Il Vescovo di Gozo al Sinodo e le risposte da dare alle famiglie di oggi
Discorso del vescovo di Gozo e presidente della Conferenza Episcopale maltese Mario Grech al Terzo Sinodo Straordinario di Roma, del 8 ottobre 2014, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
In questo momento della nostra storia, in cui siamo chiamati a riflettere attentamente sulle sfide pastorali alla famiglia, stiamo anche attraversando – più che mai – un tempo di grazia che ci è dato per poter proclamare la gioia del Vangelo all’intera famiglia umana, a cominciare dalla comunità ecclesiale la quale, per dirla con il nostro Santo Padre, ricorda un ospedale da campo dopo la battaglia.
Nel mio ruolo di vescovo nato nella Chiesa Cattolica maltese posso attestare in tutta franchezza che nel cuore dei credenti permane una profonda sete di Vangelo.
Anche in quei casi dove più arduo è ricevere e mettere pienamente in pratica il magistero della Chiesa riguardo il matrimonio e la famiglia, proprio lì troviamo una tensione che inclina verso il Vangelo, verso Cristo.
Questa tensione si traduce, per noi, nella forma di profondissima supplica rivolta a noi Pastori perché possiamo attentamente discernere i segni dei tempi e dello Spirito per diffondere la bellezza del Vangelo e portare a tutti la consolante misericordia del Salvatore, in particolare a coloro che si trovano in situazioni pastorali difficoltose.
Cari Fratelli, dobbiamo osare avventurarci con coraggio per proclamare fedelmente il Vangelo, senza tradirlo. Né il contenuto né, tanto meno, il metodo – che, in sé, è l’attività principale dell’evangelizzazione – dovrebbero riflettere una qualche infedeltà verso ciò che richiede di essere predicato e ricevuto come la Buona Novella. È tenendo a mente questo criterio che desidero condividere con voi i seguenti tre punti, stesi dopo aver ascoltato con attenzione il popolo di Dio nella Chiesa di Malta e Gozo.
Il primo punto riguarda la continuità (dottrinale). Sappiamo molto bene che, se nostro Signore ha promesso di donare il suo Spirito per guidarci alla verità tutta intera (cfr. Giovanni 16:13), nello spirito di totale fiducia nella sua parola, la dottrina della fede è in grado di acquistare progressivamente una maggiore profondità. Non dobbiamo cambiare o distorcere il Vangelo della Famiglia in modo da sfigurarlo.
La famiglia di oggi, tuttavia, include abbastanza spesso le seguenti situazioni: un uomo e una donna, ambedue divorziati, che ora vivono insieme in una seconda relazione; oppure il caso di un figlio o una figlia che affermano di essere omosessuali; oppure un dato contesto nel quale l’esercizio della genitorialità responsabile si rivela assai arduo; relazioni distrutte dal fallimento; oppure la sfida di dover vivere in un contesto che rende incomprensibile il concetto stesso di legge naturale… Dobbiamo conoscere molto bene le nostre famiglie se vogliamo offrire loro il Vangelo in maniera pragmatica. Un buon punto di partenza potrebbe essere la nostra scelta del linguaggio, perché possa essere il linguaggio di una Chiesa misericordiosa e guaritrice.
Confesso di dover affrontare l’urgenza di questa necessità mentre ascolto le famiglie di omosessuali o le persone che hanno questo orientamento e che si sentono ferite dal linguaggio a loro riservato in alcuni testi, per esempio nel Catechismo della Chiesa Cattolica (edizione del 1997, §2358); di conseguenza tali persone lottano per mantenere viva la loro fede e per coltivare il loro sentimento di appartenenza filiale alla Chiesa. È necessario imparare a parlare il linguaggio degli esseri umani contemporanei, che lo riconoscono essere un modo di comunicare la verità e la carità del Vangelo: “Se si vuole adattarsi al linguaggio degli altri per poter arrivare ad essi con la Parola, si deve ascoltare molto, bisogna condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione” (Evangelii Gaudium [EG] 158).
Il secondo punto concerne la creatività. Noi dobbiamo esplorare, con l’aiuto della grazia divina, nuove vie per le quali raggiungere i nostri fratelli e le nostre sorelle che desiderano appartenere a una Chiesa che “non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (EG 47).
