Quel legame disinteressato. Cosa è accaduto quando ho incrociato il cammino del Guado
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Dialogo di Innocenzo Pontillo con Luciano Ragusa del Guado di Milano
Il 20 dicembre 2020 il Guado, il gruppo di confronto e di ricerca su “Fede e omosessualità” di Milano, festeggia i suoi quarant’anni di cammino. Dal 20 dicembre 1980, data in cui è iniziata la sua storia, ha incrociato centinaia di persone che “possono testimoniare come una persona omosessuale può vivere fedelmente il messaggio evangelico”.
Ma come e perché il cammino del Guado ha finito per cambiato la vita di tanti cristiani LGBT e delle persone a loro vicine?
In attesa di ricevere una risposta a questa domanda (mandate se volete una vostra testimonianza a tendadigionata@gmail.com), ho voluto chiedere a Luciano Ragusa, attuale presidente del Guado, di raccontarci di come lui ha incontrato il cammino del Guado e di come lo ha cambiato.
Ma prima, vorrei chiedergli “chi è Luciano oggi?”
Mi chiamo Luciano Ragusa, sono nato a Busto Arsizio (VA), ho quarantasette anni, e da più di vent’anni ho una relazione con un uomo molto più grande di me. Attualmente, all’interno del Guado, ricopro da quattro anni la carica di presidente, situazione nella quale ero già “incappato” nel biennio 2003-2004.
A parte questo, Luciano, è un uomo che si muove dentro tante passioni, fra le quali la filosofia, la letteratura, il cinema, il teatro, il cibo, le birre trappiste, e l’attività sportiva, specie il mezzofondo prolungato, disciplina la cui fatica è valsa (mi piace pensarla così) qualche buona idea. Sempre aperto a nuove amicizie ritengo di averne di alto spessore, cosa della quale non ringrazierò mai abbastanza.
Quando e come è accaduto che hai incrociato il cammino del Guado?
Avevo appena compiuto 26 anni, e cercavo un’associazione LGBT alla quale offrire il mio impegno: negli anni precedenti il mio sforzo si era concentrato su alcune esperienze di volontariato, in particolare anziani e senzatetto, per scoprirvi che 22 anni, almeno nel mio caso, non erano sufficienti a filtrare il dolore che situazioni del genere comunque veicolano.
Intanto, siamo nel 1997, ho fatto “coming-out” in famiglia, situazione la cui parziale stabilizzazione, consentitemi l’eufemismo, ha richiesto un biennio di lavoro, e mi ha fornito il tempo di maturare l’idea che potessi essere utile all’associazionismo gay, senza preoccuparmi di una visibilità ormai elaborata.
A quel punto non rimaneva che “annusare l’esistente”, e, dopo mesi di partecipazione come osservatore, ho dato una possibilità al gruppo che volutamente, allora pensavo per mancanza di affinità elettive, avevo lasciato per ultimo, il Gruppo del Guado.
Rammento perfettamente quel sabato 5 febbraio 2000, giorno in cui sono entrato nella sede di via Pasteur: era prevista la presentazione del libro di Gianni Rossi Barilli, “Il movimento gay in Italia”, e ricordo la sorpresa di trovarmi di fronte ad una discussione libera, senza pregiudiziali che orientassero gli interventi in un verso ideologico piuttosto che in un altro. Per un po’ di tempo ho frequentato sia il Guado che un’altra realtà, scegliendo poi di vincolarmi al primo.
Cosa ti ha dato questo incontro?
Come ogni luogo in cui scegliamo di rimanere il Guado ha probabilmente risposto a delle domande inconsce che 20 anni or sono faticavo a razionalizzare. Di certo, come sottolineato nella risposta precedente, mi ha sorpreso l’impostazione, giocata sulla metafora di una porta sempre aperta ad accogliere persone diversissime per “formae mentis”, cosa per nulla scontata.
Sebbene l’associazione sia storicamente connotata come gruppo di riflessione su fede e omosessualità, si premura di offrire una spalla a chiunque, nei limiti ovviamente dell’educazione e della reciproca civiltà.
Questo ha consentito di creare uno spazio di libertà nel quale sentirmi a mio agio, con la consapevolezza che non tutto può funzionare e molte cose migliorare, ma, tutto ciò, è un problema dell’intero associazionismo.
Quello che invece sono certo di aver trovato è l’affetto di molte persone, le quali, nel tempo, sono diventate parte importante del mio universo emotivo.
Prima di questo incontro qual era il tuo rapporto tra la tua fede e la tua omosessualità?
