Perché parlate delle persone omosessuali senza conoscerle?
Lettera di Roberto inviata a Benedetta Frigerio, giornalista del settimanale Tempi, 11 settembre 2012
Gentile Signora Benedetta Frigerio*, più volte ho letto i suoi articoli sui gay (meglio dire persone omosessuali), è un argomento che l’appassiona particolarmente.
Le racconto una storia. C’era un bambino, avrà avuto 6-7 anni quando, dopo la scuola, si fermò a guardare un compagno che se ne tornava a casa, osservandolo con particolare interesse; quel ricordo è ancora fisso nella memoria.
Non si coinvolgeva nei giochi che appassionavano gli altri bambini. Passò solo qualche anno e fece una riflessione niente affatto banale: “perché io sono io?” e ancora: “sento di essere diverso”, naturalmente senza comprenderne la portata. Questo sarà evidente in seguito.
Poi iniziarono alcuni “giochi”, con un compagno, che si protrassero fino all’età di 18 anni. Questi poi andò a lavorare fuori e il ragazzo soffrì la solitudine, sprofondando nella depressione. Mancando questo amico incominciò a porsi tanti interrogativi. Quale era la sua natura, quale il suo posto nel mondo, quale affetto poteva colmare il suo bisogno di non essere solo. “Non è bene che l’uomo sia solo”.
Intorno a sé vedeva tutti gli altri fidanzarsi, i più grandi incominciavano a sposarsi, formarsi una famiglia. Quel ragazzo ascoltava in quel periodo la canzone di Catherine Spaak “Tutti i ragazzi che han la mia età hanno tutti qualcuno d’amar… un giorno anch’io avrò qualcuno d’amar”. E sognava di poter realizzare questo bisogno, comune a tutti, di amare e di essere amati. Allora contattò un medico il quale gli prescrisse (sic!) delle pillole per superare “la difficoltà”.
Un amico aveva incontrato delle ragazze al mare e invitò anche lui. Una di queste, evidentemente attratta, incominciò ad accarezzarlo sul petto e questi si eccitò. Ma, proprio in quel momento, gli venne in mente il volto della mamma, e tutto “svanì”.
La mamma di questo ragazzo aveva una concezione della sessualità (mutuata da una visione della Chiesa, almeno di un tempo) che considerava l’unione coniugale quasi una violenza, un peccato “necessario” perché il mondo potesse continuare. In definitiva un male. C’è voluto Giovanni Paolo II che ha beatificato due persone in quanto coniugi. Anche la Chiesa ha bisogno di tempo e di un percorso di approfondimento.
Questa ragazza poi invitò il giovane e un altro a casa sua per un festa e, ballando, si aggrappava al ragazzo aspettando una corrispondenza, un trasporto. Ma non ci fu alcuna “reazione”. Poi incontrò un’altra ragazza per un’ulteriore verifica. Questa alla fine gli disse che gli voleva bene ma “come un fratello”.
Il ragazzo, ormai giovane, fece un ultimo tentativo con una prostituta. Ma tralascio l’esito. Questo giovane ormai viveva nella totale solitudine, l’unico impegno e sostegno era il lavoro. Confidarsi, chiedere, parlarne? E a chi? E come?
Alla fine la mamma, si accorse del disagio e gli chiedeva perché non uscisse, perché non presentava ai suoi qualche fidanzata. Queste domande diventavano sempre più pressanti. Finché… una sera, in un clima di insostenibilità, piangendo, le disse che ne avrebbe parlato col parroco il quale, sperava, avrebbe fatto da tramite per far comprendere.
Andò da questo parroco, incominciò a raccontare, si può immaginare con quale stato d’animo. Era andato per ricevere accoglienza, fu cacciato, come si può scacciare uno spirito immondo. Aveva cercato delle braccia che l’accogliessero, e invece…Il giovane poi gli ha anche perdonato.
Tragedia in famiglia, disperazione. Questo giovane fu portato da un endocrinologo per accertare “eventuali anomalie”. Naturalmente niente di tutto questo. Il dottore disse: posso dargli “qualcosa per un maggiore appetito sessuale” (proprio così!). Il giovane gli fece capire che non era certo quello di cui aveva bisogno.
Fu portato allora da uno psicologo (questi persona seria e professionale). Fece prima accomodare il fratello fuori e sottopose il giovane ad una serie di domande, alla fine fece entrare il fratello e disse: “Suo fratello agisce coerentemente col suo sentire. Agisce con un metro diverso dal mio e dal suo, ha solo un metro differente. Se le dicessi che per “modificare il suo agire” si rendessero necessarie una serie di incontri, terapie con i relativi costi, la sua famiglia certamente sarebbe disponibile. Ma mentre ora suo fratello è equilibrato, inserito nel mondo del lavoro e nella società, dopo rischieremmo di farne un disadattato e allora non basterebbero tutti i soldi per restituirgli la serenità”. (questo anche a proposito delle cosiddette “terapie riparative”).
