Sull’omosessualità per la Chiesa è tempo di leggere con occhi nuovi la Bibbia
Articolo di Bonifacio Borruso tratto da ItaliaOggi, 8 settembre 2012, pag.10
Eccellenza accetti le evidenze della scienza e un’interpretazione moderna della Bibbia e apra ai gay: è il succo di una lettera aperta inviata da quattro religiosi fiorentini a Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, capo dei vescovi toscani e resa nota ieri dalla cronaca cittadina di Repubblica.
I quattro, tre preti e una suora, non sono figure di poco conto: si tratta di don Giacomo Stinghi, sacerdote impegnato per un paio di decenni nel recupero di tossicodipendenti, di don Alessandro Santoro, parroco di periferia e aspirante don Milani che si fece bacchettare da vescovi miti come Ennio Antonelli, di don Fabio Masi, parroco anch’egli, e di suor Stefania Baldini, domenicana in quel di Prato.
Gli autori della lettera, dal significativo titolo «Due persone che si amano non sono uno scandalo», hanno preso le mosse da un articolo sulla questione omosessuale, pubblicato dal settimanale dei vescovi della regione, ToscanaOggi, nel giugno scorso. Articolo che riprendeva ovviamente la posizione del Magistero sul tema. Posizione che, quasi tre mesi dopo, è stata utilizzate degli indignados in clergy per una richiesta che suona, inevitabilmente come attacco, alla Curia.
L’appello è a smettere di «considerare verità assolute quelle che poi dovrà riconoscere come un errore», si tratterebbe proprio dei fondamenti biblici alla condanna dell’omosessualità come i famosi passi del Genesi e del Libro dei Giudici, rispettivamente su Gomorra e Gaaba, città di sodomiti, distrutte da una schiera di angeli mandata dall’Altissimo dopo che il ripudio dei suoi messaggeri.
«Ormai è anche abbastanza chiaro che quegli episodi dell’Antico Testamento su cui ancora si basa la condanna dell’omosessualità hanno un altro significato», scrivono a otto mani, «il crimine non sta tanto nell’omosessualità, quanto nella violenza e nella volontà di umiliare e rifiutare lo straniero». Quattro righe facili facili con cui il politicamente corretto entra nell’esegesi biblica: in sostanza il Padreterno castigò i gay non perché tali ma perché xenofobi, comportamento che, in un nuovo Decalogo, sta evidentemente in cima alla lista.
Non solo, proseguendo sul piano biblico, il gruppetto oppone passi di Isaia, «agli eunuchi, che osservano i miei sabati, si comportano come piace a me e restan fermi nella mia alleanza, io darò un posto nel mio Tempio per il loro nome. Questo sarà meglio che avere figli e figlie perché io renderò eterno il loro nome. Nulla potrà cancellarlo». Alludeva ai gay, il profeta? Forse, «ma noi non dovremmo vedere l’omosessualità in questa luce?», scrivono. E citando il famoso versetto del Vangelo di Marco, «il Sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato», gli appellanti ricordano, a Betori, che il Cristianesimo è fatto per abbracciare e non per escludere.
Dopo cotanta premessa, inevitabile la bacchetta al Magistero, «i Capi della Chiesa cattolica» (lessico che rivela lo spirito ribelle del nucleo), i quali «più volte hanno dichiarato di non condannare gli omosessuali ma l’omosessualità, e questo per loro è un passo in avanti», scrivono i quattro. In realtà, garantiscono «non se ne capisce il significato!», infatti sarebbe «come dire ad uno zoppo: ‘Non abbiamo nulla contro il tuo ‘essere zoppo’, basta che tu cammini diritto o che tu stia a sedere!’».
Quattro religiosi dunque e quattro schiaffi a sua eminenza Betori che, arrivato da neppure quattro anni fa, ha dovuto reggere l’urto dello scandalo pedofilia in una delle sue parrocchie, con riduzione allo stato laicale da parte dello stesso Benedetto XVI di un vecchio sacerdote morto di recente. Vicenda si cercò in tutti modi di coinvolgere il vescovo ausiliare Claudio Maniago, accusandolo d’aver in qualche modo esitato, a denunciare i fatti, esposti dalle vittime degli abusi prima alla Curia che alla Procura.
Scagionato dalla giustizia, Maniago è tutt’ora bersagliato da critici pubblici e privati: questi ultimi, negli stessi giorni in cui don Stinghi e gli altri aprivano il fronte omosessualità, bombardavano di lettere anonime i sacerdoti della curia di Grosseto, quella che dovrebbe essere la prossima sede dello stesso vescovo fiorentino.
Lettere che riportano ampi stralci del provvedimento con cui i pm chiedono l’archiviazione della sua posizione, commentando severamente l’attendismo del prelato nel denunciare i fatti. Fra religiosi indignati e corvi in trasferta, per Betori, cardinale folignate, classe 1947 (il più giovane italiano del Conclave), già segretario della Conferenza episcopale italiana, nominato recentemente al Pontificio consiglio per la cultura, uomo volitivo e infaticabile, un’altra brutta gatta da pelare.
Al pari delle intercettazioni cui, come rivelò Panorama prima dell’estate, sarebbe stato fatto oggetto durante le indagini sul ferimento del suo segretario ad opera di uno squilibrato che voleva forse rapinare alcuni oggetti sacri in oro custoditi nel palazzo arcivescovile. Intercettazione che, solo per la prontezza con cui il suo portavoce minacciò di querelare il settimanale, non furono pubblicate.