Quale posto per le persone omosessuali nelle nostre comunità cristiane?
Articolo di Claude Besson (1) pubblicato sul mensile dei gesuiti francesi ETUDES (Francia) dell’Ottobre 2014, liberamente tradotto da Marco Galvagno
L’accoglienza delle persone omosessuali è davvero effettiva oggi nelle nostre comunità cristiane? Se sono stati fatti passi avanti negli ultimi anni, la clandestinità che si auto impongono le persone omosessuali per paura di essere giudicate male è reale e dolorosa per se stessi e le loro famiglie.
L’omosessualità è un fatto che esiste nella storia di tutte le società e tutte le culture. Non possiamo negarlo questo fatto rimasto nascosto per secoli è diventato pubblico nella nostra società. La chiesa cattolica ha preso in considerazione questa realtà da anni
“ Un numero non trascurabile di uomini e donne presentano tendenze omosessuali profonde. Non scelgono, la loro condizione omosessuale costituisce per la maggior parte di loro una prova. Devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza.”(2)
Tuttavia vivere la propria omosessualità e la propria fede cristiana è possibile senza dover nascondersi. Recentemente un documento del consiglio Famille et societé ricordava questa accoglienza incondizionata : “Per le comunità cattoliche l’accoglienza incondizionata d’ogni persona è prioritaria. Ogni persona indipendentemente dal suo percorso esistenziale è prima di tutto un fratello o una sorella in Cristo, un figlio di Dio. Questa filiazione divina trascende tutti i legami umani famigliari. Ogni persona ha diritto di essere accolta in maniera amorevole senza dover nascondere questo o quel aspetto della propria personalità” (3).
Noi lo sappiamo cristiani e cattolici omosessuali sono tra noi, nelle nostre famiglie, tra i nostri amici o nelle nostre parrocchie. La diversità delle situazioni è complessa.
Tuttavia l’inchiesta di Martine Gross (4) rivela che gay e lesbiche avendo interiorizzato i discorsi della chiesa istituzionale spesso vivono la scoperta della propria omosessualità con un senso di colpa e di vergogna.
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Frequenti testimonianze di sofferenza
Membro da più di dieci anni dell’associazione Reflexion et partage (5) sono testimone della difficoltà per un gran numero di persone omosessuali di trovare il loro posto nella chiesa. Molte testimonianze e racconti di vita vissuta lo testimoniano. Quella di Thérèse è una tra le tante.
“Ce ne ho messo del tempo a capirmi davvero. A 53 anni, single ho cominciato alla fine a riconoscermi omosessuale. Mi sono immersa in una lunghissima indecisione fino a che la realtà non mi ha ripresa violentemente. E da 4 anni ho intrapreso questo cammino verso me stessa ed anche verso gli altri. Nel pianto e nella sofferenza, ma anche nella pace e nella gioia che scaturiscono da incontri forti e veri con amici e amiche che sono andati più avanti di me su questo sentiero difficile e scosceso. Passi avanti notevoli sono stati fatti nella pastorale dei divorziati e dei divorziati risposati. Quando vedremo tali passi avanti nella pastorale dell’omosessualità? Quando cesseremo d’aggiungere sofferenza a sofferenza. Oso come Martin Luther King fare un sogno: nelle nostre chiese aperte a tutti gli uomini e le donne dei nostri giorni che ognuno sia accolto come figlio e figlio di Dio con le sue ricchezze e le sue mancanze, nella gioia e nella fraternità e che più nessuno si senta un clandestino” ( Thérèse)
O ancora la testimonianza di Aurelie: “ Siamo inesistenti dice una manifestante contro la legge sul matrimonio per tutti. Sì eravate migliaia, non siete stati ascoltati scusate. Ma noi (persone omosessuali) siamo milioni da secoli a non essere ascoltati, a essere inesistenti, invisibili, stigmatizzati, psichiatrizzati, esorcizzati, torturati, umiliati nascosti e in certi paesi sepolti vivi” (6)
Nello stesso modo quando una coppia di uomini Julien e Bruno con più di dieci anni di vita insieme cercano d’inserirsi in un gruppo di riflessione parrocchiale per coppie (etero) sposate da dieci anni perché escluderli? Li si obbliga a emarginarsi a creare da soli il proprio gruppo di riflessione al di fuori delle parrocchie d’appartenenza coinvolgendo altre coppie omosessuali cattoliche.
