Sono un credente omosessuale e fatico sempre di più a riconoscermi nella Chiesa cattolica
Email inviataci da Valerio, risponde Gianni Geraci del gruppo del Guado di Milano
Ciao, mi presento: mi chiamo Valerio, sono un ragazzo omosessuale della diocesi di Reggio Emilia e Guastalla. Non so bene come o cosa scrivere e sono un po’ in difficoltà. Sono credente, ma fatico sempre di più a riconoscermi nella Chiesa: ho provato a cercare un direttore spirituale, ma son passato da chi mi voleva far partecipare alle terapie del NARTH, a qualcuno che ha tentato l’esorcismo, a chi mi ha ordinato di contenere e soffrire il supplizio a maggior gloria di Dio.
Provengo da una realtà molto rigida: la mia famiglia non è credente (tutt’altro) e il gruppo di cui facevo parte in chiesa è molto conservatore (filolefebvriano). Attualmente appartengo al movimento Rinnovamento nello Spirito Santo, la responsabile del mio gruppo sa di me e, nonostante sia impreparata sull’argomento, mi ha sempre rassicurato, dicendo che presso di loro sono e sarò sempre a casa.
Io mi trovo in difficoltà però. Voglio credere, ma non penso che la continenza completa sia la via giusta, quanto meno, non per me: ho provato per un anno, ma ne sono uscito piuttosto male e se ci ripenso non ce la posso fare a ricominciare.
Sono stato abituato a pizzi e merletti dal gruppo conservatore che me li ha fatti amare, sono accusato di essere melenso e, probabilmente, l’accusa è fondata. Non so se lo faccio per ingenuità o se il mio è un difetto di superbia.
Scusatemi se ciò che scrivo è poco organizzato e segue di più l’ordine delle idee per come sono emerse nella mia testa che un ordine logico. Ringrazio Dio che qualcuno si prenda la briga di informarci che Dio ci dice «non sei sbagliato, ti amo così come sei» perché spesso vien voglia di perdere tutto ed ubriacarsi di mondo, per dimenticare la solitudine.
Valerio
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La risposta…
Caro Valerio, non so se la cosa ti può consolare, ma devi sapere che la situazione in cui tu vivi la tua omosessualità è abbastanza comune. Il fatto é che il magistero della chiesa cattolica sta facendo molta fatica a recepire le riflessioni che, sull’argomento, hanno fatto i teologi moralisti più preparati e, quindi, non riesce a dare indicazioni che tengano conto di quanto ormai sappiamo sulla condizione omosessuale.
Direi che è avvenuto, nel recente passato, l’esatto contrario di quello che dovrebbe capitare. Non è stato infatti il magistero che, recependo i risultati delle ricerche di quanti approfondiscono l’argomento, rilegge una determinata esperienza alla luce delle nuove conoscenze che abbiamo su un determinato fenomeno, ha cercato una nuova sintesi tra queste conoscenze e il messaggio che ci viene dalla Rivelazione, ma sono stati alcuni presunti “esperti” che hanno iniziato a proporre visioni dell’omosessualità che non hanno nessun fondamento, per far credere che i tradizionali insegnamenti del magistero in materia di omosessualità siano davvero praticabili da tutti (e non solo da chi ha una chiamata specifica alla vita celibataria).
Si tratta di uno stravolgimento da cui sono nati tutti quelle realtà che dicono che l’omosessualità è una realtà da “guarire” (non importa come: se con una terapia riparativa, con la preghiera o con gli esorcismi) e che un omosessuale cristiano ha il dovere di cercare in tutti i modi questa guarigione.
Tu, giustamente, hai capito che l’omosessualità é un dato della tua vita e ti chiedi come puoi vivere questo dato alla luce del Vangelo, tenendo conto che, pur avendoci provato per più di un anno, hai capito di non essere tagliato per la vita celibataria.
Direi che una risposta ti può arrivare proprio dal testo del Catechismo della Chiesa cattolica che dedica al tema dell’omosessualità tre brevi paragrafi.
Il primo (cfr CCC 2357) contiene un tentativo sommario di definire l’omosessualità con le sue cause («la sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile») seguito da un richiamo all’insegnamento tradizionale della chiesa («che ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati»).
Il secondo (cfr CCC 2358) invita i credenti ad accogliere gli omosessuali «con rispetto, compassione e delicatezza» e ribadisce un punto fermo che troppo spesso viene dimenticato: anche gli omosessuali sono chiamati «a realizzare nella loro vita la volontà di Dio».
Ma è il terzo paragrafo quello su cui ti inviterei a riflettere, perché cerca di spiegare in che modo le persone omosessuali possono realizzare la volontà di Dio nella loro vita.
Te lo trascrivo integralmente.
«Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (cfr CCC 2359).