Alla fine il giovane trovò la serenità semplicemente “riconoscendo e accettando una realtà” che si trovava addosso, condizione certamente non scelta. La storia potrebbe continuare, parlare della sofferenza che ha provato, le angosce, le insonnie, il pianto, la solitudine. Naturalmente lei conosce certi stati d’animo, il vissuto di queste persone! O mi sbaglio?
Questo giovane, crescendo, ha cercato di capire, leggere, confrontarsi, anche con sacerdoti e vescovi. Ha studiato tutti i documenti della Chiesa. E ha concluso che questa realtà non la si conosce o, forse, si ha paura di conoscerla. Ci si ferma generalmente a quanto appare, a certe rivendicazioni, quando poi ci si confronta personalmente col vissuto della gente, forse allora cambia anche il giudizio. Il confronto diventa più riflessivo e prudente.
Le racconto un’altra storia. Una donna spesso passava davanti ad una salumeria, il cui proprietario era una persona omosessuale, apostrofandolo con quei “belli e usuali appellativi” di cui spesso si fa sfoggio. Questa donna poi ha avuto un figlio ed è omosessuale. Secondo lei passando davanti a quella salumeria quale sarà stato il suo atteggiamento? Che giudizio ne dà oggi?
Confrontarsi con la realtà senza alcun pre-giudizio, anche morale, fa cambiare visione. Ogni giudizio deve partire sempre dal vissuto delle persone, quando si parte dal già saputo, codificato, si preclude ogni possibilità di conoscenza. C’è solo una cosa su cui si può riflettere ed è chiedersi: come una persona che si trova in questa “condizione non scelta” può viverla in pace con se stesso senza sentirsi in colpa, accolto e rispettato nella chiesa e nella società. Allora c’era un ragazzo che voleva fortemente costruirsi una famiglia, gioire dei figli, ma non gli è stato dato, ora quell’uomo cerca di vivere con dignità la sua condizione.
Si confronti con le persone reali, si faccia raccontare le loro storie, è un consiglio che mi permetto suggerirle.
Cordialmente, Roberto
* Lei sta promuovendo una sacrosanta battaglia contro la degenerazione del comportamento omosessuale. E in questa lotta non posso che essere al suo fianco.
Vorrei solo sapere da lei quale è il metodo di lotta che preferisce: quello dei roghi, o dei gulag sovietici? Quello dei campi di sterminio nazisti o il confino che decretava Mussolini. Oppure le impiccagioni dell’Iran? Grazie.Non si coinvolgeva nei giochi che appassionavano gli altri bambini. Passò solo qualche anno e fece una riflessione niente affatto banale: “perché io sono io?” e ancora: “sento di essere diverso”, naturalmente senza comprenderne la portata. Questo sarà evidente in seguito.
Poi iniziarono alcuni “giochi”, con un compagno, che si protrassero fino all’età di 18 anni. Questi poi andò a lavorare fuori e il ragazzo soffrì la solitudine, sprofondando nella depressione. Mancando questo amico incominciò a porsi tanti interrogativi. Quale era la sua natura, quale il suo posto nel mondo, quale affetto poteva colmare il suo bisogno di non essere solo. “Non è bene che l’uomo sia solo”.
Intorno a sé vedeva tutti gli altri fidanzarsi, i più grandi incominciavano a sposarsi, formarsi una famiglia. Quel ragazzo ascoltava in quel periodo la canzone di Catherine Spaak “Tutti i ragazzi che han la mia età hanno tutti qualcuno d’amar… un giorno anch’io avrò qualcuno d’amar”. E sognava di poter realizzare questo bisogno, comune a tutti, di amare e di essere amati. Allora contattò un medico il quale gli prescrisse (sic!) delle pillole per superare “la difficoltà”.
Un amico aveva incontrato delle ragazze al mare e invitò anche lui. Una di queste, evidentemente attratta, incominciò ad accarezzarlo sul petto e questi si eccitò. Ma, proprio in quel momento, gli venne in mente il volto della mamma, e tutto “svanì”.
La mamma di questo ragazzo aveva una concezione della sessualità (mutuata da una visione della Chiesa, almeno di un tempo) che considerava l’unione coniugale quasi una violenza, un peccato “necessario” perché il mondo potesse continuare. In definitiva un male. C’è voluto Giovanni Paolo II che ha beatificato due persone in quanto coniugi. Anche la Chiesa ha bisogno di tempo e di un percorso di approfondimento.
