Sono una madre in lotta contro l’omofobia che ha ucciso mio figlio
Articolo di Craig Wilson tratto dal quotidiano Usa Today (Stati Uniti) del 10 marzo 2008, liberamente tradotto da Daniele A. Vitali
Nel 1998 suo figlio ventunenne Matthew, solo perché gay fu brutalmente picchiato, legato ad uno steccato e abbandonato lì agonizzante. Morì dopo tre giorni. Fu un crimine di cui parlarono i giornali di tutto il mondo.
Da quel giorno, la vita della Shepard è cambiata per sempre. Da tranquilla madre e casalinga del Wyoming è diventata un’attivista internazionale che, insieme al marito Dennis, ha creato una fondazione in ricordo del figlio per combattere l’odio anti gay. Questa è la sua storia.
E’ pieno inverno e un vento gelido soffia sulla Pennsylvania Avenue, ma Judy fa esattamente quello che il fotografo le chiede: si toglie il soprabito, si siede su una panchina e sorride come meglio le riesce, date le circostanze.
In realtà, è ormai da circa 10 anni che la Shepard sta facendo come meglio le riesce, date le circostanze.
Nel 1998 suo figlio Matthew, di 21 anni, gay, fu brutalmente picchiato, legato ad uno steccato e abbandonato lì, agonizzante. Morì dopo tre giorni. Fu un crimine razziale di cui parlarono i giornali di tutto il mondo.
Da quel giorno, la vita della Shepard è cambiata per sempre. Da tranquilla madre e casalinga del Wyoming è diventata un’attivista internazionale che, insieme al marito Dennis, ha fondato una fondazione in ricordo del figlio, la Matthew Shepard Foundation.
La sua missione: combattere l’odio ed il bigottismo attraverso programmi per i giovani che educhino alla diversità.
Negli ultimi dieci anni ha percorso decine di migliaia di chilometri, ha dormito in così tanti letti d’albergo che nemmeno più ricorda il numero e ha tenuto conferenze per più di un milione di persone. Sulla sua strada ha incontrato anche persone ricche e famose, passando da Hillary Clinton a Elton John.
“Elton è diventato un amico”, dice la Shepard. “Da quando ho perso mio figlio, mi sono ritrovata tanti amici. Ma non fraintendetemi: è piuttosto difficile da spiegare”.
Timida, introversa, tranquilla: July Shepard fa la sua crociata in punta di piedi. Con gli anni, questo è diventato il suo tratto distintivo.
“Questa donna dolce, gentile, tranquilla e che non ha mai desiderato la celebrità si è improvvisamente trasformata nella personificazione pubblica del disperato bisogno che noi tutti abbiamo di mettere a tacere l’odio e la violenza”, dice Judith Light, attivista e attrice che fa parte del consiglio direttivo della Matthew Shepard Foundation ().
“Sarah non si concentra su ciò che vuole, ma si lascia sempre trascinare dal cuore in tutto quello che fa”.
Qualche volta, la Shepard afferma di non rendersi ancora conto di quel che è successo e di cosa sia diventata la sua vita. Forse Matt sarebbe sorpreso nel vedere come la vita della madre si sia trasformata e tutto quel che ha fatto negli ultimi dieci anni. “Ma sarebbe orgoglioso del fatto che il nostro impegno sta andando avanti”, dice la Shepard. “Sarebbe felice di vedere che le cose stanno migliorando”.
Non al ritmo che la Shepard si aspetterebbe, tuttavia. La sua delusione più grande è di non aver ancora visto l’approvazione in legge federale del “Matthew Shepard Hate Crimes Prevention Act” (la legge intitolata a nome di Matthew Shepard per la prevenzione dei crimini razziali, N.d.T.), che include anche i crimini aventi come oggetto l’orientamento sessuale.
Ciò fornirebbe alle autorità federali la possibilità di prender parte alle indagini sui crimini razziali e di intervenire in prima persona in caso di mancata azione da parte delle autorità locali.
Nonostante l’approvazione del Senato, il Matthew Shepard Act è stato respinto perché non aveva abbastanza voti per passare alla Casa Bianca. Gli oppositori della proposta di legge sui crimini razziali sostengono che essa non sia in raltà necessaria perché lo Stato e le leggi federali perseguono già gli atti di violenza contro gli individui.
