Sulle persone LGBT la Chiesa Metodista Unita americana è a un bivio
Articolo di Sarah Jones pubblicato sul sito del quindicinale New York (Stati Uniti) nel marzo 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
“È stato un tradimento con bacio” dice il reverendo Alex da Silva Souto. Nei giorni scorsi la Chiesa Metodista Unita ha votato per confermare la proibizione ufficiale di consacrare pastori e pastore apertamente LGBT e di celebrare matrimoni omosessuali alla conferenza generale straordinaria indetta per discutere sul tema. Da Silva Souto è apertamente queer e la decisione della sua Chiesa avrà degli strascichi dolorosi: “È la conferma che questa denominazione non può andare avanti con le strutture attuali. La conferenza generale non sarà mai un luogo che potrà accogliere e proteggere gli individui LGBTQI. Il sistema, per come è congegnato, non lo permetterà”.
Da Silva Souto, che fa parte di una associazione che riunisce i pastori e le pastore queer della Chiesa, assieme ad altri ha provato a cambiarla dall’interno: un’impresa rischiosa anche prima del voto della scorsa settimana, perché i pastori queer hanno sempre avuto una collocazione precaria all’interno della denominazione. Nel 1972 il Libro delle Discipline della Chiesa (una sorta di costituzione) ha stabilito che, per quanto riguarda le tematiche sessuali, può essere accettato “solamente il patto matrimoniale monogamo ed eterosessuale”. Alcuni sinodi regionali della Chiesa, tuttavia, sono più progressisti e hanno consacrato pastori apertamente LGBT e celebrato matrimoni omosessuali, in spregio ai regolamenti della Chiesa. Sono stati atti di sfida che in alcuni casi hanno condotto a processi disciplinari interni.
Non è inusuale che le Chiese cristiane si oppongano alla consacrazione di pastori LGBT, come fa per esempio la Convenzione Battista del Sud. Invece di continuare ad accettare la sua varietà teologica di fatto, la Chiesa Metodista Unita ha scelto di porsi in una linea più conservatrice, ma il suo desiderio di purezza dottrinale può costarle molto caro. Confermando la posizione tradizionale [sull’omosessualità] gli organi di governo della Chiesa potrebbero obbligare le congregazioni, i pastori e i membri progressisti a una difficile decisione: rimanere in una Chiesa ostile, oppure andarsene e contribuire alla frattura della terza maggiore denominazione cristiana del Paese. Sia i conservatori che i progressisti hanno confermato che una scissione non farebbe che formalizzare uno scisma ideologico già in atto da tempo.
Non doveva andare così. Una conferenza generale è un po’ come un piccolo parlamento, in cui i delegati prendono in esame varie proposte di regolamenti. L’”opzione semplice”, stilata, tra gli altri, da da Silva Souto, prevedeva la cancellazione di tutte le espressioni anti-LGBT dal Libro delle Discipline. La maggior parte dei vescovi sosteneva un’altra proposta, che in pratica avrebbe confermato la situazione attuale: le comunità locali sarebbero state libere di decidere sul tema del matrimonio omosessuale e i pastori non sarebbero stati sanzionati né per essere queer, né per aver celebrato matrimoni tra persone dello stesso sesso; inoltre, i sinodi i cui leader non accettano pastori e pastore LGBT non sarebbero stati obbligati a consacrarli. In breve, un compromesso. I delegati hanno invece votato l’”opzione tradizionale”, sostenuta da gruppi come la Wesleyan Covenant Association (Associazione del Patto Wesleyano), che raggruppa congregazioni e pastori metodisti teologicamente conservatori.
Il presidente dell’Associazione Keith Boyette ha dichiarato che non è loro intento obbligare qualcuno ad abbandonare la denominazione, ma questa “è una conseguenza naturale di questo tipo di decisioni”. Anche alcuni conservatori avevano ventilato l’idea di abbandonare se la conferenza generale avesse votato una proposta più progressista: “Quando sono diventato membro di questa Chiesa, e quando sono diventato pastore, sapevo bene quello che facevo. Mi è stato chiesto di prendermi un impegno, di studiare e comprendere le dottrine della Chiesa, di vivere la mia vita e il mio ministero in armonia con quelle dottrine e quelle discipline. Se non posso più farlo senza macchiare la mia integrità, ho due alternative: lavorare all’interno del sistema per cambiarlo, oppure fare un passo indietro e coltivare la mia fede altrove, e fare il pastore altrove”.