Come vedi non si parla soltanto di preghiera (che ti raccomando comunque di vivere con perseveranza, senza spaventarti per i momenti in cui hai l’impressione in cui la tua preghiera sia inutile) e di grazia sacramentale (e anche qui ti raccomando di accostarti all’Eucarestia tutte le volte che ne hai la possibilità tenendo conto del fatto che l’Eucarestia perdona i peccati e che il tuo desiderio di intimità con Gesù è un segno evidente del fatto che la vita di grazia, in te, non è morta), ma si parla anche di «amicizia disinteressata», ovvero di un rapporto di prossimità che deve essere in grado di colmare la nostra solitudine.
Nel secondo racconto della creazione, a un certo punto, Dio dice: «Non é bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18) e decide di dare ad Adamo «un aiuto che gli sia simile». Mi capita spesso di leggere in questa frase non solo un’affermazione, ma anche un’esortazione che ci invita a uscire dalla nostra solitudine e, in questo senso, mi sento confortato dal testo del Catechismo.
Cerca di costruire dei rapporti di amicizia in cui la tua omosessualità non sia più un segreto inconfessato. Cerca di costruire dei rapporti di amicizia con persone che possono capire fino in fondo la tua omosessualità. Cerca di costruire dei rapporti di amicizia con altri omosessuali credenti, perché è confrontandoti con loro che puoi scoprire le caratteristiche specifiche del cammino verso la perfezione cristiana che sei chiamato a intraprendere.
E non fare come me che, quando avevo poco meno di trent’anni, sono scappato dal gruppo di omosessuali credenti in cui ero approdato perché mi accorgevo che, il frequentarlo, mi metteva «in occasioni prossime di peccato» e mi portava a desiderare momenti di intimità sessuale con alcune delle persone che lo frequentavano.
Se alcuni dei rapporti di amicizia che costruirai dovessero, a un certo punto, diventare qualche cosa di più intimo e dovessero trasformarsi in una relazione d’amore non ti spaventare e non credere di essere ormai uscito da quel percorso che il catechismo ti propone.
La castità a cui anche tu, come tutti gli uomini, sei chiamato, presuppone una maturità affettiva che si consegue anche passando attraverso delle relazioni in cui si scopre per esperienza che l’amore vero esige comunque quella stessa temperanza che viene richiesta dalla vita celibataria.
L’obiettivo a cui, per ora, devi tendere, è proprio questa maturità affettiva. Una condizione di vita che ti permetterà di essere padrone delle tue scelte nel costruire le relazioni che caratterizzeranno la tua vita. Una condizione di vita che ti permetterà di vivere finalmente quella libertà interiore di cui parla il brano del catechismo che ti ho citato.
Non siamo chiamati a vivere nella schizofrenia di chi esalta una continenza che poi non cerca nella sua vita di tutti i giorni, mentre aborrisce una promiscuità che invece cerca durante le notti, nelle darkroom o sulle chat.
Siamo invece chiamati a vivere per gli ideali in cui crediamo, ma proprio perché dobbiamo viverli con convinzione, non dobbiamo avere paura quando questi ideali assumono il volto concreto di una persona che ci provoca delle emozioni profonde e che è in grado di ricambiare queste emozioni.
Al massimo, se davvero il magistero della chiesa coglie nel segno quando condanna le relazioni omosessuali, queste esperienze avranno una caratteristica di provvisorietà che si rivelerà con il tempo. Ma è sicuro che il percorso di maturazione che queste esperienze permettono di compiere ha una funzione importante anche per quanti, alla fine, sceglieranno di fare una vita celibataria.
Per onestà debbo dirti di essere convinto che queste relazioni siano davvero il modo specifico in cui si realizza la vocazione di molte persone omosessuali. Mi confermano in questa convinzione le tante coppie omosessuali che ho conosciuto e che vivono, ormai da molti anni, delle relazioni fondate sull’amore vero, su quell’amore che il magistero indica alle persone sposate come vero «amor coniugalis», su un amore che va al di là dell’emozione del momento e che diventa una decisione, liberamente assunta, di vivere questo stesso amore anche nei momenti di difficoltà.
Si tratta, in sostanza, di capire che il vero senso della castità è quello di mettere la sessualità al servizio dell’amore. Di un amore che è casto perché sa essere nello stesso tempo fedele, responsabile e fecondo.
Fedele al proprio compagno e alla propria compagna perché deciso una volta per tutte e non in balia dell’estro del momento. Responsabile, perché generato non solo dal bisogno di intimità che c’è dentro di noi, ma anche dal desiderio di rispondere ai bisogni della persona che abbiamo accanto.
Fecondo, perché capace, nelle modalità proprie che può avere ciascuna coppia (e chiaramente una coppia omosessuale avrà dei modi molto specifici di vivere questa realtà) di aprirsi alla dimensione del servizio e dell’accoglienza nei confronti dei bisogni che la circondano.
Non é detto che la castità a cui tu sei chiamato debba per forza consistere in questo stato di vita. Magari tu sei chiamato ad arrivare a quella libertà interiore che ti permette di fare serenamente le tue scelte per abbraccciare qualche forma specifica di consacrazione o per diventare un bravo religioso. Di certo, devi sapere che, tra le forme possibili di castità a cui sei chiamato ci può essere anche questa.
