Religiose lesbiche e queer, una storia sacra che continua
Articolo di suor Tracey Horan* pubblicato sul sito Global Sisters Report (Stati Uniti) il 6 aprile 2022, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Sono arrivata un venerdì pomeriggio di marzo a Racine, nel Wisconsin, dove quarantaquattro suore di ventidue congregazioni si sono incontrate sotto l’egida di New Ways Ministry. Mi sono guardata attorno e ho sorriso, pensando che le suore sanno davvero incontrarsi per creare qualcosa insieme. C’erano centrotavola e candele arcobaleno, cioccolatini e quelle che sembravano spille con varie decorazioni LGBT. Sono stata lieta di inserirmi fin da subito, prendendo una spilla e appuntandomela come segno visibile di sostegno alla comunità LGBTQ.
Dunque ne ho presa una, ma dietro non c’era la spilla: era solo un disco di metallo. Forse era rotta, o ne mancava un pezzo. Ho chiesto a una consorella se anche la sua fosse rotta, ma lei mi ha guardata sconcertata e ha detto “Non è una spilla, è uno specchio”. Ovviamente!
Quegli specchi decorativi, un misto di espressione di sostegno [alla causa LGBT] e di invito alla riflessione personale, erano un simbolo perfetto per la conferenza di New Ways Ministry di quest’anno, intitolata “Religiose lesbiche e queer: la nostra storia sacra continua”, un evento per consorelle LGBTQ, consorelle impegnate nella formazione e nella direzione, e consorelle alleate in generale.
Ognuna delle oratrici aveva steso un capitolo dell’antologia Nella giustizia e nella tenerezza. Storie sacre di religiose lesbiche e queer, pubblicata [negli Stati Uniti] nel 2020 [edizione italiana del 2022, n.d.t.], e durante il weekend ci hanno invitate a scrutare allo specchio la nostra identità sessuale ed espressione di genere, chiedendoci come si possa esprimere il nostro sostegno nelle nostre congregazioni e creare spazi protetti per le persone LGBTQ.
Il libro stesso, per me, è stato uno specchio in cui riflettermi ancora prima di arrivare a Racine. All’autrice di ogni capitolo è stato chiesto di riflettere sulle medesime domande, e mentre le leggevo sono rimasta colpita dalla loro pertinenza per ogni persona consacrata:
– A quale età sei diventata consapevole della tua sessualità?
– A quale età ti sei sentita attirata verso la vita religiosa, e cosa ti ha attirato?
– In che modo la tua concezione della castità e del nubilato è cambiata nel tempo?
– In che modo hai integrato la tua identità sessuale con il tuo impegno religioso?
Mentre ero immersa nel libro per prepararmi alla conferenza, ho immaginato la succosa discussione che verrebbe fuori se tutte le persone consacrate, etero ed LGBTQ, fossero invitate a riflettere su queste domande, e a rispondervi.
La prima oratrice ci ha invitate a fare esattamente questo, e ne è risultata una discussione profonda. Ognuna di noi è stata invitata a guardare in uno specchio, per capire in che modo le nostre congregazioni riservano uno spazio alle nostre storie sacre, e come integriamo queste parti di noi stesse nella nostra personalità. Le autrici stesse hanno guardato coraggiosamente nello specchio per accogliere la propria sessualità e la propria identità ed espressione di genere nel contesto di una congregazione religiosa, e hanno condiviso con noi i frutti delle loro riflessioni, oltre che parlare di come le loro vite sono cambiate da quando il libro è stato pubblicato.
Questa atmosfera di fiducia e sincerità ci ha permesso di porre domande sincere e di confrontare le storie provenienti da diverse congregazioni, generazioni e identità lungo lo spettro dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Le consorelle baby boomer, quelle delle generazioni precedenti, ma anche quelle tra i trenta e i cinquant’anni hanno parlato di come il termine “queer”, negli anni della loro gioventù, avesse una connotazione negativa, e alcune di loro non riescono a togliersi dalla testa il fatto che fosse usato come insulto, nonostante oggi sia un termine usato correntemente dalla comunità stessa. Solo le consorelle millennial si trovano a loro agio con il termine, che usano come sinonimo di LGBTQ.
