Sull’omosessualità. Le oscure origini di un pregiudizio

Nella nostra società, così tecnologicamente sviluppata, ci si sta rendendo sempre più conto che il relazionarsi con gli altri è divenuto più difficile: sono evidenti difficoltà nel gestire i rapporti con i familiari, il partner, il vicinato, i colleghi e perfino con gli amici più intimi.
E’ improbabile che un essere umano riesca a vivere in modo gratificante in assoluta solitudine. Nelle metropoli, anche chi vive da solo si relaziona regolarmente con altre persone; e d’altra parte, quasi tutti noi abbiamo acquisito una certa esperienza in termini di rapporti sociali.
Tutte le religioni insegnano l’Amore verso Dio e anche verso il prossimo; e l’amore rappresenta certamente un fattore fondamentale per poter avere rapporti sociali gratificanti.
Conoscenza, regole, esperienze…cosa impedisce allora di mettere in pratica tutto questo? La risposta è una ed è quasi immediata: i pregiudizi, che però si possono combattere attraverso un impegno di comprensione verso gli altri, ma anche verso se stessi.
Certamente sopravvivono ancor oggi gravi residui di discriminazione e chiusura mentale a priori anche in seno a quelli che si definiscono Stati civili, democratici e moderni. E l’avversione per gli omosessuali in particolare, come si potrebbe spiegare ?
Non è facile cercare di svolgere qui un’analisi (sia pure grossolana e molto semplificata) sul perché il pregiudizio oggi denominato omofobia, ovvero il disprezzo per tutte le persone omosessuali, sia sopravvissuto ancora ai nostri giorni.
Bisogna probabilmente distinguere tra la realtà di un fenomeno e la rappresentazione che di tale fenomeno si intende fare. E quindi, su questa base, proporre poi al pubblico, alle masse.
La rappresentazione è decisiva, perché una volta presentata e proposta all’interlocutore, sarà proprio tale rappresentazione (parziale, distorta o perfino faziosamente errata) ad essere percepita essa stessa come la realtà del fenomeno.
Perfino nel XXI secolo, la realtà di un fenomeno tende a coincidere con la sua rappresentazione. E prima ancora … come stavano le cose? Assai prima della nascita del diritto moderno, era la classe sacerdotale che emanava le leggi: e chi osava trasgredire le leggi, era peggio che reo…era peccatore e sacrilego. E meritava la morte.
In un tale arcaico contesto culturale, teologico e teocratico, si inseriscono le cronache di Sodoma e Gomorra, le antiche città rappresentate come la culla dannata di tutti i maschi omosessuali: come noto, si narra di un tentato stupro da parte di un branco che, pur senza rendersene conto, sceglie come bersaglio predestinato alcune creature sovrumane, ma di aspetto umano. Umano e maschile.
Da qui, l’abominio primordiale: l’omosessualità intesa e rappresentata in blocco come stupro tra maschi e certamente, allora come pure ancor oggi, praticata sui più deboli (prigionieri, schiavi, minori, disabili).
L’omosessualità però non si può ridurre soltanto a questo, come pure non si può ridurre l’eterosessualità semplicemente allo stupro di donne da parte di uomini.
Per secoli, si è attribuita all’omosessualità anche un’origine esterna, estranea, comunque avversa al contesto socioculturale dominante di una determinata comunità, che combatteva il fenomeno e chi lo metteva in atto: era qualcosa di straniero, di contaminante, portato da nemici o da genti di cultura inferiore (i non-ebrei, i non-romani, i non-cristiani, i non-europei, ecc.).
Anche le discusse Lettere di san Paolo, realizzate in un contesto di ascesa del Cristianesimo (e di declino dei vari culti pagani) ribadiscono, tra le righe, tale sottinteso: è sopratutto tra i pagani che si trovano uomini che si accoppiano con altri uomini, prostituti, anche travestiti da donna.
Il cristiano invece queste cose non fa, non le capisce nemmeno, tanto sono estranee dal suo modo di essere, tutto teso alla ricerca e all’ascolto di Dio.