Evidentemente le testimonianze non pretendono di dare un’immagine esaustiva di ciò che vivono i cristiani omosessuali, ma hanno il merito di respingere uno sguardo semplicistico. Se la testimonianza non può sostituirsi al dibattito e non costituisce da sola la verità, non si può spazzarla via con il rovescio della mano come si fa a volte. “ Sì ma tu non sei uguale a loro, noi ti conosciamo”.
La chiesa non può evitare oggi di andare incontro alle persone omosessuali e di proseguire il dialogo e i loro famigliari. La testimonianza non può sostituirsi al dibattito e non è da sola la verità. È evidente, ma questa ricerca di verità non possono fare economia su questi discorsi. Soprattutto nella nostra società di comunicazione nel momento in cui regnano l’informazione, l’immagine e l’interattività.
Accettando questa nuova realtà ( sociale e politica) tornando alle testimonianze la chiesa può beneficiare di una nuova possibilità per annunciare il Vangelo nella società moderna o postmoderna. È l’occasione per lei di provare che considera l’uomo di oggi un interlocutore intelligente dotato di buon senso, capace di riflettere e che rispetta la sua libertà; che si fida di lui a priori (c’è un margine tra l’ingenuità e la paranoia che condanna in anticipo l’interlocutore) che ha fiducia in lui.
In tutti gli incontri che fa Gesù non riduce mai l’altro nella sua complessità. Non lo rinchiude mai nella sua contingenza. Deve provare che accetta che l’uomo d’oggi voglia confrontare le proprie idee attraverso il filtro dell’esperienza e che ha bisogno di ascoltarlo e di avere la sua opinione. Sarebbe per lei un modo di raggiungere le persone di buona volontà là dove si trovano e di rivolgersi a loro e di riconoscerli come patner di un mondo da inventare insieme (7).
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Passi avanti pastorali significativi
Se resta ancora molta strada da fare perché le persone omosessuali e le loro famiglie trovino il loro posto nelle nostre comunità cristiane, passi avanti importanti sono stati fatti in molte diocesi. L’obiettivo non è tanto quello di mettere in piedi una pastorale a parte che favorirebbe l’accoglienza delle persone omosessuali, questa sarebbe una forma di stigmatizzazione positiva, ma piuttosto il riconoscimento e la stima di ciò che è vissuto da ognuno: “ perché queste persone possono vivere una vita cristiana normale e impegnata come tutti i battezzati” (8)
La prima iniziativa da mettere in atto è quella di favorire luoghi d’accoglienza e ascolto, gruppi di lettura della parola, rendendoli visibili attraverso un depliant, con telefono, persone da contattare.
Da molti anni associazioni come David e Jonathan hanno fatto questa esperienza. Ma tali iniziative devono dipendere dalle diocesi con le associazioni che vogliono sostenerle. In effetti molte persone omosessuali e i loro famigliari si sentono presi alla sprovvista. Essendo cattolici si rivolgono al parroco o ad altri parroci della loro diocesi.
“ Quando abbiamo saputo che nostra figlia di 18 anni era lesbica ci siamo sentiti presi alla sprovvista. Perché era così? Il suo profondo malessere e la sua mancanza di voglia di vivere ci hanno portati a cercare di capire. Essendo cattolici siamo andati da un prete per sapere se conoscesse un’associazione che ci potesse sostenere. Era anche lui alla sprovvista come noi.