In un’intervista al New York Times, Joe Glover, membro del Family Policy Network, un gruppo politico conservatore, ha definito il Matthew Shepard Act “un tentativo vergognoso di costringere il popolo americano ad occuparsi delle questioni omosessuali, invece di pensare ai soldati americani che in questo momento sono in pericolo nel mondo”.
Judy Shepard ha già sentito critiche simili e non si lascia scoraggiare, ma spera invece che la sua voce possa ancora fare la differenza.
All’inizio pensavo che se le persone fossero riuscite a rendersi conto che quel che io stavo facendo era giusto, allora si sarebbero convinte”, dice la Shepard. “Quel che per lo più vedevo sui volti delle persone era la paura, la compassione, il timore. Ora, invece, vedo la determinazione, la rabbia”.
Sempre secondo la Shepard, ogni suo discorso pubblico è unico. “Non leggo mai appunti. Preferisco parlare alle persone in modo diretto”. Così, spiega loro come sia possibile che suo figlio e molti altri uomini e donne gay siano costretti a subire violenze solo per essere stati se stessi.
La Shepard vuole fare anche un bilancio di quello che è cambiato e di quello che è rimasto uguale in questi 10 anni che sono trascorsi da quando suo figlio fu ucciso. Ciò che ancora non è cambiato è la presenza di crimini razziali.
Ci cita il recente caso del 15enne Lawrence King, studente gay delle scuole superiori di Oxnard, in California, ucciso a colpi di pistola da un suo compagno di classe.
“Questo terribile incidente sottolinea come sia necessario far sì che l’odio non passi inosservato nelle nostre scuole e nelle comunità”, dice la Shepard.
“I nostri giovani hanno bisogno del nostro aiuto e della nostra guida per prevenire questo tipo di crimini”. Quello che invece è cambiato, dice, è che, quando lei era piccola, in Wyoming “nessuno osava parlarne” – dell’omosessualità, s’intende.
A 55 anni, la Shepard confessa che gli ultimi 10 anni sono stati estremamente pesanti. Solo di recente ha iniziato a fare dei sogni su di Matt, e questo è per lei un buon segno.
-Ma non è mai andata sul luogo in cui suo figlio fu legato e lasciato morire. “Quel luogo non ha nulla a che fare con Matt”, dice, “e non voglio averne alcuna immagine nella mia mente. Matt non è là”.
Ogni estate, si rifugia nella sua casa natale in Wyoming per riposarsi. Il marito Dennis, invece, lavora nel settore petrolifero in Medio Oriente.
La Shepard dice di se stessa di essere la gallina dalle uova d’oro per la sua fondazione. Ma non è abbastanza per tenere il passo con la crescita della fondazione.
La Matthew Shepard Foundation – di cui ogni 29 marzo, a Denver, ricorre il suo anniversario dalla fondazione – ha un budget annuo di 750.000 dollari. Conta 5 impiegati, che la Shepard chiama “la mia famiglia” e a cui, di recente, si è unito anche suo figlio Logan. “Vogliamo educare tutti ad accettare tutti”, dice. “Ma l’odio è sempre al varco”.
La fondazione ha una vocazione educativa, pionieristica e di aiuto pubblico e si pone il fine di “sostituire all’odio l’accettazione”, dice la Shepard. La Shepard è incoraggiata dal progetto Laramie, lo spettacolo teatrale ispirato all’omicidio di Matt che conta 5000 rappresentazioni in tutto il mondo.
“Dieci anni fa, chi avrebbe immaginato un progetto simile inscenato in un liceo?”, si chiede. “E invece, lo abbiamo portato ovunque”.
Per il decimo anniversario dalla morte di suo figlio, il 12 ottobre, la Shepard non sa ancora bene cosa succederà. Elton John aveva detto di voler organizzare un concerto in suo onore, ma il discorso non è più stato affrontato.
Nel frattempo, la cantante Cyndi Lauper, che fa anch’essa parte del consiglio direttivo della fondazione, ha distribuito ai suoi concerti i braccialetti “Abbasso l’odio”. Gli accessori marchiati “Abbasso l’odio” sono stati disegnati dal creatore di gioielli Udi Behr; di cui la fondazione pubblicizza e vende una collanina per 60 dollari.
Da parte sua, la Shepard desidera continuare ancora a parlare per le piazze a nome di Matt. “Tutto questo è molto semplice. È una questione di diritti civili. Nient’altro.”
Testo originale: Mission of Matthew Shepard’s mother: Stop hate crime