Sono omosessuale e vorrei la mia chiesa al mio fianco
Lettera e risposta tratta da Famiglia Cristiana n. 23 del 10-6-2007
Scrive Famiglia Cristiana "le indicazioni che la Chiesa dà vanno prese nel loro significato positivo e non ridotte al semplice divieto del rapporto sessuale. L’invito a dare senso alla vita non è a prescindere ma a partire dalla condizione omosessuale", ma ne siamo proprio sicuri?
Caro padre, da tempo desideravo scriverle per avere una parola di chiarimento da una rivista che apprezzo e leggo da quand’ero bambino.
Sono un omosessuale di 40 anni e ho sempre evitato ogni contatto con questa realtà. I motivi erano diversi, si riferivano alla tradizione cattolica della mia famiglia, alle aspettative (matrimonio, figli), alle dicerie varie (è un vizio, è una fase transitoria dell’adolescenza, è causata da famiglie disagiate…).
Quando la situazione mi è diventata insostenibile, finalmente ho trovato il coraggio di chiedere consiglio a un prete, il quale mi ha mandato da uno psicoterapeuta. Il responso? Non ha trovato alcuna causa psicologica per il mio orientamento sessuale. Da allora, per me non è stato un periodo facile, sempre costretto a mettermi in discussione. Solo dopo aver raggiunto una certa serenità, ho iniziato a frequentare gruppi di omosessuali credenti e amici con il mio stesso orientamento.
Non intendo chiederle di cambiare il magistero della Chiesa, né di contestarlo. Per molti, infatti, la "Chiesa perfetta" è solo quella che è "costruita" attorno alle nostre esigenze e scelte. Piuttosto che correre questo rischio, preferisco una Chiesa con cui scontrarmi, ma che è capace di provocarmi e di mettermi in discussione. Anche se la cosa non è del tutto indolore.
Considero la verità come una meta da raggiungere, ma in tale cammino non sempre sento la Chiesa al mio fianco. E questo mi fa star male, tanto che, a volte, non so per quale miracolo continui a far parte di questa comunità, o ad avere ancora fede.
In Internet frequento un gruppo di discussione di cultura cattolica, ma da alcuni sono stato definito: «falso cristiano», «lupo travestito da agnello», «distruttore della Chiesa», «falso credente» ecc. E una frase della predica del mio parroco mi è rimasta molto impressa: «Non ci si può definire cristiani e fare quello che si vuole, o prendere dalla Chiesa solo quello che ci piace». Insomma, io dovrei odiare l’omosessualità perché così ha stabilito la Chiesa.
Per superare il disagio in cui vivo, ho anche frequentato un corso di catechismo per adulti, ma dubbi e perplessità sono aumentati invece di diminuire.
Non le chiedo, padre, un’approvazione che non può darmi. Mi dica solo se devo ritenermi uno scomunicato. È davvero impossibile e deleteria una testimonianza all’interno della Chiesa su temi così delicati? La mia esperienza di fede (come quella di altri omosessuali, divorziati, risposati, conviventi, insomma… di tutti i cristiani di serie B) è inutile e dannosa per la Chiesa? La prego, mi dia una parola di speranza.
Domenico Vicenza
La risposta…
L’orientamento omosessuale è sperimentato con disagio e la persona con grande difficoltà arriva a farsene una ragione e ad accettarsi.
D’altra parte, la scienza non sa ancora dire con certezza se tale tendenza è innata o acquisita. In ogni caso, nessuno sceglie la condizione omosessuale. A questo livello, pertanto, è ingiusto e offensivo parlare di colpa, peccato, vizio, perversione; è più appropriato, invece, parlare di limite umano.
Il mancato raggiungimento eterosessuale, infatti, anche se del tutto involontario, non può considerarsi indifferente, quasi fosse una semplice variante della sessualità umana. Al contrario, costituisce un limite e, come ogni limite, è ambivalente: può diventare occasione di crescita umana come di regressione.
La condizione omosessuale avrà un esito piuttosto che un altro a seconda del modo con cui la persona sa assumerla e viverla. La diversità sessuale non diminuisce la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani.
Prima dell’aggettivo omosessuale/eterosessuale ricordiamoci che viene il sostantivo persona. I valori morali che danno senso all’esistenza sono gli stessi tanto per la persona omosessuale come per quella eterosessuale.
Da parte della Chiesa, è richiesta una sapiente pedagogia propositiva, capace di ascoltare la persona e la sua storia e, così, proporre e orientare un cammino rispettoso delle persone.
In linea generale, l’atteggiamento verso le persone omosessuali potrebbe essere così compendiato: a) proporre la realizzazione umana e cristiana attraverso l’accettazione della propria condizione omosessuale, qualora risulti irreversibile; b) incoraggiare le amicizie tra persone omosessuali e offrire un’argomentazione morale convincente perché rimangano entro l’ambito dell’amicizia; c) mostrare l’ideale del legame sociale e del servizio all’umanità; d) comprendersi e realizzare la condizione omosessuale nella visione del Dio che, in Gesù di Nazaret, si è manifestato come amore e liberazione.
In altre parole, la persona omosessuale (ma anche quella eterosessuale) può e deve formarsi a vivere una soddisfacente vita di relazione. In questa prospettiva occorre offrire occasioni di incontri dove sia possibile fraternizzare, sostenersi nelle difficoltà ordinarie della vita, difendere i propri diritti, e aiutarsi nel cammino della fede.
La Chiesa, segno e strumento di unità, deve contribuire a sanare i contrasti e le divergenze tra gli esseri umani sulla terra. Una comunità che isola e spinge ai margini anche uno solo dei suoi membri è malata nel profondo e bisognosa essa stessa, per prima, d’essere guarita.
Occorre, quindi, impegnarsi per una società dove gli omosessuali siano pienamente integrati con il resto dell’umanità; per una società giusta e solidale in cui ognuno dà un contributo per l’umanizzazione della convivenza umana.
È necessario promuovere i diritti individuali che gli omosessuali hanno, e quindi denunciare coraggiosamente ogni forma palese o occulta di discriminazione e di emarginazione. Ma va detto, con altrettanta chiarezza, che tra questi diritti non c’è assolutamente il matrimonio omosessuale, come alcuni vorrebbero addirittura con una proposta di legge.
D’altra parte, è auspicabile che le persone omosessuali comprendano le indicazioni della Chiesa nel loro significato positivo e non le riducano solo al divieto del rapporto sessuale. L’intento pastorale è quello di invitare a dare senso alla vita non a prescindere ma a partire dalla condizione omosessuale, qualora questa sia irreversibile.
D.A.