La fede ci ha portati a chiederci come vivere questa situazione nella pace e nell’amore attento per nostra figlia e la nostra famiglia. ( abbiamo 4 figli, è la più giovane). Abbiamo fatto un percorso in un ‘associazione incontrando altri genitori e altre persone omosessuali.
Abbiamo conosciuto persone in ascolto senza giudicarle, condividendo dubbi e preoccupazioni. Ci siamo aperti a un mondo che non conoscevamo. Dieci anni dopo costatiamo d esserci arricchiti nello sguardo. Dio è amore. Lui solo sa da cosa provenga l’omosessualità. Nel percorso che facciamo ci affidiamo al suo Spirito che ci accompagna” (9)
Varie diocesi (Sant Étienne, Lione, Grenoble, Angoulême, Aix en Provence) hanno istituito da un anno o due gruppi di riflessione e accoglienza o di parola aperta, così a Angoulême “ due anni fa con il sostegno e gli incoraggiamenti di Mons. Dagens abbiamo creato due gruppi di condivisione: uno per le persone omosessuali e l’altro per i genitori. Abbiamo cominciato l’attività di questi gruppi in linea con l’associazione” Devenir un en Christ” . Ma vi era una volontà convergente del padre Dagens e dei due gruppi nell’istituire un legame diretto con la diocesi attraverso l’ufficio della pastorale sulla famiglia.
Cominciamo ora a diffondere un opuscolo, Accoglienza e parola, “per fare conoscere i due gruppi nelle parrocchie, ma anche sul sito della diocesi. Del resto avevamo la volontà di fare passi avanti nella riflessione sulle persone coinvolte dall’omosessualità nella chiesa e nelle comunità cristiane” (10).
In varie diocesi vicine si è messa in cammino la stessa riflessione. Bisognerebbe sottolineare ugualmente altri gruppi di lettura della parola per genitori legati all’associazione Réflexion e Partage, ma questi non sono ancora stati riconosciuti formalmente a livello diocesano.
In una diocesi della periferia parigina da cinque anni esiste un gruppo di parola di genitori con figli omosessuali. “ Siamo 5 coppie questo piccolo gruppo è molto importante per scambiare idee, comunicare e sostenerci reciprocamente. Circa un mese fa abbiamo contattato il parroco di Saint Germain en Laye. È stato molto accogliente e ha diffuso un inserto nel bollettino parrocchiale. Personalmente sono sempre più confortata e non ho paura oggi a rispondere alle persone che hanno pregiudizi o una visione negativa dell’omosessualità, recentemente una madre di famiglia venendo a sapere che mio figlio era gay mi ha detto pregherò per lei, le ho risposto. – no sono felice, sono che io pregherò per lei, perché il suo sguardo si apra. Non ho più il diritto di tacere. Chiedo che i nostri figli diano un valore aggiunto alle nostre famiglie” (Marie Pierre madre di famiglia)
Guillaume e Elisabeth aggiungono: “è una formula eccezionale che risponde alle esigenze dei genitori da promuovere dappertutto dove si può. Abbiamo avuto occasione di parlarne con un certo numero di amici e molti di loro ci hanno confermato che la condivisione della nostra esperienza, li riguardava ha avuto un’accoglienza positiva, un’eco su altre coppie, ma spesso altre coppie ci dicono che nessuno lo sa del loro figlio o della loro figlia e che non bisogna parlarne”.
Analogamente nell’Ardèche “Siamo un gruppo di genitori che esiste da nove anni e che si ritrova due volte all’anno in presenza del vicario generale. Dato che è il vicario generale ad accompagnarci, il vescovo sa delle nostre riunioni. I temi trattati l’anno scorso sono stati il matrimonio e l’omogenitorialità. Abbiamo redatto un articolo che è stato pubblicato nei bollettini parrocchiali, ma non ha avuto una vasta eco. A Parigi c’è un gruppo di persone omosessuali in coppia che si trova regolarmente”.
