I cristiani LGBT+ nella chiesa cattolica. Se non ne parliamo noi chi lo farà per noi?
Contributo sull’inclusione delle persone LGBT+ e i loro genitori elaborato da La Tenda di Gionata e presentato al percorso sinodale il 23 aprile 2022, pubblicato in Dalle frontiere al Sinodo. Alcuni percorsi fatti con i cristiani LGBT+ all’interno del cammino sinodale in Italia, a cura di padre Pino Piva sj e Gianni Geraci, edito La Tenda di Gionata nel novembre 2022, pp.7-12
La Tenda di Gionata è un’associazione cristiana nata su sollecitazione di don David Esposito, presbitero prematuramente scomparso, che “sognava” delle comunità cristiane capaci di «allargare la tenda (Is 54,2) per essere sempre più santuari di accoglienza e sostegno verso le persone LGBT+ e verso ogni persona colpita da discriminazione». Partendo da questo mandato ci siamo sentiti interpellare dal percorso sinodale e abbiamo organizzato due incontri pubblici che si sono svolti online:
- il primo, che si è svolto il 31 ottobre 2021, era dedicato al tema: «I cattolici LGBT+ in cammino verso il Sinodo» ed è stato guidato dalle domande proposte da suor Maria Luisa Berzosa, che ci ha comunque esortati a portare la nostra testimonianza, dicendoci chiaramente: «Se non lo fate voi, chi lo farà mai per voi?».
- il secondo si è svolto il 12 dicembre 2021 con un incontro sul tema: «Alzati, e va! (At 8,2)» nel quale ci siamo chiesti come «sognare la Chiesa che siamo chiamati a essere» (Documento Preparatorio 32).
Il testo di questo contributo è quindi il frutto di un percorso a cui hanno partecipato ottanta persone provenienti da una grande varietà di esperienze (parrocchie, movimenti ecclesiali locali e nazionali, etc…): cristiani LGBT+, genitori cristiani di persone LGBT+ e operatori pastorali che li accompagnano.
Attraversare il deserto
L’esperienza della pandemia e del lockdown ha profondamente modificato i modi e gli stili di partecipazione dei cristiani alla vita della Chiesa: come non ricordare l’immagine di papa Francesco che prega e benedice in una piazza San Pietro vuota, simbolo non solo di solitudine e di sofferenza, ma anche del bisogno di una comunione che abbraccia tutti.
I credenti LGBT+ conoscevano bene il significato dell’isolamento e l’anelito verso relazioni di fede e di amore autentiche: forse per questo motivo il distanziamento imposto dal COVID-19 ha favorito e stimolato un numero impressionante di iniziative.
- È stata sorprendente la crescita del numero di persone che hanno aderito ad associazioni che, come La Tenda di Gionata, si rivolgono ai cristiani LGBT+ e ai genitori credenti di persone LGBT+. Anche le iniziative di formazione e di incontro online si sono moltiplicate.
- Sono state centinaia le persone che hanno incrociato la “Casa di Cornelio“, un’esperienza di preghiera online che è iniziata nel marzo del 2020 e che continua ancora, proponendo ogni giorno la recita comune delle Lodi mattutine e della Compieta.
La preghiera dei salmi si è rivelata capace di includere tutte e tutti: donne e uomini, consacrati e laici, giovani e anziani, eterosessuali e omosessuali uniti dal desiderio di celebrare l’amicizia e la salvezza che Dio offre a ciascuno. - Un’altra iniziativa che è fiorita durante gli ultimi due anni è il progetto “MI FIDO DI TE“, che offre gratuitamente ascolto e sostegno alle persone LGBT+ e ai loro familiari, offrendo loro il supporto di psicologi, sacerdoti, genitori, coppie e singoli credenti formati per rispondere alle esigenze di chi cerca aiuto.
- C’è infine il lavoro di educazione all’amore coniugale che, grazie all’impegno di alcuni genitori sposati da molti anni e al supporto di alcuni sacerdoti, ha coinvolto molte coppie omosessuali che intendono prepararsi cristianamente all’unione civile come progetto d’amore.
Si può concludere che il lockdown ci ha portati a fare meglio ciò che facevamo da sempre, ovvero fare rete, camminare insieme attraversando il deserto e, non a caso, durante gli incontri sinodali che abbiamo fatto, è stato detto che questi cammini nuovi «sono una ricchezza profetica che non va dispersa e che la Chiesa dovrebbe conoscere e riconoscere, accogliendo il flusso della Grazia là dove si manifesta».
Abbiamo capito che è tempo di raccontare «queste buone pratiche che stiamo vivendo per rendere ragione della nostra fede, della speranza che è in noi e per arricchire la Chiesa tutta».
LE TESTIMONIANZE
Ascoltare la storia reale delle persone
Negli Atti degli Apostoli, lo Spirito spinge Filippo a salire sul carro dell’eunuco della regina Candace e a diventare suo compagno di strada (8,29): questo episodio ci dice che il messaggio della salvezza è rivolto a tutte e a tutti. Alcuni genitori cattolici di persone LGBT+ hanno concluso che: «È il Battesimo che ci fa tutti figli e figlie di un unico Padre con la stessa dignità ed è in questa radice che, per grazia, siamo tutti santificati».
