Quando la preghiera si fa vita. Dalla Veglia per le Vittime dell’omotransfobia di Torino






Riflessioni di Massino Battaglio
I freddi numeri dicono molto. Combinati con la musica, dicono ancora di più. Così è cominciata (lunedì 12 maggio 2025) la Veglia per le Vittime di Omotransfobia di Torino: una lettura freddissima di tutti i fatti omofobi registrati su omofobia.org nell’ultimo anno (gli stessi riportati nel nostro recente articolo “Una violenza che non fa più notizia“).
Intorno il buio; in sottofondo, il preludio dalla suite n°. 2 per violoncello solo di Bach. Al termine del brano, dopo sette eterni minuti di lettura, gli attori si sono interrotti e hanno detto “siamo arrivati al trentacinquesimo episodio dei 105 registrati nel corso dell’ultimo anno, i quali hanno mietuto 156 vittime”. I freddi numeri dicono molto.
Ma la Parola di Dio può sciogliere la freddezza dei numeri. Una candela percorre la navata durante la loro declamazione. Al termine si accendono le luci e si legge il brano di Isaia:
“Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione. Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a promulgare l’anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto”.
Anche quest’anno abbiamo voluto esprimere la nostra preghiera per le vittime di omofobia attraverso una pluralità di linguaggi: quello della testimonianza che denuncia, quello della Parola che consola, e quello dei sensi, della musica, della luce e dell’ombra, del profumo e delle mani che si stringono o si avvicinano per ricevere un lume in dono.
Perché l’omotransfobia è un male contro tutta la persona: contro la sua mente, il suo cuore e il suo corpo. E si sconfigge coinvolgendo le menti, trasformando i cuori, riappropriandoci dei corpi.
Anche i numeri più caldi dicono molto. Volevamo portare a noi quante più persone possibile. E abbiamo pensato che il modo migliore per farlo fosse di coinvolgerle attivamente nella Veglia. Avevamo preparato 200 bigliettini con sopra il racconto stringato di un episodio di omotransfobia dei più gravi (omicidi o suicidi).
I partecipanti erano invitati a scrivere sul retro una preghiera per la vittima e consegnarla in un cestino. In cambio avrebbero ricevuto un lumino dalle mani degli organizzatori. Sono avanzati 16 lumini perché qualcuno non si è sentito di scrivere.
Tutti noi del Pozzo di Sicar e delle realtà che ruotano intorno alla “Pastorale LGBT+ della diocesi di Torino” ci siamo occupati in qualche servizio, dal canto alla lettura, dall’accoglienza all’organizzazione del successivo rinfresco – che è prosecuzione della preghiera – ma abbiamo voluto cedere i più “nobili” ad esterni. Per esempio, i commenti alle letture bibliche sono stati proposti da due sacerdoti, un diacono e una suora.
Quello al Vangelo, dal Vicario Episcopale per la Pastorale sul Territorio don Mario Aversano. Per alcuni di loro era la prima volta – ci hanno detto – che si confrontavano col tema dell’omotransfobia andando oltre il sentito dire. E ce lo hanno detto con un fare tra la commozione e la convinzione. Bene: per vincere, è indispensabile con-vincere.
E’ stato bello per noi misurare il grado di con-vinzione (o con-vittoria) con cui tutte le persone che abbiamo interpellato per ricoprire qualche ruolo hanno risposto all’appello.
Il calore, la vicinanza di tante persone dà speranza; dobbiamo amministralo con cura e “accudirlo” con pazienza perché cresca. Sono preziosissimi i trenta “sì” che abbiamo collezionato in brevissimo tempo, i “vengo anch’io” degli amici dell’organista russa a cui si sono uniti un flautista locale, una violoncellista di Ivrea e un baritono ucraino (così).
La pace, intesa come superamento di ogni violenza, è stata la protagonista sotterranea della nostra Veglia, che si è conclusa appunto con un gesto e un impegno alla fraternità:
“Preghiamo per la pace.
Essa è il contrario della violenza. E ciò che agita la violenza è un movimento dell’essere umano antitetico alla compassione e si chiama crudeltà. E’ un neologismo che evitiamo di usare, come se volessimo negarla. Ma è su questo che poggiano le azioni più disumane di negazione e denigrazione della vita umana. É un sentimento che genera azioni intenzionali che infliggono sofferenza talvolta prolungata nel tempo e supremazia sul più debole. Negarla significa non dare il giusto peso al valore opposto: la compassione.
In questa veglia contro la violenza di qualsiasi forma e genere, impegnamoci a coltivare la compassione, da cui scaturisce la pace”.
“Il Signore non sopporta la violenza, non sopporta il male” ha detto don Aversano nella sua omelia: “aborrisce il pregiudizio che toglie la possibilità di vedere l’essere umano nella sua meraviglia”.
L’omofobia sarà sconfitta quando gli uomini e le donne impareranno a guardarsi con occhi meravigliati anziché con sospetto. Allora scopriremo che “Dio non fa preferenze di persone” (At 10,35) e non vale la pena che, a fare preferenze, ci si metta noi.
Passata la veglia, oggi ci siamo svegliati tutti un po’ rintronati – il lavoro è stato molto e l’adrenalina andava a palla – ma carichi di parole, di luci, di musica e di sorrisi: quelli degli amici di antica data, venuti per affetto o perché condividono la nostra lotta (la preghiera è anche lotta) e quelli degli amici nuovi che hanno saputo e hanno voluto unirsi a noi.
Ci siamo svegliati convinti (o con-vittoriosi?) che, indietro, non si torna. Non si possono sospendere i dialoghi, dimenticare le battaglie, retrocedere culturalmente, politicamente, pastoralmente. L’acqua scorre solo verso il basso; l’omofobia, come la violenza di qualunque tipo, è oggi un fiume in piena ma, come tutti i fiumi è indirizzata alle profondità tenebrose degli abissi. E “le tenebre non prevarranno” (Mt 16,18).
> Tutte le città dove si veglierà a maggio per il superamento dell’omotransbifobia