Perché quelle paure sugli omosessuali nella Relatio finale del Sinodo?
Riflessioni di Gianni Geraci, portavoce Gruppo del Guado di Milano
Il Sinodo è finito e, come capita spesso dentro la Chiesa cattolica, la paura di alcuni non ha permesso ai padri sinodali di dire, alle persone omosessuali, quello che una chiesa davvero preoccupata di annunciare a tutti il Vangelo di Gesù, avrebbe dovuto dire.
I padri sinodali hanno discusso due settimane per arrivare a scrivere un breve testo in cui non si fa altro che copiare alcuni passaggi di vecchi documenti: prima è stata riportata una frase di un documento “Considerazioni circa il riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”, pubblicato nel 2003 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e difficilmente identificabile come un testo autorevole del Magistero della chiesa, visto che si occupa di un argomento squisitamente politico qual è la disciplina con cui uno Stato regola diritti e doveri delle unioni formate da persone omosessuali; poi vengono citati due passaggi del catechismo.
Di tutte le altre cose che erano scritte nella Relatio post disceptationem che era stata letta all’inizio della scorsa settimana non è rimasta traccia.
Resta invece traccia, al punto 56, di un’altra affermazione sull’omosessualità, quella in cui si dichiarano inaccettabili le pressioni che i pastori subiscono quando si parla di omosessualità.
E, alla luce di quest’ultima affermazione ha senso chiedersi quali pressioni abbiano spinto il Sinodo straordinario sulla famiglia a cambiare, in maniera così radicale, i paragrafi dedicati all’omosessualità nella sua relazione finale.
Perché queste pressioni, dettate da una paura tutt’altro che evangelica, sono state ritenute accettabili, mentre le aspettative degli omosessuali credenti, delle loro famiglie, della società, delle comunità cristiane e di molti vescovi che si sono lasciati intervistare in questi ultimi giorni, sono state ritenute inaccettabili?
Non possiamo nasconderci il fatto che il dibattito intorno alle cose da dire alle persone omosessuali è stato particolarmente vivace e ha spinto alcuni vescovi a dissentire molto chiaramente da quanto stava emergendo durante il Sinodo.
Ed è proprio questo dissenso che ci deve far capire finalmente una cosa: si può essere dei bravi cattolici anche quando non si condividono alcune affermazioni che il magistero propone ai fedeli come non infallibili e come non definitive e che quindi, visto che tutte le cose che il Magistero dice sull’omosessualità appartengono a questo tipo di affermazioni, si può essere dei bravi cattolici anche se non si condividono certe uscite imbarazzanti con cui il Magistero ha parlato di omosessualità.
In questo percorso di maturazione di una fede cattolica adulta ci può aiutare l’esempio del beato cardinale Newman che, in una lettera al Duca di Norfolk, scrive: “Se uno di noi è in grado di dire a se stesso, come se si trovasse alla presenza di Dio, che non deve agire in conformità di quanto gli viene comandato dal papa, egli è obbligato a obbedire, e, se disobbedisse, commetterebbe un peccato”.
E se questo vale per il papa, a maggior ragione vale per tutti i testi scritti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che il Sinodo sulla Famiglia ha citato.