Alcuni giovani LGBT+ hanno sottolineato che: «In virtù di questa appartenenza desideriamo essere ascoltati in profondità, con un ascolto delle esperienze, delle vite e dei cuori, sia di chi partecipa ancora alla vita della Chiesa, ma anche di chi ne è stato allontanato. Tanti di noi hanno trovato ostacoli nella mancanza di visibilità, nell’essere messi ai margini della vita pastorale della comunità, nell’essere stati esclusi addirittura dai sacramenti».
Sulla scia di questa discussione, nel contributo degli operatori pastorali, si legge l’auspicio che queste voci “fuori dal coro” vengano raccolte e rappresentate nei documenti di sintesi del percorso sinodale affinché si possa arrivare alla consapevolezza condivisa che le diversità sono ricchezza e che siamo chiamati a realizzare quella che don Tonino Bello definiva la «convivialità delle differenze».
Alla luce di queste riflessioni siamo convinti che il Sinodo può diventare quell’opportunità unica di ascolto, di dialogo, di partecipazione e di parresia che le persone LGBT+ attendono da tanto tempo: «Non possiamo e non vogliamo tacere perché diciamo quello che la vita ci spinge a dire, perché la normalità della nostra vita e le bellezze che vi abbiamo potuto sperimentare sono più forti di qualunque idea; perché le istanze patite nella nostra carne non ci possono lasciare tiepidi», hanno infatti detto alcuni di noi durante gli incontri che hanno portato alla stesura di questo documento.
Diversità come ricchezza
Alcuni partecipanti ai nostri incontri sinodali hanno raccontato con dolore che alcuni sacerdoti continuano ad attaccare le persone LGBT+ spingendo spesso i loro famigliari a non accoglierle più in casa se hanno un partner. Altri hanno osservato che: «I sacerdoti e i consacrati dovrebbero scegliere, con coerenza e coraggio, di incontrare le persone e di ascoltare le loro storie» in cui si intrecciano sofferenze e speranze e dove, non di rado, si possono riconoscere i semi di un amore interpersonale oblativo, ispirato al Vangelo, che la preghiera e la vicinanza della Chiesa possono nutrire e rafforzare.
«Con i nostri percorsi di fede e di relazione – ha scritto una coppia omosessuale – vogliamo testimoniare che quello che viviamo non è un amore disordinato, bensì un amore capace di portarci a spendere le nostre vite per realizzare il vero bene di ciascuno in un percorso fatto anche di formazione e di preghiera».
Accogliere le persone LGBT+ permetterebbe alla Chiesa di vivere la “vera” accoglienza, che non può mai essere un’accoglienza a metà, che mutila e deturpa le persone, negando loro il diritto – che è anche un diritto umano – di essere sé stesse e di amare come Dio le ha create.
Ascolto e visibilità diventano così le condizioni per cogliere il bene di cui le persone sono portatrici, per raccontare questo bene e, quindi, per “benedirlo”.
La mamma cattolica di una ragazza lesbica ha scritto: «Noi raccontiamo quello che abbiamo visto, udito e toccato: è il Signore che abbiamo incontrato in queste realtà. Sentiamo forte la spinta interiore a prendere la parola, perché sogniamo in questo percorso sinodale la Chiesa del futuro, la Chiesa che vorremmo consegnare alle generazioni che seguiranno».
I genitori con i figli LGBT+ come metafora di Dio
Dalla nostra Chiesa ci aspettiamo un amore coerente, come quello di tanti genitori che accolgono con amore incondizionato e accompagnano nelle loro relazioni le figlie e i figli LGBT+ con la loro identità di persone create da Dio così come sono.
Come suggerisce l’esortazione apostolica Amoris laetitia (cfr. 170) questi genitori diventano uno “strumento” dell’amore di Dio per figlie e figli feriti ed è da loro che la Chiesa dovrebbe imparare, evitando di avallare la discriminazione, come invece è capitato in occasione del dibattito che c’è stato intorno al DDL Zan.
Una coppia di genitori cattolici che hanno un figlio gay ha detto: «Abbiamo davvero sofferto nel vedere come non siano state difese le vittime di violenza, le vite di figli e figlie colpiti/e fisicamente o psicologicamente solo perché omoaffettivi/e o perché incamminati in un percorso difficile e ricco di sofferenze qual è il percorso di ricerca della propria identità di genere».
Il Vangelo ci chiede di essere coerenti e ci impone quindi di rispetta- re le persone e i loro diritti, tra cui ci sono anche il diritto di amare, di essere riconosciute nella loro preziosa diversità.