Il modello di omosessualità vista come pratica deteriore associata ad ‘altra’ cultura decadente, giunta quasi al capolinea, lo si ritrova con inquietante frequenza presso altre epoche e in altri Paesi: basti ricordare agli inizi del XIX secolo i valori borghesi, virili e patriarcali, della ormai affermata classe dirigente industriale, contrapposti a quelli di un’aristocrazia viziosa e rammollita, di cui i dandy rappresentarono l’epilogo; o peggio ancora, le teorie di Darwin sull’evoluzione della specie, che sconfineranno nei primi del Novecento negli studi di eugenetica e nella ideologia razzista, negli Stati Uniti prima e in Europa (Germania inclusa) poi. Inevitabili le ridefinizioni di classi di persone ritenute a vario titolo degenerate e disturbate, destinate a venire segregate nei manicomi e nei lager, ai fini di un criminale progetto di pulizia etnica.
Oggi non ci sono più roghi, campi di sterminio, né manicomi, ma l’avversione per gli omosessuali non è affatto venuta meno, anche se il contesto culturale è certamente mutato. Allora, come viene rappresentata oggi la persona omosessuale ? In maniera ancora molto deteriore e faziosa, sia pure con maggiori sfaccettature che in passato.
In una società sempre più competitiva, la persona omosessuale viene rappresentato e percepito come un perdente a priori, un soggetto che non merita né rispetto né diritti, un sovversivo incapace di stare alle regole sociali in tema di sessualità, famiglia e matrimonio, condannato a vivere sulla base di sensi di colpa (per farsi compatire) o di risentimento (per farsi temere).
Ed immerso in uno stile di vita che i benpensanti rappresentano come godereccio e libertino, tutto pornografia, prostituzione e promiscuità, dove pare che non ci sia posto per sentimenti ed affetti.
Insomma, la dimensione ludico-erotica soppianterebbe quella affettiva, fino ad annullarla del tutto.
Paradossalmente, nonostante questi presunti deficit strutturali sul piano della personalità, i gay vengono percepiti come una minaccia sociale: si ribadisce ripetutamente che le coppie omosessuali costituiscono un pericolo per la famiglia tradizionale, quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
Non c’è dubbio che, al di là dell’immagine riduttiva, distorta e desolante che si propone del mondo gay, le coppie omosessuali stabili sono una realtà in costante crescita: ecco che, da una parte, quella strana coppia, rappresentata come inaffidabile a priori, si sta rivelando stabile quanto quella eterosessuale e tradizionalmente stabile (che però le statistiche sui divorzi in crescita esponenziale smentiscono senza attenuanti).
All’origine del conflitto tra gli eterosessuali, culturalmente e numericamente prevalenti in tutte le comunità del mondo, e gli omosessuali, impropriamente ritenuti inferiori, non soltanto sul piano numerico, sembra esserci un continuo quanto inutile gioco di riflessi su uno specchio deformato, nel senso che ognuno vuol vedere riflesso nell’altro quella parte sessuale di sé che riconosce propria, quindi vera e valida.
In parole semplici, da sempre l’eterosessuale ha visto nel gay un altro eterosessuale, simile a lui, ma difettoso, corrotto o maleducato sul piano sessuale….e come tale, da punire, correggere, riabilitare.
Da parte sua, l’omosessuale non si è sottratto al gioco di riflessi allo specchio, insinuando che in realtà dentro ogni eterosessuale si nasconde un omosessuale: adattato, inquadrato, represso e conformista, che inconsciamente non aspetta altro che di venire sbloccato e liberato da esperienze omosessuali.
Partendo da queste ipotesi piuttosto arbitrarie di generalizzazione e di somiglianza (“ sono certo che sei come me, ma comportati come me anche sul piano sessuale, se vogliamo andare d’accordo…”) nasce il conflitto.
Una possibile strategia di risposta per poter uscire da tale conflitto potrebbe essere stata la messa a punto di una certa cultura della diversità, elaborata dal movimento omosessuale statunitense e poi esportata nel resto del mondo anglosassone ed occidentale in genere.
Il conflitto (e il dialogo) con gli eterosessuali si evita, ma non si risolve veramente.
Questa strategia si è rivelata funzionale ed efficace negli Stati Uniti, per definizione multirazziali, multiculturali e multireligiosi: in effetti, una comunità in più, con una propria giornata nazionale, una bandiera, dei luoghi e perfino interi quartieri dedicati ad incontri e vita di comunità non turbava più di tanto il già molto variegato assetto sociale americano.
