Quando ho incontrato suor Gramick. Una suora tra e con le persone omosessuali
Articolo di Daniela Tuscano tratto dal giornalino del gruppo Emmanuele, 1 maggio 2004
“Quando ho chiesto” all’allora card. Ratzinger “se avesse mai parlato con qualche persona omosessuale, mi fu risposto che lui li aveva visti manifestare contro la visita del Papa in Olanda, ma sappiamo bene che vedere non basta”, così ci racconta suor Gramick che dal 1975 fa apostolato negli Stati Uniti tra e con le persone omosessuali. Un “mettersi in ascolto delle persone omosessuali che ha donato speranza e dignità a tanti che si sentivano esclusi dalla Chiesa cattolica. Per questo è stata obbligata ad un anno di silenzio, per “riflettere” sulla sua opera, ed ha scelto ugualmente di “seguire Dio” continuando ad annunciarlo a gay e lesbiche.
Quando ho visto per la prima volta, il 24 aprile 2004, suor Jeannine Gramick alla sede dell’Arcigay di Milano, circondata da moltissimi uomini e donne, non solo omosessuali, credenti e non credenti, due pensieri mi hanno attraversato la mente.
Il primo riguardava don Milani. Si dice che uno dei suoi maggiori crucci fosse quello di apparire, per dirla con le sue parole, “un prete strano”. Una sorta cioè di irenista, poco in linea con l’ortodossia e, in ultima analisi, col Vangelo. Uno che parla per sé, invece di parlare a nome di Cristo. Mentre il suo intento era, al contrario, proprio quello di portare Cristo a tutti, anche a quelli che la sua amatissima Chiesa colpevolmente emarginava. Contraddicendo così, essa stessa, il messaggio evangelico.
Il secondo era la fraternità, o piuttosto la sororità. Questa suora senza tonaca, alta, slanciata, dal sorriso franco e radioso, ha ricordato a tutti, in quell’assolato pomeriggio di aprile, che veramente la Chiesa è anche, ma non solo, la gerarchia vaticana. Ha mostrato a tutti, senza alcun intento polemico ma col fuoco dell’amore, che lo Spirito soffia dove vuole e su chi vuole.
Dal 1975 suor Jeannine, insieme con padre Robert Nugent, svolge opera di apostolato tra e con le persone omosessuali. La sua lunga esperienza è servita a molti vescovi americani per la maggior comprensione di un fenomeno da sempre rigettato e disprezzato.
La sua condivisione, il suo “mettersi alla pari” e in ascolto di chi vive una situazione di omosessualità si è rivelata preziosissima per ridonare speranza e dignità di sé a tanti che si sentivano esclusi da una Chiesa che pure amavano.
Il suo lungo lavoro ha portato alla redazione, sempre con padre Nugent, di Building Bridges, libro che, in Italia, è stato pubblicato lo scorso anno dagli Editori Riuniti col titolo “Anime gay” e che le è costato gli anatemi vaticani, “soprattutto perché” ha spiegato suor Jeannine “si sosteneva la tesi dell’omosessualità come condizione e non come stile di vita liberamente scelto, la cui esperienza può essere portatrice di valori anche sul piano relazionale-affettivo”.
Obbligata a un anno di silenzio per poter “riflettere” sulla sua opera, ha scelto di “seguire Dio” continuando a stare con gay e lesbiche. L’espressione, insieme con l’idea di portare la sua testimonianza anche in Europa e dovunque ce ne sia bisogno, rende bene la cattolicità e la missionarietà di suor Jeannine, la sua volontà di “costruire ponti” (questo il titolo originario del suo testo, senz’altro più efficace della traduzione italiana, anche se quest’ultima non ci pare del tutto fuori luogo dato che nell’immaginario di molti cattolici, sulla scia degli strali vaticani, i gay, come in passato le donne, non hanno anima o si comportano come se non l’avessero).
Costruire ponti è l’esatto contrario di “innalzare muri”, cioè barriere; e per far ciò, occorre saper ascoltare, senza pregiudizi, l’esperienza delle persone. “Quando ho chiesto al card. Ratzinger se avesse mai parlato con qualche persona omosessuale, mi fu risposto che lui ‘li aveva visti’ manifestare contro la visita del Papa in Olanda”, ha raccontato suor Gramick, “ma sappiamo bene che vedere non basta”.
La religiosa ha ricordato documenti fondamentali, ma poco noti, come il paragrafo 3 del Diritto Canonico, dove si afferma che i fedeli hanno il diritto di poter esprimere opinioni e dissensi all’interno e per il bene della Chiesa, e il Sinodo del 1971 dove si è parlato, fra l’altro, dell’attenzione alle diversità. “Il documento vaticano contro il riconoscimento di alcuni diritti civili agli omosessuali è stato rifiutato da circa la metà dei fedeli americani, tra cui molti preti, e tantissime suore, la cui opera è del resto iniziata molti anni prima di quella dei colleghi maschi, addirittura nel ’74”, ha puntualizzato ancora suor Jeannine.
Il suo testo non intende essere un’esegesi biblica ma fornisce, e in questo sta, a nostro avviso, il suo maggior pregio, un’attenta e accorata disamina “dal vivo”, senza alcuna freddezza pseudo-scientifica ma con sicuro rigore intellettuale ed evangelico, smentendo luoghi comuni e rivelando un volto della Chiesa realmente “materna” e accogliente.
Si tratta di trovare un po’ di coraggio per mettersi in discussione e affrontare con serenità ogni problema, in primis quello della visibilità che, come ha chiosato il pastore Simon Pietro Marchese, presente all’incontro, è uno dei simboli del nostro essere cristiani.