Sono gay e insegno in una scuola cattolica
Articolo di Ann Wells pubblicato sul mensile U.S. Catholic (USA) del gennaio 2002, Vol. 67, N.1, pag.38
Un’insegnante delle medie desidera essere un modello omosessuale positivo all’interno della scuola. Ma ha un dubbio: “La Chiesa mi ama quanto io la amo?”.
Sono a un punto morto. Sto preparando la lezione per l’ora di religione di domani nella scuola media dove lavoro. Abbiamo parlato della posizione della Chiesa su vari temi controversi, e finora è andato tutto bene.
Ma dalla morsa che ho allo stomaco, è evidente come mi sento rispetto all’argomento di domani. Parleremo di omosessualità. Non so che cosa dire agli studenti. Vedete, io sono gay e insegno in una scuola cattolica.
Non si sa mai che cosa aspettarsi dai ragazzi delle medie, ma oggi, in una classe, mi hanno fatto un sacco di domande su pena di morte, fecondazione artificiale, aborto. Erano domande molto profonde e sono le giornate come queste che, da vent’anni, mi rafforzano nella scelta di lavorare in una scuola cattolica. Apprezzo la libertà che viene dall’insegnare nel privato. Ma che cosa dirò loro domani?
I ragazzi hanno bisogno di essere guidati nella costruzione di valori e io ho l’occasione di dare il mio piccolo contributo. Ma sono preoccupato per certi studenti che ho di fronte, che ho avuto di fronte per vent’anni o che avrò di fronte l’anno prossimo, o quello dopo.
Alcuni di loro potrebbero avere sentimenti molto simili ai miei alla loro età. Non voglio confonderli. Potrei aiutarli dichiarando apertamente chi sono, così si renderebbero conto di non essere soli.
Per anni sono stata condizionato dalla mia formazione e dalla Chiesa. Se cresci in una famiglia cattolica conservatrice, con mamma casalinga, in cui si cambia canale tutte le volte che una coppia inizia a baciarsi, in cui non si pronuncia mai la parola sesso, per te “gay” significa semplicemente “gaio”.
Io non volevo sfidare questo sistema di valori. Mi avevano insegnato che rapporti prematrimoniali e divorzio erano peccati e a pregare per chi li commetteva. Omosessualità? Ma per favore! Non avrei mai fatto quella fine.
Di qualunque natura fossero i miei sentimenti, immaginavo che ci fossero molte altre persone che provavano le stesse cose senza parlarne apertamente.
Ma alla fine la verità venne fuori, a dispetto dei molti ostacoli. Per quanto mi riguarda, alla soglia dei quarant’anni, non era più possibile reprimerla. Ci avevo provato, ma un matrimonio e un meraviglioso bambino non potevano cambiare quel che ero.
Così come non potevano farlo i numerosi fidanzati. Né l’educazione cattolica. Riconobbi la verità su me stessa e non volli più nasconderla. Come gli altri non hanno scelto di essere eterosessuali, così io non ho scelto di essere gay. Questo è ciò che sono.
Dopo il divorzio e dopo l’incontro con colui che sarebbe diventato il mio meraviglioso secondo marito, riflettei sulla mia vita e su quel che Dio aveva in serbo per me. Una notte pregai con tutte le mie forze e per la prima volta chiesi di incontrare l’anima gemella.
Quella notte pregai più intensamente di quanto avessi mai fatto. Il giorno dopo incontrai la persona con cui condivido la vita e con cui voglio stare per il resto dei miei giorni. So ché è stato Dio a farci conoscere. Perché avrei dovuto scegliere una vita piena di difficoltà, emarginazione, contrarietà?
Io desidero essere accettata e voglio che gli altri siano contenti per me. Desidero che la Chiesa accetti che sono figlia di Dio anch’io, e una persona per bene. E desidero con tutta me stessa comunicarlo ai miei studenti.
In molti mi hanno detto che sono un modello positivo per i ragazzi e ne vado molto fiero. Mi piace pensare a me stessa come a una persona che ha molta empatia ed energia per i giovani d’oggi. Ho allenato diverse squadre di studenti, supportato molte attività e ho donato alle scuole cattoliche la mia intera vita adulta.
Molti miei amici mi ritengono una pazza a continuare ad aderire a una religione che non accetta apertamente gli omosessuali. Per me, questa è la difficoltà più grande. Non voglio lasciare la scuola per cui lavoro.
