Sono lesbica e cattolica. La mia storia
Articolo di Philippe Vaillancourt*, tratto da philippevaillancourt.com (Canada), 16 giugno 2011, liberamente tradotto da Erika
Anne-Josée è cresciuta a Charlesbourg in una famiglia monoparentale. Lavora presso l’Istituto universitario di sanità mentale di Québec come ergoterapista da qualche anno. È su un balcone in una calda sera del mese di giugno che accetta di raccontare la sua vita. Alta e magra, la giovane donna parla con vivacità della sua storia e delle grandi questioni che hanno segnato la sua esistenza.
Il processo di accettazione della propria omosessualità scoperta intorno ai 25 anni ha agitato in lei ricordi e passioni. Per più di due ore, racconta la sua storia, tutta piena di religione. «Provengo da un ambiente di cattolici praticanti», rivela subito.
I suoi genitori si sono separati quando aveva sei anni. Suo padre era in una setta. Dopo il divorzio, sua madre ha dovuto trovare un impiego per mantenere i suoi quattro figli.
È così che ha svolto diversi lavori, tra cui inizialmente quello di donna delle pulizie, prima di diventare in seguito sacrestana a tempo parziale in una parrocchia di Québec. «Mia madre è diventata praticante dopo la separazione. Era molto impegnata nelle messe familiari. Ci portava a messa tutte le domeniche. Da quel momento, abbiamo iniziato a pregare tutte le sere. Recitavamo persino il rosario dopo cena», racconta, prima di precisare ridendo che «questo era meno divertente.»
Pecora di Gesù
Quando era alle elementari, ha iniziato a frequentare le Pecore di Gesù nella chiesa che si trovava proprio a fianco della scuola. Si tratta di un movimento di evangelizzazione destinato ai bambini lanciato nel 1985 dalla sorella Jocelyne Huot, una religiosa di San Francesco d’Assisi. Il movimento è particolarmente popolare nella diocesi di Québec, in cui è nato.
«Per me, è stato un luogo tranquillo. C’era sempre un’accoglienza sincera. Ci parlavano di Gesù il buon pastore che accoglie le sue pecorelle e che va a cercare la pecora smarrita…
Il lato tenero di Dio mi toccava molto. Pregavamo davanti al tabernacolo. Ricordo che pregavo sempre per mio padre. Poi, cantavamo un canto di San Francesco d’Assisi», ricorda. «Era il luogo in cui tornavo alle mie origini.»
Gli anni passano. Anne-Josée sceglie di studiare scienze della natura presso il CÉPEG, senza tuttavia sapere ciò che vuole fare in futuro. È allora che decide di continuare la sua ricerca spirituale presso le Sorelle del Buon Pastore, dove entra come pre-novizia a gennaio del 2001.
Tale impegno la porta ad andare a svolgere un lavoro pastorale in Ruanda. Durante il viaggio, scopre che la vita in una comunità religiosa non fa per lei.
Teologia
«Ho capito. Ho deciso di riprendere gli studi. Di tornare a vivere da mia madre. Pensavo all’ambito della salute, ma non avevo le idee chiare. E per non starmene con le mani in mano, mi sono iscritta a teologia.»
I corsi seguiti a teologia la interessano a sufficienza da spingerla a iscriversi al Centro Agapê per l’anno scolastico 2002-2003.
Il programma Missione Agapê le offriva un impegno di un anno, una vita comunitaria con altri giovani credenti, il tutto coronato da un’esperienza missionaria in Messico l’estate successiva.
Tra le condizioni richieste per essere ammessi al Centro, vi è la promessa di interrompere qualsiasi relazione sentimentale. Attende quindi la fine del suo anno per confessare il proprio amore a un altro partecipante, che è diventato il suo primo compagno. E anche il primo ragazzo con cui abbia avuto esperienze sessuali.
L’autunno seguente, Anne-Josée riprende gli studi, ma stavolta in ergoterapia. Il suo compagno vive con lei a casa della madre e ciò crea talvolta tensioni in casa.