Per una Chiesa empatica
Crediamo che il Sinodo sia un’occasione unica per creare nei fedeli consapevolezza e consensus fidelium: se i fedeli laici, che formano il “corpo” della Chiesa, sapranno maturare e proporre una vera sensibilità etica nuova, allora non solo la pastorale, ma anche la dottrina potranno passare dalla dimensione dell’autorità a quella dell’autorevolezza.
Auspichiamo che la Chiesa, deposto per sempre il linguaggio della maledizione e dell’esclusione impari ad avere uno sguardo rinnovato ed empatico, capace cioè di comprendere i germi di bene e di grazia presenti in tutte le scelte che possono diventare segni dell’a- more e della benedizione di Dio.
«Vogliamo incanalare la nostra frustrazione – ha scritto un ragazzo gay – verso qualcosa di costruttivo, vogliamo essere presenti per essere visibili con il nostro ruolo, con la nostra voce, perché raccontando chi siamo e cosa viviamo, tutti possono cogliere i segni dello Spirito che opera anche nelle nostre vite».
LE NOSTRE PROPOSTE
Linguaggio e accoglienza
C’è un “debito di ascolto” che riguarda le persone LGBT+ e i loro famigliari: certe esperienze di vita in cui si sono sedimentate sofferenze storiche, ma anche evoluzione, consapevolezza e crescita morale, debbono essere narrate e debbono incontrare un ascolto autentico, comprensivo, umile da parte della Chiesa per cui rappresentano un tesoro che le permetterà di imparare modi nuovi per comunicare il linguaggio della fedeltà e della riconciliazione.
Le persone LGBT+ e i loro famigliari debbono essere incoraggiate a raccontarsi mettendo da parte finalmente il linguaggio della condanna e dell’esclusione che marchia le relazioni omosessuali come «gravi depravazioni», che le presenta come «tendenzialmente cattive» e «intrinsecamente disordinate».
Sono queste espressioni presenti anche in alcuni documenti del magistero e non ci si deve meravigliare se poi molti atteggiamenti pastorali concreti spingono i cattolici LGBT+ fuori dalla Chiesa, li allontanano dalla vita sacramentale, dagli organismi pastorali, dai gruppi, dagli incarichi a servizio della comunità, perché impongono un nascondimento e un silenzio fatti di ipocrisia e di paura.
Non possiamo nasconderci il fatto che migliaia di persone si sono allontanate dalla Chiesa per le scelte pastorali ispirate da questo linguaggio inadeguato: costringere all’invisibilità non è umano, non è evangelico, non è amore. E il senso di profonda delusione e di rabbia, la scelta di abbandonare la Chiesa che constatiamo nella vita di tanti cattolici LGBT+ e delle persone che sono loro vicine, sono generate anche da questo vizio di fondo.
Molti degli interventi che abbiamo raccolto parlano dell’esigenza di raccontare se stessi, di uscire dal nascondimento e dall’ipocrisia esattamente come tutti gli altri credenti: senza ostentare, ma per condividere la propria vita in relazioni di amicizia e di fraternità autentiche all’interno di una Chiesa che si ama, di cui ci si sente parte e in cui si vorrebbe rimanere.
Iniziative concrete
Vorremmo che il Sinodo si interrogasse sui modi migliori per portare avanti queste istanze:
- Favorire un vero dialogo territoriale, una testimonianza “porta a porta” dei credenti LGBT+, attraverso dibattiti nelle comunità e nelle parrocchie in cui la norma morale deve essere eticamente motivata, non imposta attraverso il ricorso ad atteggiamenti autoritari che contraddicono il Vangelo e soffocano il pensiero critico e la libertà della coscienza;
- Accogliere le veglie di preghiera per il superamento della violenza dell’omotransfobia e contro tutte le discriminazioni, che ancora fanno fatica a trovare accoglienza in molte diocesi;
- Proporre una catechesi dell’amore e della sessualità attenta anche alle esigenze delle persone e delle coppie omosessuali;
- Attuare una seria formazione dei sacerdoti (che spesso ammettono di non essere abbastanza preparati su questi temi) anche attraverso lo studio di quelle scienze umane (filosofia, medicina, pedagogia, psicologia, sociologia) a cui la tradizione della Chiesa ha spesso riconosciuto la libera capacità di cercare il bene: se gli operatori pastorali saranno più preparati e più sensibili, difficilmente potranno ancora ferire le persone LGBT+ e i loro genitori nella confessione, nella direzione spirituale, nelle catechesi, nelle omelie.
Non ha senso parlare di “rispetto, compassione e delicatezza” (Catechismo della Chiesa cattolica, 2358) se poi non c’è un comportamento coerente nello stile pastorale e nelle scelte con cui la Chiesa guida le singole comunità cristiane e contribuisce al dibattito nella società civile;
- Superare una storia in cui, per secoli la società ha ritenuto giusto emarginare e maltrattare le persone LGBT+ anche grazie agli alibi morali che venivano forniti dalla Chiesa e iniziare un concreto per- corso di conversione promuovendo un cambiamento di prospettiva e ritornando al fondamento evangelico delle beatitudini.
23 aprile 2022