Come vedi si tratta di intraprendere un percorso che richiede una certa pazienza e, in questo senso, ti faccio notare come il testo del catechismo insista molto sulla gradualità. I ribaltoni, le affermazioni del tipo: «Da adesso cambia tutto», gli abbattimenti di quando ci si accorge che l’obiettivo non è ancora stato raggiunto non fanno parte di questo percorso.
Se ci pensi bene, le caratteristiche di questo percorso sono quelle con cui si snoda tutta la nostra vita, non solo la ricerca della castità. Si debbono fare i conti con i nostri bisogni, con le nostre aspirazioni, con i momenti di stanchezza che siamo costretti ad attraversare e con le esperienze esaltanti che abbiamo la grazia di vivere.
Si tratta di procedere per tappe, con le soste, con i ripensamenti, con il ritorno sui passi già fatti alla ricerca di un percorso migliore. Si tratta di fare propria l’esperienza della chiesa che è, appunto, un popolo in cammino.
E proprio come un popolo che cammina, non viaggia mai in maniera spedita e diretta come un esercito in marcia, ma si attarda ad aspettare chi rischia di restare indietro, si disperde quando gli spazi diventano ampi e si accalca quando lo spazio viene a mancare.
Per questo motivo che ti invito a non drammatizzare oltre misura gli eventuali momenti in cui ti accorgi che quello che vivi o quello che fai non è al servizio di quell’amore di cui ti ho parlato prima. Non drammatizzare le tue eventuali cadute, perché l’esperienza del peccato fa inesorabilmente parte della condizione umana. Direi di più: se non ci fosse stato il peccato non ci sarebbe nemmeno il cristianesimo!
Non lo dico io, ma lo dice addirittura Sant’Ambrogio che, nel suo commento alla Genesi, scrive queste parole: «Il Signore Dio nostro creò il cielo e non leggo che si sia riposato. Creò la terra e non leggo che si sia riposato. Creò il sole, la luna le stelle, e non leggo nemmeno allora che si sia riposato. Ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati» (Exameron VI, IX, 10, 76)
Se ti dovesse capitare di cadere, riprendi immediatamente il tuo cammino e lasciati subito riconciliare da Dio. Semmai, visto che il percorso che sei chiamato a fare é abbastanza specifico, cerca di trovare un confessore fisso a cui rivolgerti per celebrare il sacramento della Riconciliazione (l’altro degli strumenti da cui deriva quela grazia sacramentle di cui parla il Catechismo). Non ti fermare in questa ricerca fino a quando non avrai trovato un direttore spirituale da cui ti senti davvero aiutato.
In questa ricerca chiedi l’intercessione di San Francesco di Sales che, su questo argomento, ha scritto dei brano molto efficaci: «Scegline uno fra diecimila, perché se ne trovano meno di quanto si dica, capaci di tale compito.
Deve essere ricco di carità, di scienza e di prudenza: se manca una di queste tre qualità c’è pericolo. Chiedilo a Dio e, una volta che l’hai trovato, benedici la sua divina Maestà» (cfr Filotea IV).
Direi che è tutto, caro Valerio. E’ tutto anche perché mi accorgo di aver scritto davvero troppo. La strada che hai davanti é impegnativa, perché quelli che prima di te l’hanno percorsa, per il riserbo con cui in genere l’omosessualità veniva vissuta in passato, non hanno lasciato tracce del loro cammino.
Il nostro compito é quello di trovare la nostra strada e di percorrerla fino in fondo, animati sempre e comunque dal desiderio di realizzare, nelle nostre vite, la volontà di Dio.
Se poi sapremo conservare memoria delle scelte che abbiamo fatto e delle difficoltà che abbiamo incontrato, permetteremo finalmente alla Chiesa di capire che l’omosessualità non sempre è sinonimo di trasgressione (ma che molto più spesso, può essere sinonimo di servizio e di responsabilità) e aiuteremo quelli che verranno dopo di noi a non sentirsi più soli nel loro cammino e a superare più agevolmente le difficoltà che noi abbiamo trovato e che tu hai decritto così bene nella tua lettera.
Visto che la risposta ti arriverà per posta elettronica ti segnalo tre link che possono esserti d’aiuto.
Il primo racconta l’esperienza di un giovane che ha vissuto nel movimento carismatico un autentico percorso di liberazione dall’omofobia: “Un gay in Rinnovamento nello Spirito. Una “Cristoterapia” per guarire dai pregiudizi”
Il secondo é la trascrizione (rivista dall’autore) di una bellissima relazione fatta da don Leandro Rossi, uno dei massimi moralisti italiani del XX secolo che, poco prima di morire ,ha deciso di affrontare l’argomento: «Quale castità per le persone omosessuali?».
Il terzo è la trascrizione del dibattito che c’è stato dopo la relazione di don Leandro Rossi. Ancora oggi ringrazio Dio per avermi dato la possibilità di vedere quest’uomo, ormai minato dal morbo di Parkinson, dirci con la sua voce flebile: «Andate avanti pure, che andate bene!»: “Una scomoda chiacchierata. Il teologo Leandro Rossi e i credenti omosessuali”
Un abbraccio. Gianni Geraci