All’Università Laval, stringe amicizia con un’altra studentessa. Dopo qualche mese, Anne-Josée si rende conto di essere attratta fisicamente dalla sua nuova amica.
Durante un appuntamento, le due giovani donne si baciano, un momento forte che oggi racconta con emozione, oltre al fatto che all’epoca sentiva il peso di aver tradito il proprio ragazzo.
«Sono stata infedele dal momento che ho baciato Catherine. In più, qualcuno dello stesso sesso… ero nel peccato, rivela. Ma mi dicevo: finché resta tra me e Dio, a chi può dar fastidio?»
«Ciò che mi ha portato a fare coming out e a parlarne con il mio ragazzo, è stato l’aver saputo che l’attrazione verso Catherine era reciproca. Se non l’avessi saputo…non sarei forse mai giunta all’accettazione delle mie tendenze. Non so se avrei potuto sentirmi a mio agio con un coming out. Forse l’avrei fatto più tardi, con dei figli e un marito…»
Sconvolta, consulta più sessuologi e domanda a Catherine di lasciarle del tempo per riflettere su tutto ciò. Nell’aprile del 2006, la loro relazione diventa ufficiale dopo qualche mese di discernimento.
Dio, il matrimonio e i figli
«Quando ho iniziato a uscire con Catherine…avevo messo da parte l’idea del matrimonio. Perché nel cattolicesimo, non ci si sposa davanti a Dio se si è lesbica. Accettavo di non potermi sposare un giorno.»
Ma le tensioni nella coppia erano legate soprattutto alla questione dei figli. «All’inizio della nostra relazione, le dicevo che dal momento che eravamo due donne, non potevamo avere dei figli.
Ma per Catherine, è importante [averne]. Ci siamo anche separate temporaneamente per questa ragione. Non andavamo nella stessa direzione.»
La situazione evolve quando inizia a vagliare le diverse opzioni che le si offrono: famiglia di accoglienza, inseminazione con un donatore conosciuto, inseminazione con un donatore sconosciuto. Alla fine optano per quest’ultima opzione.
«Al momento siamo in attesa di due cliniche di fertilità a Québec: PROCREA e la clinica del CHUL. Abbiamo anche seguito dei percorsi di formazione con la Coalizione delle famiglie omoparentali [un gruppo che promuove «la diversità delle famiglie»].»
Le due donne hanno in particolare imparato che in Québec è possibile mettere le due madri sui certificati di nascita di un bambino.
«Aspettiamo una chiamata. Per il momento controllo la mia temperatura, perché sono io che porterò il bambino.»
Ma il processo di inseminazione non funziona sempre. Cosciente che non c’è nessuna garanzia, Anne-Josée rivela che non vorrebbe moltiplicare le pratiche.
«Per me, la vita è sempre sbocciata da un uomo e una donna. Non sono sicura di spingermi fino alla fecondazione in vitro.»
Anne-Josée confessa tuttavia che «in un modello ideale», avrebbe preferito che i bambini conoscessero il loro padre, cosa che non accadrà.
La coppia ha intenzione di far battezzare i propri figli.
Spiritualità
Catherine non è praticante. Ciò non ha mai impedito ad Anne-Josée di esserlo. Va spesso a messa e frequenta un gruppo di condivisione e preghiera, dove frequenta altri giovani cattolici.
«Da un anno o due, vado meno spesso alla messa della domenica. Non è più una priorità come prima. Ma continuo gli incontri con il gruppo.» «Non ci sono mai state tensioni tra me e Catherine per questioni religiose. Spesso è lei che mi incita ad andare a messa. «Vai, ti farà bene», mi dice.»
Se Anne-Josée ci tiene tanto ad assistere con assiduità a questi incontri, è soprattutto per la presenza di un prete cattolico che la accompagna. Vede in lui un amico e un confidente che non la giudica. Non vuole tuttavia svelare il suo nome, «per non metterlo nei guai».
