Perché serve una pastorale cattolica con le persone omosessuali?
Testo tratto dal libro di Damiano Migliorini e Beatrice Brogliato, L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e pastorale. In dialogo per una nuova sintesi, Cittadella editrice, 2014, pp.354-356
[…] Crediamo sia importante porsi la domanda che sta a titolo di questo paragrafo. La situazione delle nostre comunità (cattoliche), infatti, è nota: «La difficoltà delle persone omosessuali a vivere nelle comunità ecclesiali è accresciuta da una pastorale che si trova normalmente impreparata o presa alla sprovvista di fronte alla presenza di una persona omosessuale: nei gruppi giovani, nelle associazioni, nei movimenti»[1].
Di fronte all’evidenza, la Chiesa non può più far finta di nulla Ignorare tale problematica, infatti, va contro i principi della Chiesa stessa. Perché da un punto di vista cristiano, la persona omosessuale credente è Chiesa, in virtù del battesimo ricevuto»[2]. E sebbene si possa trattare di una minoranza – e nelle nostre parrocchie forse di un numero davvero esiguo – ricordiamoci sempre che «pastoralmente parlando, un’anima è già una diocesi» [3].
Se dunque ci si decide ad agire, le domande che una pastorale si dovrebbe porre, di fronte a un soggetto omosessuale, potrebbero essere queste: quale vita cristiana può essere proposta alla persona omosessuale? Qual è il ruolo dei genitori? Del sacerdote, degli amici, della comunità?[4].
[…] Che sia rivolta a tutti i fedeli o alle singole persone omosessuali, (la pastorale) è prima di tutto un dovere. Nel caso della pastorale rivolta alle seconde, per integrare i tre poli, può essere utile spostare l’accento dalla morale alla spiritualità: allargare gli orizzonti cercando di capire come la persona può maturare al meglio mettendosi in confronto con il Vangelo, senza ridurre la questione al “si può” o “non si può” in ambito sessuale; la spiritualità cristiana propone delle prospettive di senso (vivere nell’onestà, nel servizio, in relazioni affettive, coltivare la Parola, la preghiera etc.) che valgono per tutte le persone in ogni situazione [6]. La spiritualità è una vita interiore profonda, è impegno e fedeltà alle vicende umane, è antidoto al nichilismo, è progetto [7].
Nel proporre alcuni orientamenti cogliamo anche la giusta provocazione di Goffredo Crema, secondo cui il nostro compito «non è quello di distribuire consigli e tantomeno risolvere problemi, ma semplicemente metterci in ascolto, collocandoci alla pari», poiché l’ansia principale di ogni persona è di «non essere sola davanti al problema»[8]. Anche se noi in effetti forniremo alcuni consigli, sarà chiaro al lettore quanto essi siano per lo più “aperti”, rispettosi delle situazioni concrete a cui mai potranno applicarsi senza la mediazione della persona che le vive.
Del resto, nota Valter Danna, «capire la diversità è sempre difficile e a volte impossibile». Eppure, vi sono degli atteggiamenti che possono portare ad accettarla e favorirne l’accettazione per una convivenza più serena. Questo è «possibile e doveroso. soprattutto nelle famiglie e nelle comunità cristiane […]. Si tratta di accogliere, ascoltare, comprendere ciò che agita il cuore dell’uomo contemporaneo nelle svariate situazioni in cui si trova. […] I tre verbi creano un clima relazionale dove la persona non ~1 sente immediatamente giudicata, né condannata, bensì percepisce un’atmosfera calma e serena nella quale fare emergere le proprie angosce e difficoltà. Un tale atteggiamento deve essere favorito nelle comunità» [9].
Laddove non si può arrivare a capire, cioè, si può comunque condividere, mettersi fianco a fianco. Quando diamo da mangiare a una persona con una tetraparesi spastica noi non comprendiamo cosa possa voler dire per lei ogni singolo gesto di masticazione. Eppure, ci sediamo vicino a questa persona e le diamo da mangiare, la vestiamo, la laviamo, le parliamo come ad ogni altra persona.
Nel rompere le barriere, anche quelle della fisicità, scopriamo che non è impossibile mettersi accanto e vivere con coloro che apparentemente sono diversi da noi: «Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza»[10].
L’invito ad ascoltare e comprendere, riguarda soprattutto la possibilità che l’amore espresso da due omosessuali possa essere amore davvero. Non nascondiamo le difficoltà che ciò comporta, anche perché siamo consapevoli dei condizionamenti culturali che bloccano la maggioranza delle persone, e che le portano, spesso, a vedere in tutte le manifestazioni d’amore non comuni qualcosa di patologico. Del resto, ci sono azioni che a prima vista ci danno un senso di malessere, ma solo perché non siamo abituati a vederle.
Quando un ragazzo con forte disabilità si sporca mangiando possiamo avere, a un primo impatto, un senso di rifiuto, per il semplice fatto che il diverso ci inquieta sempre, perché ci spinge a cambiare il nostro sguardo, mentre noi siamo tenacemente portati a non cambiare mai. Ma poi, quando diventa una cosa comune, non si riesce forse a scorgere l’infinita bellezza dell’amore della mamma che amorevolmente gli dà da mangiare? Non scorgiamo la bellezza anche di quel modo di essere del ragazzo? Si tratta, anche qui, di uscire dalle nostre intuizioni, capire quali sono quelle che derivano solo da un’abitudine. Così, noi siamo spesso portati a non credere alla persona omosessuale che dice di essersi innamorata di una persona dello stesso sesso.
Crediamo sia un falso sentimento creato da non si sa quale turba mentale. Nella carezza o nel bacio che queste persone si scambiano, allora, vediamo qualcosa di malsano. Ma è proprio qui che dobbiamo dimettere il nostro sguardo violento e provare a guardare alla realtà con gli occhi della tenerezza.
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1. V. Danna, Fede e omosessualità. Assistenza pastorale e accompagnamento spirituale, Effatà 2009, p. 26.
2. C. BEFFA, Accompagnarli in un itinerario di redenzione, in AA.Vv., Omosessualità, dall’emarginazione all’accoglienza, «Famiglia Oggi», 47 (1990), p. 81.
3. L. Rossi, C’è spazio per gli omosessuali?, «Presbiteri», 30 (1996) 2, p.110.
4. Cfr. Elementi di una pastorale per le persone omosessuali, in AA. Vv., Antropologia cristiana e Omosessualità, Quaderni de L’Osservatore Romano, Città del Vaticano 2000, pp. 111-120.
5. AA.Vv., Il posto dell’altro, cit., pp. 68-69.
7. E. BIANCHI, Per un ‘etica condivisa, cit., p. 65.
8. G. CREMA, Il bisogno di ascolto, in AA.Vv., Il posto dell’altro, cit., p. 81
9. V. DANNA, Fede e omosessualità. Assistenza pastorale e accompagnamento spirituale, Effatà 2009, p. 36 e p. 49.
10. PAPA FRANCESCO, Evangelii Gaudium, n. 88.