Pietro si arrende allo Spirito: una buona notizia per le persone LGBT+
Riflessioni di Antonio De Caro*, socio de La Tenda di Gionata
Dio mi ha insegnato a non chiamare profano o impuro alcun essere umano (At 10.28): questo era il versetto scelto per le Veglie dell’anno 2011. Sono passati diversi anni, eppure anche questa volta è stato scelto un versetto che appartiene allo stesso contesto del Nuovo Testamento: in verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone (At 10.34-35).
Evidentemente si tratta di un passo che, per la comunità dei credenti LGBT+, presenta ancora una forte attualità, un messaggio vitale perché animato dallo Spirito e perché rivela in che modo la Chiesa dovrebbe diffondere nel mondo l’annuncio della Resurrezione di Cristo e farsi mediatrice della Grazia.
La narrazione, che copre tutto il capitolo 10, presenta una marcata coerenza interna, grazie alla regia dello Spirito che prepara e guida l’incontro fra due mondi apparentemente incompatibili, quello dell’apostolo Pietro e quello di Cornelio, centurione romano.
L’incontro reale è preceduto per entrambi da una visione che ne fornisce la chiave interpretativa. Cornelio è un uomo aperto alla spiritualità e in ricerca di Dio. A Pietro, affamato, una voce dal cielo ordina di mangiare, senza scrupoli di coscienza, le carni di animali considerati immondi dalla legge mosaica e quindi proibiti, poiché ciò che Dio ha purificato, tu non considerarlo impuro.
Pietro, allora, si lascia condurre fuori (dal luogo dove era ospitato e dalle sue certezze), verso un incontro che gli richiederà di rinunciare alle norme della tradizione: tanto è vero che fa entrare in casa i messaggeri romani e poi, arrivato a Cesarea, entra lui stesso nella casa di Cornelio, superando la paura di sporcarsi entrando a contatto con persone non credenti.
Mi colpiscono già diversi aspetti di questa narrazione così attentamente calibrata. Primo: l’iniziativa è dello Spirito, e Pietro -e i suoi successori, e la Chiesa- è chiamato a seguirne le ispirazioni, rinunciando alle sicurezze della legge che separava chiaramente (cioè discriminava) i puri dagli impuri. Secondo: Pietro si mette in viaggio, in senso non solo fisico, ma anche spirituale: cioè è disposto ad entrare in una dimensione dinamica e a lasciarsi sorprendere e trasformare.
Terzo: Cornelio (forse come altre persone della sua famiglia e della sua cerchia di amici) è un uomo dotato di profondità spirituale, alla ricerca del senso autentico della vita. Possiamo intuire che non gli basti la sua cultura di partenza, quella romana, con i suoi dèi e valori come la conquista e il dominio; il soggiorno in Medio Oriente forse gli aveva fatto conoscere un diverso approccio alla vita, gli aveva fatto sentire il richiamo del Dio invisibile e sconosciuto di cui Paolo parlerà agli ateniesi in Atti 17; e proprio per questa sua sensibilità e questo atteggiamento di ricerca forse si era avvicinato al Dio di Israele, anche se per quella gente era solo un ufficiale romano, un occupatore e un nemico, un impuro.
Eppure lui, ostinato, pregava e praticava l’elemosina, che -etimologicamente- vuol dire che praticava la misericordia. Anzi il testo presenta questi due aspetti in ordine inverso: Cornelio praticava la misericordia e pregava Dio –quel Dio che è e chiede misericordia, e non sacrifici. Per Cornelio la carità verso gli altri viene prima della preghiera; Cornelio ha capito che amare gli altri e aiutarli è il solo vero modo per mettersi alla ricerca di Dio.
