gibson, quando tornò negli Stati Uniti. nel 1990. tornò a occuparsi di giornalismo religioso per due quotidiani. Tra gli altri premi di giornalismo, Gibson ha vinto il Templeton religione Reporter of the Year Award, il top per i giornalisti che si occupano di religione sulla stampa laica.
Dal 2003 Gibson è stato uno scrittore indipendente specializzato in storia della religione contemporanea e in Storia del cristianesimo primitivo. Il suo primo libro, The Coming Catholic Church: How the Faithful are Shaping a New American Catholicism, ha affrontato scandalo degli abusi sessuali del clero e il suo libro più recente è una biografia del papa attuale, The Rule of Benedict: Pope Benedict XVI and His Battle with the Modern World (la Regola di San Benedetto: Papa Benedetto XVI e la sua battaglia con il mondo moderno).
Ha collaborato con la CNN e scritto per vari quotidiani e riviste tra cui The New York Times, Newsweek, The Wall Street Journal, la rivista New York, il Boston Magazine, Fortune, Commonweal e il Ladies Home Journal. Gibson è un membro di lunga data della Religion Newswriters Association. Lui, sua moglie e la figlia vivono a Brooklyn dove sta lavorando a un libro sulla conversione.
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