Julien testimonia “Abbiamo creato il nostro gruppo di coppie cattoliche (formate da persone dello stesso sesso) siamo 6 coppie e ci riuniamo ogni 6 settimane per riflettere sul tema della fecondità dell’essere in coppia in generale. C’è un aspetto spirituale e condividiamo un testo sul quale meditiamo. Ogni tanto invitiamo una persona esterna. Questo gruppo è stato per noi una valvola di salvataggio indispensabile durante l’anno delle polemiche sul matrimonio per tutti. Abbiamo vissuto momenti di rara fraternità, ma vorremmo poter condividere questa esperienza anche a livello parrocchiale. Vorremmo fare le nostre riflessioni anche con le coppie eterosessuali, essere nella chiesa e non nascondere una parte essenziale del nostro modo di essere“.
Bisogna ugualmente considerare i sei seminari che si sono tenuti al Collegio dei Bernardini a Parigi su fede cristiana e omosessualità con rappresentanti delle associazioni (David e Jonathan, Devenir un en Christ, Comunion Bethanie, Réflexion et Partage).
L’ultimo seminario sul tema del fare coppia ha permesso di incrociare le esperienze di coppie omosessuali e eterosessuali nell’ascolto, nel dialogo, nella costruzione di una vita insieme e di una fraternità che porteranno frutti. Altre diocesi hanno preso iniziative per favorire il dialogo e l’incontro come il Chemin d’Emmaus, pellegrinaggio di un giorno organizzato dalle diocesi di Nanterre e Orleans aperto a tutti, ma in modo particolare alle persone omosessuali e ai loro cari. Avendovi partecipato vi posso assicurare che ha fatto cadere molti pregiudizi sull’omosessualità. Tali pregiudizi sono ancora ancorati nelle rappresentazioni mentali spesso per mancanza di conoscenza, d’informazione sul vissuto delle persone, ma anche per il rifiuto della differenza che disturba. Credo che questa mancanza d’informazione, questa ignoranza rechi paura e che la paura generi esclusione, il disprezzo, gli amalgami, i conflitti, i ghetti e il desiderio di sbarazzarsi dell’altro.
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L’ Alterità
L’ incontro dell’altro nella sua alterità è un tema fondamentale. Quali discorsi non abbiamo sentito in bocca a certi ambienti cattolici per stigmatizzare le persone omosessuali. “ Gli omosessuali rifiutano la diversità”.
Questa formula diventa in bocca a certi intellettuali ” l’omosessualità è un diniego dell’alterità”. Se le differenze sessuali, generazionali o culturali esistono senza che noi possiamo controllarle esse non riconoscono il lavoro d’accoglienza dell’altro. Il riconoscimento dell’alterità scaturisce da un apprendimento costante che non finisce mai. Permette a ognuno di essere ciò che è nella relazione, di gestire la propria vita senza mai sentirsi divorato dall’ altro chiunque esso sia ( amico, genitore, collega). Questo lavoro etico è uguale per tutti “ Ogni coppia è invitata a chiedersi in quale misura la propria relazione d’amore semini confusione o crei unità all’interno e all’ esterno della coppia. Vi sono coppie eterosessuali che non rispettano affatto questa relazione con l’alterità come quelle che si costruiscono sull’eccessiva somiglianza del coniuge con il proprio padre o la propria madre o quelle in cui i genitori istaurano relazioni in cui il figlio o la figlia diventa un oggetto.
La somiglianza genitale non cambia nulla all’estraneità dell’altro. Non posso ridurlo a ciò che so di me stesso, dei miei desideri e dei miei comportamenti. Le persone omosessuali insistono sul fatto che la loro ricerca sessuale non deriva solamente come credono in molti da una ricerca di piacere erotico. Più spesso le persone sperano di trovare un amico o un’amica con il quale potranno vivere momenti di tenerezza, fedeltà, aiuto reciproco, qualcuno con cui condividere preoccupazioni, ma anche interessi e piacere sessuale. Cercano di tener uniti desiderio e tenerezza fanno così esperienza che amare non è facile, ne scontato.