Sospettiamo quindi che sia proprio per questo che il Dio di Gesù Cristo lo aveva accolto ed amato come suo, considerandolo puro. Questo Cornelio che, pur non essendo ebreo né cristiano, vive la carità e la disponibilità verso gli altri assomiglia proprio al buon samaritano (narrata nel cap. 10 del Vangelo di Luca, cui sono attribuiti anche gli Atti degli Apostoli) e a quelle persone che Cristo inviterà ad entrare nel Regno, ma loro risponderanno: Quando mai ti abbiamo visto nel bisogno e ti abbiamo aiutato? Infatti loro hanno amato pur senza conoscere il Vangelo, senza essere inclusi in nessuna Chiesa e senza sapere che qualunque cosa avete fatto ad uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me. E avranno una bella sorpresa da quel Dio che pensavano di non conoscere.
Quando Pietro arriva a casa di Cornelio, è già cambiato. Ha già intuito il senso della visione con gli animali. Ha già intuito che il Vangelo spazza via le discriminazioni imposte dalla legge e che nessun uomo può essere considerato profano o impuro. Ecco perché entra senza esitare e senza la paura di contaminarsi.
Avere vissuto con Gesù ha certamente lasciato delle tracce, in lui, e il suo cuore è pronto a comprendere che il mistero pasquale è un dono per tutti. Non era stato questo, fra l’altro, l’insegnamento della Pentecoste, quando lo Spirito li aveva resi capaci di parlare tutte le lingue del mondo per annunciare senza confini la generosità di Dio e il dono della vita del Risorto?
Questo Pietro è fantastico. Quando Cornelio lo saluta prostrandosi di fronte a lui -come gli antichi facevano con i sovrani- Pietro lo invita ad alzarsi: anche io sono un uomo. E quindi non sono infallibile, perché lo Spirito mi guida giorno per giorno e mi fa capire cose che prima non sapevo e non potevo accettare, finché rimanevo prigioniero dei pregiudizi alimentati dalla tradizione, da una legge che adesso viene completamente rinnovata. E Pietro dice che tutto questo lo sta comprendendo a poco a poco, gradualmente, in diretta, a mano a mano che incontra le persone reali e ascolta nello stesso tempo la voce dello Spirito dentro e intorno a lui.
Il verbo greco adoperato (katalambánomai) ha due caratteristiche importanti: è un presente, che in greco è il tempo dell’aspetto durativo, di un’azione che si sta svolgendo e continua a svolgersi, che non è ancora conclusa. Pietro non dichiara un sapere teologico già compiuto e definitivo, non enuncia un magistero infallibile, ma ammette: sto imparando, sto imparando adesso, non so ancora tutto.
È il contatto con la realtà, con l’esperienza, con la vita delle persone che mi permette di crescere nella fede e poi di confermare la fede degli altri. Ed inoltre il verbo è in diatesi medio-passiva, che in greco antico indica il pieno coinvolgimento della persona nell’azione, in un processo che mi attraversa e mi trasforma. La traduzione esatta dovrebbe essere “sto comprendendo a poco a poco, nel tempo e nella storia, e con tutto me stesso”.
Ma i successori di Pietro lo sanno?
Pietro sta comprendendo e proclama ai pagani che anche loro sono destinatari dell’annuncio e del dono di Dio, perché Israele è stato chiamato solo ad essere mediatore di un annuncio universale: Gesù è il Signore di tutti.
Questa è l’introduzione del suo discorso (Cornelio attendeva proprio di ascoltare tutto ciò che dal Signore ti è stato ordinato), è la sua scoperta, ciò che sente il bisogno di comunicare subito. È la cornice nuova che adesso dà senso e compimento al mistero pasquale, cuore dell’annuncio evangelico. Non ha valore annunciare che Gesù è morto e risorto se questo annuncio non vale per tutte e tutti.
Il resto del suo discorso è una lezione che Pietro già conosceva, perché l’aveva vissuta in prima persona e testimoniata a Gerusalemme. E qui accade un’altra sorpresa: lo Spirito -vero protagonista del brano, e di tutti gli Atti degli Apostoli e della vita della Chiesa- lo interrompe. Come per dire: Pietro, hai già capito e annunciato quello che volevo che tu capissi e annunciassi, che nessun uomo è impuro e Dio non fa preferenze di persone; il resto già lo sapevi.