Credo di avere tanto da offrire. Ho rifiutato un’offerta in una scuola pubblica, dove lo stipendio è più alto e c’è garanzia di una pensione. Molti mi hanno consigliano di pensare al mio futuro. Ma qualcosa mi dice che andrà tutto bene. Credo in ciò che faccio e Dio penserà al resto.
Sono rimasto nella Chiesa cattolica perché apprezzo la solidarietà con i poveri, il senso di giustizia sociale e il senso di comunità. Alcune regole create dagli uomini sembrano un po’ soffocanti, ma, nella missione della Chiesa, io vedo un bene molto grande.
Mi piace sedere in chiesa e sentirmi avvolto dall’amore di Dio. La Chiesa mi guida e mi aiuta a mantenermi sulla retta via. Mi dà dei punti di riferimento e mi ricorda che cosa è importante nella vita.
Leggo dei santi e dei martiri che hanno sacrificato l’esistenza per ciò in cui credevano e li ammiro. Sono orgoglioso di come le organizzazioni cattoliche provvedono a dar da mangiare, da vestirsi e a fornire un’istruzione a persone di tutte le razze in ogni parte del mondo. E sono orgogliosa di dire che parte di quello che sono lo devo a un’educazione cattolica.
Fino a vent’anni fa, la Chiesa scomunicava i divorziati risposati. Questa è la prova che le cose possono cambiare, anche se molto lentamente. Cercando di aderire sempre di più al messaggio di Gesù, la Chiesa adesso riconosce l’apporto fondamentale dei divorziati e l’aiuto che essi possono trovare al suo interno per risollevarsi.
La Chiesa ha fatto molti sbagli. Papa Giovanni Paolo II ha tentato sinceramente di scusarsi con i popoli di tutto il mondo per gli errori commessi nel corso della storia.
Sono errori che posso perdonare, ma non so per quanto ancora riuscirò ad avere pazienza. Io non aspetto altro, e prego perché accada, di vedere il giorno in cui psicologia e religione saranno d’accordo nell’affermare che l’omosessualità non è una scelta. E’ innata. Io sono quel che sono perché è capitato così. Ma la Chiesa mi ama quanto io la amo?
Domani faremo lezione di religione. Come insegnante, ho il dovere di trasmettere la dottrina ufficiale. Ho sempre assolto al mio compito, ma adesso si sta facendo via via più difficile, perché quel che desidero è rassicurare gli studenti che hanno la mamma, o il papà, o lo zio o la sorella omosessuale che va bene così.
Non sono persone strane, diverse o bisognose di conversione. Sono figli di Dio come tutti gli altri. Quel che desidero è camminare a testa alta e schiena dritta e sentirmi dire che sono un modello positivo per gli studenti da persone che sappiano la verità su chi sono. E’ il momento far emergere i modelli positivi di persone omosessuali.
Su questo argomento, il libro di religione non ha altro da dire che “la Chiesa afferma che le persone omosessuali, come tutti gli esseri umani, sono create a immagine di Dio e hanno pari dignità. Condanna, comunque, gli atti omosessuali e li considera distruttivi per il modello di famiglia nella società”. Affermazioni che contengono parole come “condannare” o “distruttivo” non esaltano la dignità di una persona. Come si può dire che siamo creati ad immagine di Dio e poi parlare di noi in maniera così negativa?
Chi, di fronte ad un insegnamento simile, ricevuto in giovane età, riuscirebbe gioire della propria unicità? Domani faremo lezione di religione. Ma sarà una lezione diversa. Si parlerà si amore e accoglienza. Non è questo l’insegnamento del Signore?
Tutti conoscono questo comandamento. Si trova nel Vangelo secondo Matteo ed esce direttamente dalle labbra di Gesù: “Ama il prossimo tuo come te stesso e il Signore Dio tuo con tutto il cuore”.
Voglio insegnare ai miei studenti a essere sensibili, comprensivi e tolleranti. Voglio insegnar loro a non avere paura. Voglio aiutarli a capire che siamo tutti un immenso dono di Dio, che ci giudica in base alle nostre azioni e a come trattiamo gli altri.
“Ama il prossimo tuo come te stesso”. Non lo si ripeterà mai abbastanza. Sono insegnante in una scuola cattolica. Sono gay. E sono orgogliosa di essere entrambe.
Titolo originale: Thoughts from a gay teacher in a Catholic school