Domanda complessa, e probabilmente priva di conclusioni comparabili al normale percorso di chi, dopo i sacramenti dell’iniziazione cristiana, prosegue la propria ricerca spirituale dentro le istituzioni canoniche. Ciò che da sempre ha catturato il mio interesse è la sacralità con la quale alcune esperienze prendono forma nella mia coscienza.
La religiosità che si esprime attraverso il mio sentire non ha che fare con riti, prese di posizione dogmatiche, apparati gerarchici: si fonde invece con un principio, che con tutte le cautele del mondo potrei definire di solidarietà, il quale, mi orienta verso un legame disinteressato con quello che c’è intorno; e quello che c’è fuori e dentro di noi è l’universo…
A pensarci bene, la formula legame disinteressato, rende perfettamente l’idea, perché ciascuno di noi è vincolato, ovvero privato di una parte della propria libertà individuale, dalla presenza dell’esistente; ma l’anello che ci unisce è disinteressato, non cerca l’utilità propria, ci protegge da interessi egoistici.
Fatta questa premessa, posso risponderti che mai, anche quando da adolescente ho evidenziato un orientamento sessuale omosessuale, ho faticato a coniugare il mio itinerario spirituale con l’attrazione verso gli uomini. A maggior ragione quando sono approdato al Guado, che mi ha aiutato ad espandere il mio personale concetto di espressione del divino.
Il cinema del Guado è una tua creatura? Vuoi raccontarci com’è nata questa esperienza e perché?
No, il cineforum al Guado non è una mia creatura. Abbiamo più o meno continuativamente proiettato dei film nel corso della nostra storia. Di mio c’è una diversa prospettiva, caratterizzata da tre fattori: considerare sul serio il cinema come “arte”, ovvero strumento di analisi capace di rispecchiare la realtà e di distruggerla anticipando il nuovo; di incastonare il cinema LGBT in questo contesto, proponendo percorsi storico-critici utili alla comprensione di ciò che si vede; ed infine le schede, che gli amici del gruppo mi hanno convinto a condividere in rete attraverso il nostro sito www.gaycristiani.it, e sul portale www.gionata.org.
Inoltre, tante proiezioni, accompagnano il lavoro che si fa durante gli incontri del sabato, come successo per esempio nel 2015 in occasione dei 40 anni della morte di Pier Paolo Pasolini. Lo sforzo è stato enorme, accompagnato da 3 proiezioni (“Comizi d’amore”, “Il fiore delle mille e una notte”, più i corto-mediometraggi “Cosa sono le nuvole”, “La sequenza del fiore di carta”, “La terra vista dalla luna”), un convegno con il professor Walter Siti e il professor Daniele Gallo, una chiacchierata con Vincenzo Patané sul cinema pasoliniano, e un ulteriore pomeriggio in cui ciascuno di noi ha condiviso poesie, letture, frammenti di film, dell’intellettuale friulano.
Che film consiglieresti di vedere a chi vorrebbe approfondire il tema fede e omosessualità?
Lasciami fare una notazione di merito: l’intero mondo della comunicazione sta cambiando pelle ad una velocità fotonica. Senza entrare in discussioni troppo complesse si fatica parecchio a circoscrivere con contorni netti cosa sia cinema oggi, perché i linguaggi e gli strumenti per fruirne sono estremamente commistionati. Quanta sala cinematografica è entrata nei serial web-televisi? Quanto linguaggio dei serial è entrato nella “settima arte”? Quello che non è distribuito nelle sale è cinema? Netflix e Amazon, industrie che producono i loro film lontano da una distribuzione non in streaming, come vanno considerate?
Naturalmente non è questo il luogo per una critica della ragione cinematografica, ma quando mi chiedi di consigliare un film, mi domando se la risposta che posso fornire ad un ventenne sia la stessa di un cinquantenne, indipendentemente dalla qualità oggettiva del prodotto e dal soggetto proposto.
Provo comunque ad accettare la sfida, suggerendo un docu-film, e un lungometraggio:
– “Silenzi e parole” di Peter Marcias, docu-film italiano del 2017. Lo svolgimento segue le vicende di due comunità apparentemente distanti tra loro, quella dei frati cappuccini del convento di S. Ignazio di Cagliari, e l’associazione ARC, attiva per difendere i diritti della comunità LGBTQ. Il regista li riprende impegnati gli uni nelle settimane di Quaresima, gli altri nella Queeresima, evidenziando che l’aiuto verso chi è in difficoltà non ha steccati ideologici.
– Molto particolare è “Madre amadissima”, film spagnolo di Pilar Tavora datato 2009: Alfredo, un uomo maturo e omosessuale, mentre decora un’immagine della Vergine per la processione, le confida trent’anni di vita; e dell’amore smisurato nei confronti della madre, che, per analogia, la Vergine non può non comprendere.