Una consorella, con la voce rotta dall’emozione, ha raccontato del suo coming out di fronte alla sua congregazione, e di come una delle consorelle si sia tirata indietro quando ha tentato di abbracciarla, come se il fatto di essere lesbica volesse dire che era attratta da tutte le suore. Nella sala molte hanno annuito, consapevoli che di una suora eterosessuale non si pensa mai che sia attratta da ogni uomo che abbraccia.
Una consorella si è scusata pubblicamente per le sue reazioni negative di fronte ai membri della sua congregazione che si vestivano in modo più maschile: da piccola sua madre le aveva detto che donne come quelle erano troppo mascoline, e che il loro modo di vestire non era accettabile. Una consorella seduta al mio tavolo, che già decine di anni fa ha avuto il coraggio di rivelarsi come lesbica di fronte alla sua congregazione, ha detto che la sua personale esplorazione non si è mai fermata: “Voglio essere autentica, e non so bene dove [questa esplorazione] mi porterà”.
Le oratrici hanno riportato vari tipi di reazione, da parte delle loro congregazioni, alla loro collaborazione nella stesura del libro. Una congregazione ha voluto organizzare un comitato di lavoro sull’inclusione LGBTQ, e ha tenuto un incontro Zoom con centinaia di consorelle per riconoscere e celebrare il coraggio di chi ha raccontato la propria storia nel libro.
Un’altra presentatrice ha descritto come “ritorno a casa” il cammino di sempre maggiore consapevolezza della sua identità: “Ho capito di essere sempre stata a casa, ma adesso posso invitare gli altri a casa mia perché sappiano chi sono realmente”. È rimasta sorpresa quando la sua congregazione le ha chiesto di firmare la sua storia con il suo vero nome e il nome della sua congregazione, sempre che volesse farlo: non si aspettava un tale sostegno istituzionale senza condizioni. Un’altra consorella ha invece espresso costernazione per la reazione di quasi totale silenzio della sua congregazione alla sua storia: forse che il silenzio significa disapprovazione?
Mentre ci specchiavamo nelle nostre personali esperienze e desideri (come il desiderio di essere accolte mentre accogliamo senza condizioni gli altri), ci siamo anche soffermate sulle discriminazioni che affliggono le persone LGBTQ nella nostra Chiesa e nel mondo. Abbiamo discusso del nostro aspetto esteriore (al di là dell’abito religioso), del nostro modo di vestirci, apparire e atteggiarci: femminile abbastanza per non apparire “butch”, ma non troppo, in modo da non attirare l’attenzione su di noi.
Abbiamo ammesso l’omofobia interiorizzata che fa vivere nella vergogna le suore LGBTQ e impedisce a molte consorelle di sostenerle apertamente; abbiamo riconosciuto che, se le congregazioni statunitensi sono in prima linea nella lotta alla giustizia, lo sono meno per quanto riguarda i diritti LGBTQ, date le frizioni con la Chiesa gerarchica che il nostro sostegno pubblico può causare.
Verso la fine della conferenza abbiamo guardato nello specchio e abbiamo analizzato come possiamo esprimere sostegno visibile, nelle nostre congregazioni ma non solo, perché le nostre consorelle LGBTQ siano meglio accolte. Alcune hanno parlato del ruolo educativo del Genderbread Person, un biscotto (ndr a forma di forma umana) che rappresenta un modo accessibile per comprendere le differenze tra identità di genere, sesso anatomico, espressione di genere e attrazione (comunemente nota come orientamento sessuale).
Una consorella ha parlato dell’importanza di identificarsi come alleate all’interno delle nostre congregazioni, in modo che altre persone sappiano che con noi sono libere di essere se stesse. Abbiamo riconosciuto la necessità di continuare a creare spazi di libero scambio, e di invitare altre consorelle a unirsi a noi. Alla fine ognuna è tornata a casa, ma l’invito a vivere e operare “nella giustizia e nella tenerezza” continua, così come l’invito a coinvolgere altre e altri nell’opera collettiva dell’inclusione per le persone LGBTQ, nella nostra Chiesa e nel mondo.
* Suor Tracey Horan fa parte dell’ordine delle Suore della Provvidenza di St. Mary-of-the-Woods, nell’Indiana. Oggi vive a Nogales, nello Stato di Sonora, in Messico, sul confine con gli Stati Uniti, dove si occupa dell’educazione e dell’assistenza ai migranti.
Testo originale: New Ways Ministry conference holds up a mirror to our sacred stories