Quell’invito di papa Francesco ad andare nelle periferie che mette in imbarazzo la sua chiesa
Editoriale del settimanale cattolico National Catholic Reporter (USA) pubblicato il 27 luglio 2015, liberamente tradotto da finesettimana.org
Nel crescente corpus delle dichiarazioni di papa Francesco – in omelie, discorsi ed encicliche – rimane costante uno stile di linguaggio che potrebbe tranquillamente essere definito singolare come qualità nella lunga storia della letteratura papale. È uno stile di linguaggio eminentemente accessibile, frutto di esperienza personale e plasmato in primo luogo dal suo amore per i poveri.
Non è un amore distante o un concetto romantico quello che lo fa parlare così. Non fa dei poveri degli eroi né evoca per la povertà qualche nobile fine che sarà in qualche modo pienamente realizzato nella vita futura.
Esattamente il contrario. La trascendenza non è riservata a qualche altra realtà. Per Francesco, il Cristo che adoriamo nella pace del santuario è il Cristo delle strade. Francesco parla di situazioni reali, attuali, con un linguaggio molto semplice e schietto, e questo linguaggio a volte è poco diplomatico in maniera disarmante.
Veramente, negli Stati Uniti, è difficile discernere quello stile di linguaggio. Le parole ci mettono in imbarazzo.
Durante il suo discorso in Bolivia ai membri dei movimenti popolari ha detto: “Quando guardiamo il volto di quelli che soffrono, il volto del contadino minacciato, del lavoratore escluso, dell’indigeno oppresso, della famiglia senza casa, del migrante perseguitato, del giovane disoccupato, del bambino sfruttato, della madre che ha perso il figlio in una sparatoria perché il quartiere è stato preso dal traffico di droga, del padre che ha perso la figlia perché è stata sottoposta alla schiavitù; quando ricordiamo quei “volti e nomi” ci si stringono le viscere di fronte a tanto dolore e ci commuoviamo, tutti ci commuoviamo”.
Era un momento rivelatore. Nessuno ha fatto un sorrisetto o ha pensato che fosse un’esagerazione che lui ponesse se stesso pienamente all’interno di quei gruppi. Lui c’è stato. È parte dell’autenticità che rende le sue parole non solo tollerabili, mentre potrebbero comprensibilmente ripugnare, ma veramente invitanti e attraenti.
La sua esortazione ad andare alle periferie non è una fioritura retorica; il suo ormai familiare riferimento all’ “arte dell’incontro” non è una metafora. Le immagini che fornisce ripetutamente in tempi e circostanze reali dimostrano precisamente quello che intende – andare alle periferie della società tra gli accidentati, gli sfigurati, i derelitti senza mezzi, quelli che sono dietro le sbarre.
Sono i preferiti per la sua attenzione ed energia, il punto di partenza da cui fluisce il suo modo di intendere l’essenza del vangelo e della vita cristiana.
Quanti di noi hanno sentito parlare durante una giornata o un periodo di ritiro di una qualche versione del “triangolo rovesciato”, un’immagine semplice per spiegare che il modo cristiano di considerare ciò che è più importante nella vita potrebbe essere diverso da ciò che è predicato a Wall Street o dal bombardamento quotidiano di annunci pubblicitari in cui ci imbattiamo ogni momento.
Francesco va più a fondo della spiegazione, va ben al di là della mera tolleranza. E questo, forse, è ciò che ci innervosisce, qui nel Primo Mondo, nel mondo sviluppato, nel ricco Nord. Questo papa non è ideologico o di parte. È radicale nel senso più essenziale – nell’andare alla radice delle cose. Non si può sottovalutare il fatto che una fondamentale parte della sua formazione ha avuto luogo
immersa nelle “tempeste delle vite della gente” negli slum attorno a Buenos Aires, in Argentina. Non è certo quello il luogo dove trovare nuclei familiari cattolici perfetti. Non sono luoghi da portafogli da investimento, avanzamenti di carriera, cene eleganti ed esaltanti conversazioni intellettuali. Non sono luoghi che hanno influenza sulle politiche economiche o militari di un paese. Ma sono il suo punto di partenza, la prima lente attraverso la quale osserva il resto del mondo.
Coloro che amano definire l’ortodossia cattolica tramite una lista ristretta di peccati sessuali sono inclini a descrivere se stessi come anticonformisti che combattono le potenti forze del secolarismo. Verrà settembre e la visita di Francesco, e probabilmente saremo tutti scossi fino alle radici da una definizione molto più ampia di ortodossia cattolica e da una idea molto più esigente di ciò che significa essere anticonformisti negli Stati Uniti.
“Voi, cari fratelli, lavorate molte volte nella dimensione piccola, vicina, nella realtà ingiusta che vi è imposta, eppure non vi rassegnate, opponendo una resistenza attiva”, ha detto agli attivisti dei movimenti popolari in Bolivia. Stava applaudendo loro e il loro lavoro eroico per “resistere al sistema idolatrico che esclude, degrada e uccide”.
I presenti non hanno avuto bisogno di ulteriori spiegazioni di ciò che intendeva con “un sistema idolatrico”. Si tratta, sono le sue parole, di “una globalizzazione che esclude”. Presto verrà nella centrale della globalizzazione.
Testo originale: Editorial: Pope Francis’ exhortation to walk on the margins makes us squirm
http://ncronline.org/news/faith-parish/editorial-pope-francis-exhortation-walk-margins-makes-us-squirm