John McNeill, il teologo cattolico della liberazione omosessuale
Articolo di Silvia Lanzi, mensile Tempi di Fraternità, agosto-settembre 2011, pp.18-19
John Mcneill. Chiedete ad un qualsiasi gay cattolico chi sia. Vi risponderà che è un grande uomo, che è uno tosto che ha capito che l’omosessualità non è uno stigma ma un dono.
L’ha detto nel libro “Libertà, gloriosa libertà”, lo ribadisce in “Scommettere su Dio” libri che sebbene indirizzati prevalentemente ad un pubblico di lettori omosessuali parlano di problemi universali trascendendo perciò i confini dei propri interlocutori privilegiati. Mcneill è uno psicoterapeuta gesuita, che ha maturato, per obbedienza al suo superiore, una lunghissima esperienza di lavoro con centinaia di gay e lesbiche, per guarire dalle loro nevrosi/psicosi: qualcosa che, non ho paura di affermare, tutti gli omosessuali hanno provato sulla propria pelle.
Un fardello loro imposto da un sistema di convinzioni patologico che si è impresso profondamente e, porta a sentimenti quali la paura, la colpevolezza e la vergogna e in molti casi è stato sia la fonte prima di resistenza alle cure psicologiche sia l’ostacolo principale alla maturità spirituale.
Mcneill stesso ha provato sulla sua pelle tutto ciò, e proprio per questo si pone non come un predicatore in cattedra, ma come una persona in cammino che ha raggiunto alcuni risultati e vuole condividerli con gli altri, perché anche questi altri ne traggano giovamento.
Ecco quindi l’importanza di raccontarsi. Egli afferma, e tutti quanti i gay lo sanno bene, che: “La penosa esperienza di essere in esilio prende moltissime forme per un gay o una lesbica”.
E parla della sua infanzia a Buffalo, lui, figlio di irlandesi, che ha succhiato cattolicesimo fin dal seno di sua madre. Parla della sua consapevolezza di essere gay – una consapevolezza che è cresciuta insieme a lui, e della paura di non essere giusto.
A diciassette anni, in piena seconda guerra mondiale, parte per il fronte europeo, dove viene fatto prigioniero dai tedeschi. Durante questo periodo succede un episodio che lo segna nel profondo e che lo porterà al sacerdozio. Racconta: “un giorno uno schiavo-operaio in una fattoria si accorse di quanto fossi vicino a morire di fame e rischiò la vita per lanciarmi una patata destinata agli animali.
Gli feci un segno di ringraziamento. Come risposta si fece il segno della croce. Quest’uomo aveva rischiato la vita per sfamare me, che ero uno sconosciuto”
Inizia così il noviziato presso i Gesuiti, che lo mandano in Belgio, a Lovanio. Le ombre, però, sono ancora fitte, a causa del suo orientamento sessuale. Dice infatti di aver trasferito la sua paura di essere rifiutato su Dio, e di aver costruito una falsa immagine di Dio e questo “con il pieno supporto di una Chiesa omofobica”. Questo periodo all’estero risulta contraddittorio ma assolutamente cruciale per la sua crescita umana e spirituale.
Da una parte da sfogo in modo compulsivo ai propri bisogni sessuali, e sta talmente male da pensare seriamente al suicidio. Dall’altra trova l’amore. Dice infatti che: “Nei tre anni successivi ebbi un’esperienza dell’amore omosessuale così profonda e gioiosa, che dovetti rimettere in discussione l’insegnamento della Chiesa sul male intrinseco nelle relazioni d’amore gay”. Ed è proprio grazie a questo amore, che si apre senza riserve a quello di Dio.
Alla luce di questa scoperta dirompente, inizia a rivedere criticamente tutta la sua vita e gli insegnamenti ricevuti. È facile, e fin troppo allettante, afferma, sottomettersi ciecamente alla voce dell’autorità e negare ogni responsabilità per le conseguenze della nostra obbedienza; come è facile confondere la fede con il bisogno di sicurezza.
Tornato negli USA intraprende un lungo periodo di studio sul significato morale dell’omosessualità da tutti i punti di vista: teologico, biblico e psicologico. Che lo porta alla pubblicazione del suo libro “La Chiesa e gli omosessuali”, previa approvazione da parte di censori ecclesiastici sia statunitensi che italiani.
Ma l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Ratzinger reagisce in modo pessimo e gli ordina di astenersi da qualsiasi dichiarazione sul tema dell’omosessualità e gli vieta l’insegnamento.
È in questo periodo che inizia, su ordine dei superiori, la formazione, e successivamente, l’attività come psicoterapeuta presso la comunità LGBT.
Toccando con mano la sofferenza che, come lui, tante persone omosessuali hanno provato a causa di una certa teologia e morale che definirei oppressiva, si sente in dovere di fare ciò che è possibile fare per far sì che”i miei fratelli e le mie sorelle gay possano liberarsi delle ferite che la religione, basata sulla paura patologica di Dio, aveva inflitto alla loro psiche”.
Ecco il perché del suo impegno. Ecco come è nata quella che si potrebbe definire “teologia gay della liberazione” .
“Oggi noi gay abbiamo un disperato bisogno di una fede sana e adulta; una fede costruita direttamente sulla nostra esperienza; una fede che ci porti ad abbracciarci l’un l’altro con amore; piuttosto che nasconderci egoisticamente nelle nostre sicurezze; una fede abbastanza forte da sconfiggere tutte le paure, specialmente quella della morte”