Le persone che vivono una situazione pastorale difficoltosa ci segnalano con una certa enfasi la necessità di svilupparci e crescere. Se un’assemblea come questa è stata convocata, ciò significa che la necessità di una riflessione più profonda, che abbracci nuove realtà pastorali, è davvero sentita da tutto il Popolo di Dio. Questo approfondimento “creativo” deve essere compiuto salvaguardando la continuità con la tradizione. È proprio da questa continuità che deve emergere ciò che è nuovo: il nuovo che si fonda in Cristo (EG1). La creatività, sia nel linguaggio che nell’atteggiamento pastorale verso le persone che si trovano in situazioni pastorali difficoltose, richiede molto di più di mere modifiche esteriori; al contrario, essa richiede la costante ricerca di nuove risposte assieme a nuovi approcci pastorali, alcuni dei quali possono essere tratti dagli insegnamenti dei Padri della Chiesa. È auspicabile che tali situazioni vengano esaminate da vicino con erudizione teologica accoppiata a un modo di pensare pastorale per produrre soluzioni pastorali fattibili costruite su considerazioni dottrinali approfondite, ancora da ricavare.
Il terzo punto riguarda l‘accompagnamento. La Chiesa deve offrire un significativo accompagnamento a ogni persona, riconoscendo che “la situazione di ogni soggetto davanti a Dio e alla sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall’esterno” (EG 172). Senza “accondiscende[re] ai fatalismi o alla pusillanimità” (Ibid.) né essere sospinti verso un atteggiamento “fai-da-te” nei riguardi del Vangelo, dobbiamo sviluppare delle forme di accompagnamento per ogni persona, suggerendo una via per la quale incamminarsi verso una vera crescita nella fede e nella comunione con la vita interna della Chiesa.
Tali risorse di accompagnamento non dovrebbero esaurirsi nel dichiarare semplicemente che la tale o la tal’altra situazione sono “irregolari” e che quindi dovrebbero essere considerate “irreversibili” senza avere chiaro in mente il modo in cui questi nostri fratelli e queste nostre sorelle possono maturare fino alla piena comunione. Qui considererei pertinente un riferimento alla visione agostiniana della patientia che deve essere esercitata dalla Chiesa pellegrina (1).
Agostino vede la patientia ecclesiale come un tempo di pressura – il tempo necessario perché le olive si trasformino in olio e l’uva nel vino del Regno. A mio parere, le coppie e le famiglie sfigurate dalle loro ferite rappresentano per i nostri tempi un’opportunità per la Chiesa di manifestare la sua virtù nell’ora della pressura.
La pressura è la tensione che erompe dalle limitazioni della nostra condizione; è il pesante fardello imposto alla Chiesa dai peccatori. La pressura è il rinvio del giudizio finale che vedrà la definitiva selezione finale degli eletti. Teniamo bene a mente, dunque, che il “composto organico” è la caratteristica della Chiesa nel tempo presente, come sottolineato dalle parabole evangeliche del Regno, per esempio quella del grano e della zizzania, e della pesca (cfr. Matteo 13). Agostino insiste sul fatto che tale composto è pegno di autenticità della Chiesa Cattolica: il vescovo di Ippona ci ricorda che una Chiesa in cui non ci sono peccatori e santi, forti e deboli e, permettetemi di aggiungere, famiglie sane e famiglie in crisi, non sarebbe l’autentica Chiesa Cattolica.
A volte, nella vita della Chiesa, la nostra fretta e la nostra impazienza possono causare un “aborto”, ovvero far sì che una persona non ancora nata abbandoni prematuramente il grembo materno.
Agostino ci avverte: “Non scuotete violentemente, con la vostra impazienza, il grembo materno della Chiesa e non chiudete le porte in modo da non poter passare” Sermo 216, 7(7): PL 38, 1080. Gli sforzi quotidiani verso la santità non dovrebbero mutarsi in insofferenza verso le proprie debolezze e miserie o, peggio ancora, verso quelle degli altri: questo provocherebbe la migrazione suicida verso una Chiesa “dei puri e dei perfetti”.
La Chiesa è paziente quando dimostra solidarietà verso quei fratelli meno dotati, che hanno bisogno di essere istruiti con amore e pazienza, senza interrompere lo spirito a causa dei tempi lunghi richiesti per imparare. La Chiesa è ricca di patientia quando accetta di buon grado il compito di portare i fardelli degli altri. Una tale Chiesa è disposta a trasportare sulle sue spalle il debole che è incapace di camminare da solo.
Nel cuore stesso del Vangelo della famiglia troviamo la salvezza di ogni persona umana, anche di coloro che si trovano in situazioni pastorali disagevoli. È nostro dovere di Pastori proclamare il Vangelo della salvezza anche a loro. È un dovere urgente, perché gli esseri umani stanno attraversando oggi queste traiettorie: perciò, l’ora di rispondere a questa supplica che viene dal Popolo di Dio è ora.
(1) Cfr. Pasquale Borgomeo SJ, La Chiesa in cammino: mistero di ‘patientia’, in La Civiltà Cattolica (2007) II, 329-338
Testo originale: Synod – Bishop of Gozo (file PDF)