Quando il Messia rompe i confini del ‘noi e loro’ (Luca 4,14-30)
Testo di padre James Martin SJ*, pubblicato su Outreach (Stati Uniti), sito di risorse per cattolici LGBT,+, il 25 gennaio 2025. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
Nel Vangelo di oggi, in una storia presente in tutti i Vangeli Sinottici, Gesù si trova nella sinagoga di Nazaret, davanti a chi lo conosce perché era originario di lì, e rivela la sua vera identità. In sostanza, dichiara di essere il compimento di tutte le profezie, ma di essere il Messia.
Leggiamo l’inizio della vicenda, in cui Gesù espone ciò che gli studiosi del Nuovo Testamento definiscono una dichiarazione “programmatica” o un sommario generale del suo ministero futuro. Gesù sarà un Messia profetico e descrive in questo brano quello che Luke Timothy Johnson, nel suo commentario Sacra Pagina, definisce il “carattere” del suo ministero: annunciare la buona novella ai poveri, ai ciechi, ai prigionieri e agli oppressi.
Fin qui, sembra andare tutto bene, potremmo pensare. Ma nella parte successiva della storia emerge la reazione della folla alle parole di Gesù. All’inizio, dice Luca, gli abitanti di Nazaret lodarono le “parole di grazia che uscivano dalla bocca” di Gesù. Tuttavia, Gesù li mise in guardia dal pensare che avrebbe compiuto tra loro i miracoli che avevano sentito avvenire altrove, in particolare a Cafarnao. Inoltre, ricorda loro l’episodio di Elia, che durante una lunga siccità aiutò non una donna ebrea, ma una vedova di Sarepta, al di fuori del territorio di Israele. E, per sottolineare ulteriormente il concetto, Gesù cita il profeta Eliseo, che guarì non un uomo ebreo, ma Naaman, un siro, un gentile.
In passato, pensavo che la gente della sua città fosse semplicemente infastidita dalla sua arroganza. Forse è così. Dopotutto, nei racconti sinottici, tutti riportano una variante di: «Non è costui il falegname?» o «Non è costui il figlio del falegname?». In altre parole: «Chi si crede di essere?». Questo passo è spesso utilizzato per sottolineare come possiamo talvolta ignorare il divino anche quando è proprio davanti a noi.
Negli ultimi anni, ho interpretato questa storia come un segno della disponibilità di Gesù a non essere amato, accettato o approvato. Pur intuendo che i nazaretani lo avrebbero respinto — dopotutto, ha vissuto con loro per circa trent’anni e ne conosceva bene le reazioni — dice ciò che doveva dire. È un invito per tutti noi a liberarci dal bisogno di approvazione.
Ultimamente, però, ho compreso questa storia in modo diverso. Notate cosa dice Gesù del suo ministero di liberazione imminente. Chi sarà liberato? I poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi. Nel rifiuto della folla, quindi, si percepisce non solo la domanda: «Lui?» ma anche: «Loro?». Come se non bastasse, Gesù afferma che la sua missione non è solo per il popolo ebraico, ma per tutti.
“La visita e la salvezza di Dio erano destinate ai poveri e agli oppressi di tutte le nazioni… e questo suscita l’ira dei vicini,” scrive Johnson. In altre parole, il Messia è venuto, ma non solo per loro.
Il vero leader, come Gesù dimostra continuamente, non si preoccupa solo di “noi”, ma anche di quelli che sono considerati come “loro”. Vale a dire, tutti coloro che sono visti come “altri”, “diversi”, “strani”, “stranieri” o perfino “indegni”. Oggi, questo significa le persone transgender, i migranti e i rifugiati, i detenuti nel braccio della morte e così via. Soprattutto, significa i poveri.
Ognuno di noi ha la propria lista di chi è “dei nostri” e chi è “dei loro”. Il vero leader, però, non solo include “loro” ma li sostiene. Si schiera con loro. Li difende dalla persecuzione. Le prime parole di Gesù ai suoi amici a Nazaret non riguardano come li consolerà, ma come il suo ministero sarà per tutti. Questo suscita la loro ira. Lo fa ancora oggi. Ma non importa: Gesù va avanti. E così dobbiamo fare anche noi.
*Padre James Martin SJ è un gesuita e scrittore statunitense, noto per i suoi libri e riflessioni sulla fede e sul dialogo tra Chiesa e persone LGBTQ+.
Testo originale: A true leader helps the poor and marginalized