I pastori e le pastore queer, però, non sono disposti a consegnare la loro Chiesa e la loro vocazione ai tradizionalisti: “Noi parliamo di avere una relazione personale con Gesù Cristo, ma non puoi venirmi a dire come deve essere o non essere questa relazione” dice la vescova Karen Oliveto, l’unica apertamente omosessuale tra i vescovi. Oliveto, che ha votato per l’autonomia delle singole congregazioni, critica i tradizionalisti perché “non vogliono avere rapporti con chi non la pensa come loro”, ma non intende lasciare la Chiesa: “Questa è la mia casa spirituale. Ci sono cresciuta. In essa ho imparato l’amore di Dio, in essa ho approfondito il mio discepolato, e l’ho servita fedelmente. Dove dovrei andare? Questa è casa mia”.
Secondo il reverendo Jay Williams, che è pastore a Boston e ha contribuito a stilare la mozione per cancellare il linguaggio anti-LGBT, il voto della conferenza generale stride con il carattere storico della sua congregazione: “Il nostro primo pastore fu un ex schiavo divenuto abolizionista. Per oltre 200 anni la nostra congregazione è stata un faro di giustizia nella nostra città, contro la schiavitù, l’oppressione e la discriminazione”. Nel 2000 la congregazione è diventata la prima comunità afroamericana della Chiesa Metodista Unita ad accogliere apertamente le persone LGBT: “La nostra posizione è solida. Ci impegneremo nuovamente ad amare tutti e a trattare tutti con giustizia, come vuole la tradizione delle chiese nere. Ma cosa vuol dire questo per noi, che facciamo parte di una denominazione schieratasi con l’ingiustizia e la discriminazione? Cosa ci rimane da fare? Non lo sappiamo, ma la gente vorrà avere una risposta nelle prossime settimane”.
Alcuni membri probabilmente se ne andranno. Secondo la reverenda M Barclay, che ha votato contro il linguaggio discriminatorio delle Discipline, molti aspettano di vedere cosa succederà dopo il voto, ma altri sono pronti ad andarsene: “Conosco molta gente che assolutamente non vuole rimanere in questa denominazione un giorno di più, ed è certamente una reazione comprensibile”. Le proporzioni dell’esodo dipenderanno da come la Chiesa applicherà il voto. La mozione tradizionale è ora sotto esame da parte del consiglio giudiziario della Chiesa, che molti descrivono come il corrispondente metodista della Corte Suprema. È possibile che alcune voci della mozione vengano stralciate, ma secondo i pastori queer, ormai il danno è stato fatto. Williams è incerto sul futuro, ma sta sondando la sua congregazione. Oliveto afferma che i responsabili della pastorale giovanile del suo sinodo hanno segnalato episodi di autolesionismo tra i giovani metodisti (è dimostrato che il bullismo e la discriminazione anti-LGBT contribuiscono alla depressione e ai pensieri suicidi tra i giovani e le giovani LGBT).
Mentre guidano il loro gregge, i pastori queer vedono un futuro incerto. La mozione tradizionale apre la porta a possibili processi disciplinari per i pastori e le pastore LGBT o che celebrano matrimoni omosessuali. I pastori che violeranno le Discipline rischieranno di perdere il loro status pastorale, e un pastore che non è più tale non perde solo il pulpito, ma anche il suo stipendio: una nota molto triste che si aggiungerebbe alla pubblica umiliazione di un processo. Il reverendo Williams, apertamente gay, afferma che impegnarsi nel ministero pastorale per la vita “ha conseguenze molto materiali in termini di vocazione. Con il ministero pago le bollette e sostengo la mia famiglia, ma anche altri pastori gay”.
Nonostante i rischi, Karen Oliveto non è l’unica pastora determinata a rimanere nella Chiesa, almeno per ora. M Barclay è pensierosa: “Ci sono molte ragioni per andarsene, e ci sono molte ragioni per rimanere. Penso che, per quanto riguarda me, mi interessa rimanere anche perché qui ho una certa influenza. In un mondo dove alligna ogni tipo di ingiustizia, se questo è il luogo che mi offre più opportunità di discutere cose importanti e fare la differenza, allora andarsene e cercare di costruire altrove le stesse opportunità non ha molto senso per me”.
È un “periodo snervante” per i pastori omosessuali, dice Williams, “ma credo che alla fine l’amore avrà la meglio, la giustizia avrà la meglio, perché i conservatori leggono le Scritture in modo molto limitato, prendono pochissimi versetti dell’Antico Testamento, un pugno di passi del Nuovo e li leggono avulsi dal loro contesto originario. Il principio base della Bibbia può ridursi a questa semplice frase: Dio è amore”.
Testo originale: ‘Where Would I Go? This Is My Home’: Queer United Methodists’ Uncertain Future