Sono un cristiano bisessuale, una identità non esclude l’altra
Riflessioni di Eliel Cruz pubblicate dall’agenzia Religion News Service (Stati Uniti) il 19 novembre 2014, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Essendo cresciuto nella Chiesa Avventista del Settimo Giorno sono sempre andato in cerca di attività che mi permettessero di confrontarmi con le Scritture – non perché lo volevano i miei genitori ma perché mi piaceva davvero. Ho sempre frequentato corsi di istruzione religiosa e questi ambienti spirituali mi hanno permesso di maturare la mia relazione con Cristo. La comunità cristiana mi ha sempre sostenuto nel mio cammino spirituale. In breve, la mia identità in Cristo è sempre stata importante per me, come lo è tutt’ora. Poco dopo essere uscito allo scoperto come bisessuale la mia identità in Cristo non è più stata sostenuta, bensì messa in dubbio, analizzata e criticata.
Hanno reagito come se io fossi cambiato. Ma in realtà non sono mai cambiato. Stavo finalmente mostrando un’altra parte di me, una parte che era rimasta nascosta e che finalmente era emersa. E il coming out è veramente uno dei processi più liberanti. Svelare una parte di te stesso che hai nascosto per lungo tempo è come stare sotto al sole per la primissima volta.
Non sapevo che ci fosse qualcosa di “sbagliato” in me prima che mi dicessero che c’era qualcosa di sbagliato. Non ho mai “lottato” con la mia sessualità; ho lottato con la reazione della mia Chiesa alla mia sessualità. Dopo il coming out, la mia relazione con Cristo non è cambiata, perlomeno non a causa della mia sessualità, ma è cambiata la mia relazione con la Chiesa. Dopo essere stato spinto ai margini, però, ho sentito la mancanza della comunità che prima avevo nella Chiesa e ho deciso di darmi da fare per creare degli spazi spirituali perché le persone come me possano fiorire ed essere sostenute.
Esiste la concezione errata secondo la quale non si può essere cristiani LGBT, come se una identità negasse l’altra. È una concezione perpetuata da credenti e non credenti per tenere divise la comunità LGBT e la comunità cristiana. I due gruppi sembrano incapaci di riconoscere il vasto spettro di credenze religiose delle persone LGBT. C’è chi è più o meno credente, chi cerca relazioni intime con persone dello stesso sesso e chi ha la vocazione del celibato; anche le persone LGBT sono religiose. Chiamarmi “cristiano” è corretto. Ma fermarsi qui vorrebbe dire nascondere un grosso pezzo di me stesso, che informa molti aspetti della mia vita. Chiamarmi “cristiano bisessuale” rafforza le mie identità, mostra in piena luce la loro pacifica coabitazione dentro di me e mi permette di dare piena visibilità a un gruppo che la Chiesa cerca continuamente di rinchiudere in un nascondiglio. Definisco me stesso un cristiano bisessuale per rompere gli stereotipi. Mi identifico come cristiano bisessuale perché la gente che mi incontra possa mettere in discussione le sue idee preconcette sulle persone LGBT. Lo faccio perché la singola narrazione della Chiesa possa essere arricchita dalle diverse storie.
La mia sessualità informa anche il modo in cui considero le Scritture. Essendo stato alienato dalla Chiesa, la mia sessualità mi ha permesso di leggere le Scritture sotto una luce diversa rispetto a chi non è stato emarginato. Questo mi permette di considerare le Scritture non come un libro fatto di regole ma come un libro di liberazione per chi è incatenato nel peccato e nelle strutture patriarcali che favoriscono i privilegiati. Lo dico davvero, l’estraniamento che ho subito dalla Chiesa non ha fatto che rafforzare la mia relazione con Cristo. Venire ostracizzato da una comunità spirituale mi ha ricordato l’importanza dello stare insieme e della comunione. Troppa gente dà per scontato che la Chiesa la accetti. Quando cresci in una comunità religiosa, fa male non essere riaccolti tra quei banchi così famigliari.
La mia esperienza di cristiano bisessuale è molto diversa da quella di un cristiano etero. I critici che dicono “Perché non ti limiti a definirti cristiano?” non capiscono che mi stanno imbavagliando. È un modo per ignorare l’omofobia delle nostre Chiese, giustificare i privilegi degli etero e squalificare la mia sessualità, come hanno cercato di fare con me molti cristiani. L’educazione è la chiave per eliminare l’ignoranza e in questo momento c’è un livello base di ignoranza nella Chiesa per quanto riguarda la comunità LGBT. Essere aperto e onesto riguardo la mia identità sessuale mi permette di svolgere opera di educazione, se non altro con la mia presenza nello spazio spirituale. Sì, sono un cristiano, ma sono un cristiano bisessuale e la mia identità in Cristo è amplificata dalla mia identità queer.
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Testo originale: Why I’m not just a “Christian”