Questa ragazza poi invitò il giovane e un altro a casa sua per un festa e, ballando, si aggrappava al ragazzo aspettando una corrispondenza, un trasporto. Ma non ci fu alcuna “reazione”. Poi incontrò un’altra ragazza per un’ulteriore verifica. Questa alla fine gli disse che gli voleva bene ma “come un fratello”.
Il ragazzo, ormai giovane, fece un ultimo tentativo con una prostituta. Ma tralascio l’esito. Questo giovane ormai viveva nella totale solitudine, l’unico impegno e sostegno era il lavoro. Confidarsi, chiedere, parlarne? E a chi? E come?
Alla fine la mamma, si accorse del disagio e gli chiedeva perché non uscisse, perché non presentava ai suoi qualche fidanzata. Queste domande diventavano sempre più pressanti. Finché… una sera, in un clima di insostenibilità, piangendo, le disse che ne avrebbe parlato col parroco il quale, sperava, avrebbe fatto da tramite per far comprendere.
Andò da questo parroco, incominciò a raccontare, si può immaginare con quale stato d’animo. Era andato per ricevere accoglienza, fu cacciato, come si può scacciare uno spirito immondo. Aveva cercato delle braccia che l’accogliessero, e invece…Il giovane poi gli ha anche perdonato.
Tragedia in famiglia, disperazione. Questo giovane fu portato da un endocrinologo per accertare “eventuali anomalie”. Naturalmente niente di tutto questo. Il dottore disse: posso dargli “qualcosa per un maggiore appetito sessuale” (proprio così!). Il giovane gli fece capire che non era certo quello di cui aveva bisogno.
Fu portato allora da uno psicologo (questi persona seria e professionale). Fece prima accomodare il fratello fuori e sottopose il giovane ad una serie di domande, alla fine fece entrare il fratello e disse: “Suo fratello agisce coerentemente col suo sentire. Agisce con un metro diverso dal mio e dal suo, ha solo un metro differente. Se le dicessi che per “modificare il suo agire” si rendessero necessarie una serie di incontri, terapie con i relativi costi, la sua famiglia certamente sarebbe disponibile. Ma mentre ora suo fratello è equilibrato, inserito nel mondo del lavoro e nella società, dopo rischieremmo di farne un disadattato e allora non basterebbero tutti i soldi per restituirgli la serenità”. (questo anche a proposito delle cosiddette “terapie riparative”).
Alla fine il giovane trovò la serenità semplicemente “riconoscendo e accettando una realtà” che si trovava addosso, condizione certamente non scelta. La storia potrebbe continuare, parlare della sofferenza che ha provato, le angosce, le insonnie, il pianto, la solitudine. Naturalmente lei conosce certi stati d’animo, il vissuto di queste persone! O mi sbaglio?
Questo giovane, crescendo, ha cercato di capire, leggere, confrontarsi, anche con sacerdoti e vescovi. Ha studiato tutti i documenti della Chiesa. E ha concluso che questa realtà non la si conosce o, forse, si ha paura di conoscerla. Ci si ferma generalmente a quanto appare, a certe rivendicazioni, quando poi ci si confronta personalmente col vissuto della gente, forse allora cambia anche il giudizio. Il confronto diventa più riflessivo e prudente.
Le racconto un’altra storia. Una donna spesso passava davanti ad una salumeria, il cui proprietario era una persona omosessuale, apostrofandolo con quei “belli e usuali appellativi” di cui spesso si fa sfoggio. Questa donna poi ha avuto un figlio ed è omosessuale. Secondo lei passando davanti a quella salumeria quale sarà stato il suo atteggiamento? Che giudizio ne dà oggi?
Confrontarsi con la realtà senza alcun pre-giudizio, anche morale, fa cambiare visione. Ogni giudizio deve partire sempre dal vissuto delle persone, quando si parte dal già saputo, codificato, si preclude ogni possibilità di conoscenza. C’è solo una cosa su cui si può riflettere ed è chiedersi: come una persona che si trova in questa “condizione non scelta” può viverla in pace con se stesso senza sentirsi in colpa, accolto e rispettato nella chiesa e nella società.
Allora c’era un ragazzo che voleva fortemente costruirsi una famiglia, gioire dei figli, ma non gli è stato dato, ora quell’uomo cerca di vivere con dignità la sua condizione.
Si confronti con le persone reali, si faccia raccontare le loro storie, è un consiglio che mi permetto suggerirle.
Cordialmente, Roberto
* Lei sta promuovendo una sacrosanta battaglia contro la degenerazione del comportamento omosessuale. E in questa lotta non posso che essere al suo fianco.
Vorrei solo sapere da lei quale è il metodo di lotta che preferisce: quello dei roghi, o dei gulag sovietici? Quello dei campi di sterminio nazisti o il confino che decretava Mussolini. Oppure le impiccagioni dell’Iran? Grazie.