“ Gli psicanalisti meno seri hanno confuso l’attaccamento amoroso e sessuale di un individuo a una persona dello stesso sesso a un attaccamento narcisistico. Come se due persone dello stesso sesso fossero la stessa persona come se tutta l’alterità tra gli esseri umani fosse racchiusa nella differenza sessuale. Come se analogamente esistessero più differenze tra uomini e donne che somiglianze. L’alterità esiste anche tra due gemelli figuriamoci se non esiste tra due uomini o due donne provenienti da famiglie diverse.
L’alterità è una delle cause determinanti del desiderio sessuale. Per desiderarci reciprocamente ci vogliono molte somiglianze (ciò che ci accomuna come esseri umani), ma anche molte differenze (ciò che ci è confermato dalla neurobiologia). Questo dissimile può essere la differenza di sesso, ma non solo e non sempre. Negli uomini l’alterità fonte di desiderio sessuale può risiedere nella diversità fisica, ma anche nella diversità sociale o culturale o nelle differenze di personalità”.
Alla fine dire che la coppia omosessuale nega l’alterità riconduce l’identità al sessuale e il sessuale al solo sesso. Tuttavia non è perché due esseri umani sono simili da un punto di vista biologico che siano identici: due uomini e due donne hanno personalità diverse e uniche che li rendono esseri unici e irripetibili. Le ricerche nel campo della neurobiologia confermano che le differenze tra gli individui dello stesso sesso sono così rilevanti che superano quelle tra i due sessi. Questa variabilità si spiega grazie alla plasticità del cervello. Quando nasciamo solo il dieci per cento dei nostri neuroni sono connessi tra loro. Il 90% delle restanti connessioni si costruiranno nel corso del tempo grazie agli influssi della nostra famiglia, dell’educazione, della società.
È nella capacità di amare che si prova per gli omosessuali come per gli eterosessuali l’accettazione o il rifiuto dell’alterità, non nel valore diverso e impersonale dell’oggetto delle proprie pulsioni. La relazione omosessuale al di là dell’uguaglianza sessuale può aprire alla diversità e all’alterità in quanto è l’incontro di due persone ognuna delle quali è unica e irripetibile.
Le coppie omosessuali hanno un desiderio di vivere insieme in maniera stabile duratura e felice. Tutto ciò che contribuisce a impegni duraturi va incoraggiato ed applaudito.
Una persona gay che vive con il suo patner potrà essere fonte di fecondità sociale per i propri cari.
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Fecondità
Nel linguaggio corrente abbiamo ristretto il senso della nozione fecondità a dare la vita, a procreare. Questo è ridurre l’essere umano a livello animale. Antropologicamente la fecondità ricopre un senso più ampio: la capacità di fornire un’esistenza umana.
Noi non ci riproduciamo solamente, produciamo reciprocamente e torniamo a riprodurre. Si tratta di mettere al mondo una persona fino a che questa persona nasca a se stessa. E questo concetto va al di là della mera procreazione biologica. Fornire un’esistenza è quello che la teologa Marie Christine Bernard, specialista di scienze umane chiama “la paternità spirituale.”
È la responsabilità che ci spinge tutti a generare qualcuno a se stesso, generare qualcuno nel senso di svelargli la sua vocazione, di permettergli di entrare nella vita.
“Mettere al mondo nel senso ampio che abbiamo appena menzionato, non solo fisico si presenta come la strada che apre la benedizione di Dio, destinata a tutti. La benedizione di Dio è la promessa che ci fa, il suo desiderio più caro di una vita buona, feconda di senso e di frutti e la sua realizzazione attraverso il nostro libero arbitrio. La persona umana nasce a se stessa quando sente che questa promessa le è destinata personalmente e ne segue la strada.
Perché allora rifiutare le coppie omosessuali evocando la loro non fecondità?