La conclusione a sorpresa del capitolo toglie centralità a Pietro (che deve scomparire perché resti Cristo, ha affermato nella sua prima omelia papa Leone XIV) quasi relegato al ruolo di semplice spettatore. Caro Pietro, grazie, ma da adesso in poi continuo io, dice lo Spirito, che scende sui pagani in una seconda Pentecoste con i segni inequivocabili della sua presenza.
Anche qui, però, Pietro coopera con Dio attraverso un’intuizione straordinaria, che poi infatti ripeterà nel concilio di Gerusalemme (Atti 15): se io avverto lo Spirito in questa gente, che io prima consideravo impura; se Dio li salva e si rende visibilmente presente in loro; se la Grazia arriva prima di me e della Chiesa, perché è un dono effuso gratuitamente da Dio a chi lo cerca attraverso la misericordia, come possiamo io e la Chiesa impedire e ostacolare il libero flusso dell’amore fra Dio e le persone? Come possiamo emarginarli dall’appartenenza piena alla comunità e dai sacramenti?
Noi siamo chiamati a mediare questa Grazia, non certo a negarla, poiché non ne siamo padroni, ma solo canali; e perché abbiamo capito che l’inclusione, non l’esclusione, è coerente con il Vangelo; devo quindi arrendermi allo Spirito che canta nelle loro vite.
Il versetto per le veglie 2025 è stato scelto dai credenti LGBT+ quando c’era ancora papa Francesco; ma le veglie si stanno svolgendo adesso che c’è papa Leone. Mi riscalda il cuore credere che lo Spirito ci abbia guidati a scegliere e meditare su un brano, come Atti 10, che può ancora insegnare alla Chiesa e a Pietro quale programma seguire.
È un brano che mostra una straordinaria coerenza interna, ma anche solidi e fitti collegamenti con il Vangelo; mi colpisce anche che le tappe e il linguaggio di questo brano siano, in alcuni tratti, la copia di alcune frasi di Atti 8, che narra l’incontro fra Filippo e l’eunuco etiope.
Non ripeterò qui il commento che ne ho scritto in un’altra occasione: noto solo che, se questo messaggio attraversa con tanta ripetitiva coerenza gli Atti degli Apostoli, e poi anche le lettere di Paolo, vuol dire che deve essere davvero importante per la vita della Chiesa.
Mi auguro quindi che la Chiesa e i successori di Pietro e degli Apostoli se lo ricordino, questo messaggio che sbriciola le norme disumane della tradizione. E che lo Spirito canti ancora nelle vite di noi, credenti LGBT+, in un modo così forte e bello che spinga la Chiesa e i successori di Pietro e degli Apostoli ad arrendersi, come si è arreso Pietro in casa di Cornelio.
Così capiranno che nessuna creatura umana è impura, né loro hanno il potere di concedere o negare la Grazia sacramentale, perché lo Spirito se ne infischia dei divieti umani e scende quando vuole e su chi vuole, per rinnovare le nostre vite.
Così benediranno le nostre storie, la nostra fede ostinata e i nostri amori. Ed impareranno che accoglierci consola noi e rigenera loro, unendoci nella vera famiglia di Dio.
* Antonio De Caro (Palermo 1970) collabora con La Tenda di Gionata per promuovere il dialogo fra condizione omosessuale e fede cristiana. Ha già tradotto dal tedesco i seguenti contributi: Teologi, biblisti e liturgisti cattolici si confrontano su “La benedizione delle unioni omosessuali (2020), “Mit dem Segen der Kirche?” La chiesa cattolica tedesca e le unioni omosessuali nell’ottica della pastorale (2019). Sul tema ha pubblicato anche i seguenti saggi: La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella Chiesa (2021) e Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale (2019).