Quale testimonianza per i gruppi di gay cristiani?
Riflessione di Andrea Panerini, Referente della Refo di Firenze
Il punto fondamentale su cui bisognerebbe interrogarsi è il seguente: quale ruolo devono avere i gruppi o le reti di cristiani omosessuali nella nostra società? Se sono realmente comunità cristiane l’obbiettivo essenziale è quello di proclamare al mondo l’Evangelo.
Ma è difficile fare testimonianza in certe situazioni o limitandosi a reggere uno striscione una volta all’anno al GayPride. Se poi qualcuno lo vuol fare, niente di male, è una scelta individuale, è una delle possibili testimonianze.
Ma se la specificità cristiana si riduce solo a quello è meglio fondare una bocciofila, perché è più facile omologarsi alla folla, scaricandosi la coscienza, invece di avere la forza di testimoniare ogni giorno e in ogni situazione di essere gay e lesbiche seguaci di Gesù Cristo.
Quale è il compito dei cristiani omosessuali nella società? Una domanda su cui ho molto riflettuto nelle ultime settimane sollecitato da più parti. In questo breve intervento non voglio esprimere giudizi né dare soluzioni assolute, questo sia ben chiaro. La storia dei gruppi di omosessuali cristiani in Italia è molto articolata e complessa con due differenti storie, una in ambito cattolico, l’altra in quello evangelico. Qui la banalizzo per motivi di sintesi.
I gruppi cattolici affondano le loro radici nei movimenti ecclesiali che si sono formati dopo il Concilio Vaticano II più che nel movimento GLBT, mentre i gruppi evangelici (la REFO in particolare) si strutturano come rete di persone all’interno delle chiese, forse difettando un po’ in costruzione di vita comunitaria. La REFO (Rete Evangelica fede e Omosessualità) è un rete mista tra etero e omosessuali mentre, in genere, i gruppi cattolici sono esclusivamente omosessuali.
A seconda del contesto ecclesiale e delle affinità si sono formate realtà più o meno aperte all’esterno con rapporti proficui o meno con il movimento omosessuale. Prevalgono però due linee, in generale, nonostante vada ricordata la specificità, sia “storica” che umana, di ogni gruppo. Vi sono gruppi estremamente chiusi, settari, catacombali dove si cerca un prete o un pastore per farsi assolvere o comunque lavarsi la coscienza
dico che momenti di ascolto e di conoscenza non servano, soprattutto per le persone appena entrate in questo ambiente (e che magari poco si accettano), ma si può avere l’impressione che molti si piangano addosso senza nessuna via d’uscita.
L’altra opzione sono esperienze collaterali alle associazioni omosessuali “politiche”, che in molti casi pensano che portare uno striscione al Gay Pride possa veramente dare un messaggio cristiano e non possa essere oscurato da un mare di edonismo.Il punto fondamentale su cui però bisognerebbe interrogarsi è il seguente: quale ruolo devono avere questi gruppi o reti, pur nella loro specificità?
Se sono realmente comunità cristiane l’obbiettivo essenziale è quello di proclamare al mondo l’Evangelo. “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8:31).
L’Evangelo si proclama in tanti modi: approfondendo le Scritture, portandolo sul proprio posto di lavoro, nei locali, in mezzo alla gente. Aprendosi al mondo ma essendo anche consapevoli che non si è del mondo, di questo mondo. Che bisogna anche cambiarlo questo mondo, con la forza della propria testimonianza. E, ma questa ovviamente è una mia opinione personale, è difficile fare testimonianza in certe situazioni e comunque riduttivo limitarsi a reggere uno striscione una volta all’anno. Se poi qualcuno lo vuol fare, niente di male, è una scelta individuale, è una delle possibili testimonianze.
Ma se la specificità cristiana si riduce solo a quello è meglio fondare una bocciofila, perché è più facile omologarsi alla folla, scaricandosi la coscienza, invece di avere la forza di testimoniare ogni giorno e in ogni situazione di essere gay e lesbiche seguaci di Gesù Cristo.