Quindici anni di silenzio non bastano? Una lesbica cristiana si racconta
Intervista di Martina Miliani tratta dal ilmondovistodaquaggiu*, 20 agosto 2011
“Sono stata quindici anni della mia vita in silenzio. Vorrei che nessuno dovesse rivivere quello che ho vissuto io”.
Giulia (nome di fantasia ndr) pronuncia questa frase dopo aver raccontato la sua storia, scandita da quelle risa che nel tempo è riuscita a coltivare con le sue lacrime. Nel paese dove è nata e cresciuta, Giulia dice di essere “un attore in un teatro”.
“I miei amici sono tutti cattolici, come me, ma alcuni oserei dire fondamentalisti, del tipo: ‘La chiesa non sbaglia, ma anche se sbagliasse dovremmo comunque crederle’. Giulia racconta di aver sempre saputo di essere lesbica, ma che ha provato a fidanzarsi con qualche ragazzo.
Da una di queste storie nacque anche una bella amicizia: “Avevamo la scusa – spiega Giulia – che essendo credenti non avremmo voluto fare sesso prima del matrimonio, e andava benissimo a entrambi. Poi ci siamo lasciati e in seguito abbiamo capito il motivo. Anche lui era omosessuale.
Quando usciamo facciamo finta di fare battute, io sugli uomini, lui sulle donne, poi arriviamo a casa e facciamo l’inverso: io parlo delle ragazze e lui dei ragazzi. Passiamo le serate assieme, vado a trovarlo quando ha casa libera”. Poi aggiunge sorridendo: “Credo che mio padre sia convinto che io stia con lui”.
Una decina di anni fa, Giulia si innamorò di una carissima amica: “Decisi poi di allontanarmi da lei dopo che un sacerdote mi disse che quello era ‘il volere di Dio’. All’inizio ero forte di questa cosa, ma poi mi mancava”.
Così Giulia convinta che l’unico modo per essere cattolica fosse quello di rimanere casta, decise di prendere l’unica via possibile: “Entrai in un convento di suore salesiane. Ma proprio il primo giorno vidi una ragazza, ospitata laggiù perché stava vivendo una situazione difficile.
Bastò un’occhiata e persi completamente la testa”. Giulia adesso ci scherza su: “Sono stata sette mesi della mia vita davanti al tabernacolo pregando: ‘E no… anche questa non me la dovevi fare!’”.
La storia con questa ragazza è durata tre anni, nella convinzione che sarebbe passato tutto, che poi avrebbero trovato un ragazzo bello, simpatico e intelligente. Ma per Giulia non fu così: “Io ero disperata. Ero convinta di non essere una brava ragazza, di vivere nel peccato.
Ho fatto tre cicli di psicoterapia prima di capire che il problema non era mio, perché io sapevo chi ero. Il problema era di chi non mi accettava, chiesa compresa. In quel momento ho stretto la mano alla psicologa e ho smesso di farmi problemi”.
Nel suo paese circolano solo voci sulla sua sessualità, nessuno però mai ha chiesto nulla. Da quando è riuscita a parlarne solo con suo fratello e sua sorella, i rapporti con loro sono molto migliorati, si sente se stessa con loro. Giulia sa che quando riuscirà a parlare con i suoi genitori, allora affrontare dieci, cento, mille persone, non avrà importanza.
C’era anche lei a Palermo qualche sera fa, a pregare per le vittime dell’omofobia, e tornerà per il pride. Un momento che per lei non è un’ostentazione, ma una necessità: “Il giorno in cui gay ed eterosessuali avranno pari diritti – spiega – , del pride non ci sarà più bisogno”.
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* In occasione della veglia per le vittime dell’omofobia sono stata intervistata da una giornalista in erba… davanti ad un caffè… tra uno scoppio di riso e un momento serio. Visto che poi il pezzo non è stato pubblicato dalla sua testata, le ho chiesto se potevo pubblicarlo qui, perchè merita… perchè tra le parole è riuscita a cogliere quel qualcosa che non avevo osato verbalizzare. Ma lasciamo parlare lei.