Sono fecondi o creativi, ma in maniera diversa. Gesù ha appena capovolto la nozione di fecondità l’uomo non è più fecondo, perché genera, è fecondo, perché si riconosce come appartenente a Cristo.
Il passaggio del Vangelo di Giovanni ( Giovanni 15, 1-4, 12-16) mostra che la fecondità risiede nel compiere il comandamento d’amore di Gesù, cioè in effetti entrare nella comunione d’amore di Gesù e del Padre, lasciarsi avvicinare da Dio, diventare suo amico intimo. Questo va fino a disfarsi di se stesso. Gesù spinge questo spossessarsi di se stesso fino alla morte di croce ed è la croce che assicura la sua estrema fecondità.
“ Se il chicco di grano non cade per terra, rimane solo, se al contrario muore porta frutti in abbondanza”.
Entrare nella fecondità non è più vivere per se stessi, ma vivere per gli altri. La fecondità secondo Cristo è il dono di sé, una morte a se stessi, una resurrezione. Va al di là dei nostri limiti umani. Opera non secondo il volere dell’uomo, ma in una libera consacrazione delle nostre azioni a Dio è un dono di Dio. Così testimonia Yvan omosessuale cristiano e impegnato da più di 40 anni nella sua parrocchia. “
Dopo 40 anni di lotta con i miei momenti di gioia, ma anche disperazione e fallimenti. Mi stupisco di volere ancora far parte di questa chiesa che mi ha spesso maltrattato. Tuttavia se i cristiani e non solo i loro pastori sapessero quanto la chiesa deve agli omosessuali uomini e donne che operano in seno a lei, nel segreto della loro identità, se i cristiani riconoscessero tutti i tesori di pazienza, di devozione, d’attenzione ai più poveri di cui gli omosessuali fanno prova ogni giorno (aiuto agli ammalati di Aids, agli anziani, lavoro nel settore sanitario o dell’ educazione). Questi cristiani non sarebbero così pronti a condannare migliaia di fratelli e sorelle o fingere d’accettarli solo a parole”.
La vera fecondità non è legata al fatto di avere figli, ma al compimento del suo regno nelle nostre vite.
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(1) Autore di Homosexuels catholiques, sortir de l’impasse, Les éditions de l’Atelier, 2012
(2) Catechismo della Chiesa cattolica, n° 2358
(3) Poursuivons le dialogue, Consiglio Famiglia e Società della Conferenza dei Vescovi di Francia, maggio 2013, p.5
(4) Martine Gross, Être chrétien et homosexuel en France, Société Contemporaine, n°71, Paris, Presses de Sciences Po, marzo 2008
(5) Associazione il cui obiettivo è di portare un contributo alla riflessione delle comunità cristiane nello sforzo di apertura che ciascuno potrebbe fare per meglio accogliere nella verità le persone omosessuali.
(6) http://www.reflexion-partage.org/ma-tentation-detre-a-nouveau-invisible/
(7) Daniel Duigou – prete, giornalista, psicanalista in La Croix del 15 novembre 2005
(8) Père Denis Trinez in La Croix, 19 marzo 2014, pagina 17
(9) Claude Besson, Homosexuels Catholiques, sortir de l’impasse, Éditions de l’Atelier, novembre 2012, p.126
(10) Père Denis Trinez, ibid
(11) Suor Véronique Margron in Les Chrétiens et l’homosexualité, L’enquête, Les Presses de le la Renaissance, 2009, p.170.
(12) Stéphane Clerget, Comment devient-on homo ou hétéro ?, Paris, Jean-Claude Lattès, 2006., p.269.
(13) Les neurones du genre, http://www.liberation.fr/sciences/01012358301-les-neurones-du-genre consultato il 12 marzo 2012
(14) *Claude Besson, Homosexuels catholiques sortir de l’impasse, Éditions de l’Atelier, novembre 2012, p. 44 e ss
(15) Marie-Christine Bernard, Être parent une aventure humaine et spirituelle, Paris, Presses de la Renaissance, 2011, p. 262.
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