Ragione di Fede. L’autonomia della coscienza nella fede cristiana
Riflessioni di Alberto Sonego
“Un libro santo s’acquista da solo la più grande venerazione presso coloro che non lo leggono affatto o che almeno non saprebbero derivarne alcun concetto coerente della religione, e qualunque disquisizione sottile non ha alcuna efficacia contro questa sentenza dogmatica che supera ogni obbiezione: ‘sta scritto qui’.
Infatti la lettura di questi testi sacri, o la riflessione sul loro contenuto, hanno l’intento finale di rendere gli uomini migliori, mentre la parte storica, che non serve per nulla a questo fine, è in sé qualcosa di pienamente indifferente, che si può trattare come si vuole”. (Immanuel Kant)
Come sono nitide le immagini che questo testo ci presenta! Sono così ben definite i loro contorni, ed il colore che ne regola il tratto interno da sembrare banali, superflue; fiabe dalla morale manifesta, espressioni da formulario arcano ma noto. Un dejavù. Eppure sono le stessi frasi che oggi molti non riescono più a ricordare, che pur sforzandosi non riescono a richiamare alla mente.
La contraddizione è che la memoria non si riesce a scollare dalla memoria, ed insieme migliaia di nozioni danzano ad interrompere il delicato soffio di un ragionamento chiaro, puro, soffice.
Ma al di là di troppo facili poetismi, quasi retorici, io credo che davvero sia da chiederci che cosa abbia voluto dire Kant in questo breve passo tratto da “La religione entro i limiti della sola ragione”, (l’opera in cui per l’appunto il filosofo tedesco delle tre critiche si interroga sulla fede, ed in particolare anzi esclusivamente su quella cristiana). Certamente un’analisi del testo occorrerebbe molto tempo, ed altrettanto sicuramente non è un’attività che si addice alla forma del aggio breve.
Tuttavia alcuni particolari, a livello informativo generale, sono importanti da ricordare. Il punto focale della riflessione kantiana sta nell’enunciazione della differenza sostanziale (e non solo formale) tra chiesa visibile (le diverse chiese, per meglio dire, con i loro dogmi e decreti, fatti dagli uomini) e chiesa invisibile (che è universale, basata sulla fede razionale di ogni uomo ed interpretata di volta in volta dalle varie rivelazioni).
Ora: la rivelazione risulta essere il termine chiave per parlare di cristianesimo. essa è contenuta nei libri sacri (nell’Antico come nel Nuovo Testamento) ma è tale da necessitare di un’interpretazione che faccia sì di evitare che le sentenze vengano imposte agli uomini come obblighi legali più che come comandi morali.
La differenza tra legalità e moralità è la base di questo ragionamento (vd. “Metafisica dei costumi” di I. Kant), e sebbene sia vano, in così poche righe, spingersi oltre con la spiegazione, è evidente che tale distinzione, ancora oggi, non è dimenticata.
Da qui deriva infatti il profondo abisso semantico tra la colpa ed il reato, tra la contravvenzione etica e quella giuridica; da qui deriva, peraltro, quella tesi di Kant secondo la quale la moralità non può essere imposta dagli uomini, ma è avvertita, al contrario, al livello della coscienza del singolo.
E da qui, inoltre, la possibilità di collegarci alla citazione kantiana riportata più in alto, in quanto l’ironia dell’autore (nella prima delle due frasi) è manifestamente indirizzata a coloro che pretendono di far valere la fede quasi fosse una legge, mediante la costrizione e la forzatura di passi originariamente indirizzati alla moralità individuale.
Chi dice che essere omosessuale è peccato, evidentemente ignora il messaggio profondo del Nuovo Testamento, della parola di Cristo che non ha sostituito l’Antico Testamento (il quale attribuiva a peccati contro il cielo punizioni terrene – trasformando così la colpa in reato) ma l’ha riformato in senso razionale, ovvero rivolgendo l’appello non ad un popolo di uomini, ma ad un popolo di anime.
Ignorano questo messaggio perché attaccati ad un senso normativo della parola divina, perché incapaci di attribuire all’oggetto delle loro accuse la facoltà di pensare e di riflettere su se stesso.
Chi usa la Bibbia quasi fosse un codice penale, o si affida ai Vangeli ignorando la profondità del messaggio che veicolano (al di là della forma e del racconto, ma l’autentico insegnamento di Cristo) si abbandona in realtà all’indottrinamento, e si impedisce di ragionare.
In fin dei conti, questo è il senso della lettura esegetica dei testi, ed è forse il senso della fede più sincera quella che viene dal cuore, e non dalla memoria.