Quale futuro per i gruppi di gay cristiani senza riflettere sul loro passato?
Riflessioni di Gustavo Gnavi
Per pensare al futuro dei gruppi di gay cristiani occorre per forza dare uno sguardo al passato e fermarci un attimo al presente.
Prima di tutto però devo fare una premessa ossia precisare che quanto dirò si basa essenzialmente sulla mia lunga esperienza al “Davide e Gionata” (ndr gruppo di gay cristiani di Torino), in quanto da vari anni ho perso un po’ i contatti con le altre realtà di gay credenti, e su mie idee ed impressioni molto personali.
Detto questo credo sia necessario partire da quella che per me è sempre stata la difficoltà principale nel far nascere e portare avanti un gruppo di persone omosessuali e credenti. Questa difficoltà sta soprattutto nel fatto che ognuno di noi vive in modo spesso molto diverso la propria condizione omosessuale e la propria fede.
Ci sono persone che saltano tranquillamente di fiore in fiore senza porsi troppi problemi ed altre che oppresse da molti sensi di colpa non tentano neppure un approccio di amicizia o di affetto. Ed anche per quel che riguarda la fede vi sono persone che vivono pienamente l’esperienza religiosa legate ad esempio ad una comunità parrocchiale ed altre che vivono un’esperienza religiosa molto personale e slegata da qualsiasi forma comunitaria.
Fra questi due estremi è chiaro che vi è un’infinita varietà di modi di vivere omosessualità e fede, modi che condizionano per forza le caratteristiche di un gruppo di gay credenti a seconda della maggioranza di esperienze dei partecipanti al gruppo. In parole povere la difficoltà principale nel mettere in piedi un gruppo è senz’altro quella di cercare di accontentare tutti. Per qualche tempo la cosa si può tentare e può anche andar bene ma col passare del tempo si dovrà per forza fare una scelta e ciò creerà una divisione e la caratterizzazione del gruppo secondo delle linee ben precise.
Se ci si accontenta di un minimo, come può essere quello di creare un gruppo di amici, è possibile che si riesca ad andare avanti ma se si cerca di passare a qualcosa di più propositivo e di più impegnativo si dovranno affrontare molte e lunghe discussioni ed affrontare difficoltà tali a volte da impedire un proseguimento delle attività.
Provando a semplificare credo che si possano distinguere i gruppi di gay credenti in tre categorie anche se è chiaro che queste categorie non sono così precise ed evidenti.
1) un gruppo di amicizia al quale l’indicazione di “credenti”dà una certa garanzia di serietà.
2) un gruppo di riflessione religiosa in cui è più sottolineato l’aspetto di piccola comunità.
3) un gruppo di impegno sia in campo ecclesiale sia sociale, in cui la fede diventa stimolo per un’apertura anche ai problemi degli altri.
Chi mi conosce sa che in tutti questi anni ho sempre privilegiato il terzo aspetto, scontrandomi più volte anche all’interno dell’ass. “Davide e Gionata” ed arrivando alla conclusione che negli ultimi tempi questa scelta non trova molto favore (come d’altra parte pare stia accadendo in tanti altri gruppi ed associazioni di ogni genere).
E’ perciò pacifico che se debbo pensare al futuro dei gruppi di gay credenti non possa che pensare a tre direzioni che permettano di superare le prime due categorie su indicate.
1) Come credenti: non accontentarsi di una fede personale ma allargare il discorso ad una fede comunitaria. Anche se possiamo avercela a morte con certe decisioni del Magistero siamo parte di una Chiesa che nel bene e nel male porta avanti il messaggio di Cristo e dobbiamo sentire “l’obbligo” di aiutarla a maturare ed a crescere anche per quel che riguarda l’omosessualità (Sto parlando dei cattolici ma è chiaro che “mutatis mutandis” quanto sopra vale anche per le altre Chiese e le altre religioni).
O vogliamo creare una nostra Chiesa con nostri sacerdoti, nostre liturgie, nostre regole e così via? E’ una scelta rispettabile anche questa ma che personalmente mi lascia molto perplesso.
2) Come omosessuale: non accontentarsi del gruppetto di amici ma allargare il nostro sguardo a tutte le realtà omosessuali. Non siamo soli e non siamo i migliori per cui non possiamo metterci da parte e non possiamo guardare agli altri come a degli estranei. Tutti siamo nella stessa barca ed anche in questo caso il nostro battesimo ci impone di condividere le “gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” di tutti ed i particolare di lesbiche e gay, credenti o non.
3) Tutto ciò, mi sia permesso sottolineare, senza mettere in continuazioni i puntini sulle i a difesa della “nostra” Chiesa ma cercando di capire il perché di certe reazioni spesso dure ma superficiali dovute soprattutto ad ignoranza.
4) Come omosessuale e credente: maturare sempre più la consapevolezza che la nostra “diversità” sia all’interno della società civile, sia della Chiesa, è e deve essere un valore che serve a far crescere noi per primi e poi tutti quanti gli altri. Dobbiamo finirla di auto-emarginarci, di auto-considerarci fuori posto, di auto-flagellarci ma credere in noi stessi e nel messaggio che possiamo dare proprio in quanto “diversi”, in un mondo che tende sempre più a livellare uomini e cose.
Tutto ciò ha però una logica conseguenza: l’uscire allo scoperto. So che la cosa non è semplice ma se avremo la consapevolezza di cui sopra, tale passo sarà abbastanza semplice e ci darà maggior sicurezza e serenità.