Secondo me, in Europa il discorso andrebbe preso con più cautela: il modello importato dagli States ha funzionato nel Regno Unito e nell’area scandinava, in misura minore ma certamente significativa in Francia e di recente perfino nella penisola iberica, ma certamente non da noi, dove (almeno fino a pochi anni fa) nelle principali città italiane non sono mai esistiti quartieri etnici ufficiali, come le Chinatown (i ghetti ebraici erano altra cosa: si parlava in quei casi di segregazione e emarginazione, non di convivenza civile), né tantomeno quartieri ufficialmente gay o a luci rosse.
Insomma, fino a che punto la comunità omosessuale italiana sarebbe da rappresentare come facente parte di una più globale etnia trasversale a sé, con certi caratteri multirazziali e multiculturali?
Mi pare che come modello e approccio di empowerment sociale non sia stato molto convincente, anzi… ci sono piuttosto dei segnali tali che fanno pensare che l’ideologia della diversità, tanto in voga negli anni Settanta, tra travestimenti e trasgressioni, stia lasciando il posto ad una sempre più crescente e diffusa esigenza di messa a norma della persona omosessuale: oggi si parla sempre più di diritti. E sempre meno di terapie, per fortuna.
Del resto, quella Scienza che nel XX secolo pretendeva di risolvere i tanti problemi lasciati senza soluzione dalla Religione e dalla Filosofia Morale, non ha risolto il problema dell’omosessualità.
L’omosessualità è veramente da impostarsi come un problema scientifico ?
E’ facile descrivere l’omosessualità in termini di effetti, ma sulle cause la questione non è stata ancora del tutto chiarita.
In pratica, incredibilmente e paradossalmente, non si sa ancora esattamente di cosa si sta parlando !
Persiste infatti una generalizzata ignoranza sul fenomeno e i termini attuali ufficiali e autorizzati dai media, in genere di origine straniera o clinica, vengono ancor oggi sbrigativamente rimpiazzati dalle consuete parole dialettali, tutte a valenza notoriamente offensiva.
E comunque sia, se la Scienza ha praticamente passato il testimone, ora è il turno dello Stato di Diritto a doversi occupare della questione. E c’è da dire che, rispetto all’Italia, il resto d’Europa ha già compiuto dei passi significativi a riguardo.
Sono cambiati i termini, le definizioni si sono fatte più sfumate, ma non per questo si è fatta più chiarezza: parole come gay, lesbica, diverso, omosessuale non sono ritenute davvero più gratificanti o chiarificatrici di parole, ormai fuori corso, come: invertito, deviato, depravato o sodomita.
Si è parlato anche di vizio, peccato, inclinazione, perversione, tendenza per indicare l’omosessualità come qualcosa implicita nella sfera dell’istinto, della parte meno razionale e più animale (e quindi meno nobile) della persona.
Certi stereotipi sui gay sono comunque venuti meno, suscitando non poche perplessità anche all’interno della stessa comunità omosessuale.
Negli anni Settanta era dato per scontato che un gay facesse il coming out, che fosse visibilmente effeminato fino a truccarsi e spesso a travestirsi da donna, che fosse -politicamente parlando- a sinistra o ultrasinistra, che fosse consapevolmente fuori dalla grazia di Dio per la sua condotta sessuale, che non implicava pentimenti o conversioni e quindi ateo e anticlericale a priori.
Oggi invece ci sono omosessuali dichiaratamente di destra , altri che si dichiarano anche cristiani, tra i quali anche religiosi veri e propri, mentre tanti altri ancora, di aspetto e atteggiamenti in linea con la loro identità sessuale (quindi insospettabili come omosessuali), non si sentono affatto rappresentati dai militanti dei centri sociali e non si riconoscono più nemmeno nei Gay Pride, che trovano datati e piuttosto fuorvianti in termini di immagine del mondo omosessuale da proporre e presentare alla società.
Quindi la differenza, la diversità, si starebbe attenuando: il diverso si starebbe rivelando sempre più simile (e meno diverso di quanto si voglia far credere). Infatti, mentre ieri il diverso sbalordiva e scandalizzava, rivendicando la sua orgogliosa diversità, oggi, tanto diverso in fondo non si sente più, pertanto rivendica un’inedita uguaglianza.
A pensarci bene, questa potrebbe essere vista come una contraddizione, ma la si può vedere in modo più favorevole come una evoluzione.
Da un originario desiderio di trasgressione, si sta gradualmente e consapevolmente arrivando ad un diffuso bisogno di integrazione sociale, di una normalizzazione che non va assolutamente presa per conformismo dovuto al periodo di crisi economica che stiamo attraversando.