Matrimonio
Al termine di un lungo processo di preparazione e di riflessione, le due donne si sono sposate civilmente l’autunno scorso davanti a circa 55 persone, tra cui il prete che accompagna Anne-Josée. Quest’ultimo, senza benedire l’unione, ha proposto una preghiera al termine della cerimonia.
«Durante il nostro matrimonio, volevo che avesse uno spazio spirituale. Tutta la sua apertura, la sua audacia, la sua cordialità nella nostra realtà. Il suo sostegno. Ha accettato di dare una dimensione spirituale alla nostra unione», rivela con riconoscenza.
La relazione madre-figlia
Ma con il matrimonio, Anne-Josée ha voluto riavvicinarsi alla madre, il cui sostegno contava enormemente per lei. Madre e figlia sono partite insieme per fare un pellegrinaggio in Terra Santa l’estate scorsa.
«Mia madre è una donna monoparentale che ha cresciuto quattro figli. Ci mostra il suo amore a livello pratico. Lo verbalizzava meno. Al momento di questo pellegrinaggio, non avevo aspettative…ma sapevo che avrebbe smosso qualcosa.
Mi aveva già detto che se un giorno mi fossi sposata con una donna, lei non sarebbe venuta. Spesso la sera all’hotel mi faceva delle domande che non mi avrebbe mai fatto a Québec. Abbiamo pianto insieme.
Mi sono fatta abbracciare come mai prima di allora. Sapevo che mi accettava per com’ero, anche se non condividevo i suoi criteri di «normalità»», precisa la giovane donna con emozione.
«Per mia madre, l’omosessualità, è una malattia. Si tratta, si cura.
Sono cresciuta con l’idea che non si nasce omosessuali: lo si diventa in seguito a dei traumi. È convinta che, poiché voleva avere un maschio invece di una femminuccia, sia colpa sua. Questo e i traumi legati a mio padre.
Non condivido quest’opinione. Ho smesso di chiedermi perché mi sento attratta dalle donne. Lo vivo. Non ho messo da parte il mio cammino di fede, le mie credenze. E non ho avuto nemmeno il desiderio di ribellarmi contro la Chiesa.»
«Per mia madre, il progetto di matrimonio sfociava su una famiglia, con dei figli». Da cui le reticenze.
Ma il viaggio ha portato i suoi frutti: la madre e la figlia si sono riavvicinate, e Anne-Josée ha avuto la gioia di vedere la sua mamma presente il giorno del suo matrimonio.
Rapporto con la Chiesa
Alla domanda “qual è la tua percezione del nuovo vescovo di Québec”, ha rivelato che non segue molto il mondo episcopale. Su Mons. Gérald C. Lacroix, ha un’opinione positiva. Precisa che non ha un’opinione sul suo predecessore, il cardinale Marc Ouellet.
Per quanto riguarda l’approccio della Chiesa cattolica nei confronti dell’omosessualità, le sue opinioni sono più ferme. «Mi delude. È inflessibile. È un peccato ed io sono una peccatrice», riassume, lanciando con una punta d’ironia: «Ma chi mi scaglierà la prima pietra?»
«Ciò che mi aiuta a non sentirmi frustrata, è il fatto di conoscere un prete cordiale, e di frequentare dei cattolici aperti e affabili. Se non ci fossero loro, potrei essere furiosa. Facendo coming out, non volevo cambiare le mie credenze.
Avevamo fatto una celebrazione con dei membri della Chiesa unita del Canada e ho scoperto che celebrano i matrimoni omosessuali. E ciò dimostra che ci sono dei cristiani più evoluti dei cattolici…Ma ho capito che sono cattolica per restarlo.».
Mentre scende la notte, l’incontro giunge alla sua fine. I lampioni si accendono. Soffocando uno sbadiglio, si piega sulla tavola e guarda le foglie appena sbocciate, agitate dal vento nella vicina boscaglia.
«Dio mi ama», sussurra, sfoggiando un sorriso discreto e fiducioso.
Testo originale: Catho et homo: premier portrait