Superare l’esclusione del ‘diverso’ per creare una Chiesa inclusiva

Probabilmente molti fra voi hanno avuto occasione di vedere il film di Kevin Costner su Wyatt Earp.
Per aiutare lo spettatore a capire il comportamento da adulto di quest’uomo intensamente leale alla famiglia e la sua diffidenza ostile nei confronti di tutti gli altri, il film ci mostra alcune scene della sua infanzia.
La maggior parte di noi sembrano saperlo per istinto. Ci sono poche cose di cui abbiamo naturalmente paura più che di ciò che non ci è familiare. Si tratta di una paura così universale che le abbiamo dato un nome: xenofobia – la paura dello straniero.
Il nome deriva dalla parola greca ‘Xenos’ che indica ciò che è estraneo, straniero, diverso, strano in generale: Essa indica tutto ciò che è al di fuori dei confini e degli ambienti che ci sono familiari.
Pensate al modo in cui osserviamo gli stranieri, i diversi, gli estranei fra di noi. Stiamo sulla difensiva nei loro confronti e facciamo di tutto per proteggerci da loro.
Fra i buoni consigli che ci diamo l’un l’altro a questo riguardo vale la pena di ricordare l’insistente avvertimento dei nostri genitori: “non parlare con gli estranei” o quello della polizia, che ci chiede di riferire la presenza di estranei.
La nostra paura naturale dello straniero e il condizionamento sociale nei confronti di coloro che non conosciamo si legano strettamente fra loro.
Con tali avvertimenti nelle orecchie, la nostra prima linea di difesa è l’esclusione. Tenendoci separati da loro ci sentiamo più sicuri. Così ci teniamo quanto più possibile lontani da coloro che sono diversi da noi.
I ricchi stanno alla larga dai poveri; i sani dai malati, i giovani dai vecchi, le maggioranze etniche dalle minoranze; i liberi dai prigionieri, i forti dai più deboli.
E la descrizione delle nostre separazioni potrebbe continuare; ma il punto è sempre lo stesso: se gli altri sono diversi da me, allora essi sono cattivi o sbagliati o indegni, quindi devono essere esclusi dalla mia vita e dalla società.
Qualcuno dirà che questa descrizione non è più vera nella nostra società. Viviamo in una generazione che considera positiva la diversità, che dà valore alle differenze fra gli uomini, che onora le esperienze multiculturali.
La parola d’ordine oggi è inclusione, non più esclusione, almeno tra coloro che sono politicamente e religiosamente illuminati. Se è vero che in alcuni Paesi possono sopravvivere residui dello spirito di esclusione con cui le passate generazioni trattavano i diversi, la maggior parte di noi l’ha ormai superato.
Dopo le leggi approvate negli ultimi anni del XX secolo, per esempio, non c’è più nessuno Stato negli USA in cui la legge vieti a persone di razze diverse di amarsi l’un l’altro. Non ci sono più estranei fra di noi:.stiamo diventando una sola grande famiglia felice.
Davvero è così? Oppure esiste ancora una classe di persone che continuano a sperimentare l’esclusione proprio nel bel mezzo della nostra inclusività appena realizzata? Robert Dawidoff, professore di Storia alla Claremont University, pensa che ci sia: egli chiama questo gruppo di persone gli Ultimi Fuori Casta.
Anche il Washington Post la pensa così: sulla base di un sondaggio nazionale condotto congiuntamente dal giornale, da una Fondazione culturale e dall’Università di Harvard, un recente articolo afferma che gli americani “hanno radicalmente modificato la loro sensibilità morale negli ultimi 30 anni, rivedendo il giudizio su persone e stili di vita che una volta erano pronti a condannare.
La maggioranza trova ora accettabili il divorzio, il sesso prima del matrimonio, i rapporti interrazziali e la genitorialità da single. Ma gli omosessuali costituiscono l’unico gruppo il cui comportamento rimane saldamente al di fuori dei limiti di accettabilità per la maggioranza degli americani.”
Abbiamo bisogno di studi e di indagini che ce lo dicano? Qualsiasi persona omosessuale che incontriamo, e che non sia completamente riuscita a nascondere la realtà del suo orientamento sessuale, può raccontare esperienze di esclusione che le persone eterosessuali francamente faticano a credere.
“Nessuno ha bisogno di dire ai ragazzi latino-americani del liceo che non importa se sono ispanici o no: che se ne accorgono da soli. Ai bambini ebrei non viene detto che sono peccatori e che potrebbero diventare cristiani, se lo volessero.
La gente non racconta ai ragazzi neri che devono sopportare il razzismo, perché in fondo hanno fatto tanta strada da quando erano schiavi; non c’è bisogno di spiegare perché ci sia un mese dedicato alla storia dei neri, o perché nel curriculum scolastico siano inseriti argomenti relativi alla gente di colore.
Non si dice “Questa è proprio roba da coreani!” per indicare qualcosa di stupido o strano. E non si dice ai ragazzi disabili che la comunità non è ancora pronta a difendere i loro diritti di uguaglianza e inclusione.
Non sentirete mai nessuno sostenere che il tumore al seno è il modo di Dio di uccidere le donne, o che è una buona cosa.
Se un insegnante sente chiunque insultare un bambino cinese con qualche nomignolo tipico, interviene prontamente. Quando studenti in visita si informano con gli insegnati su come chiedere appuntamenti alle ragazze della scuola, non vengono mandati da uno psicologo scolastico.
“Ma ogni giorno nella scuola superiore, io mi sento dire che non c’è problema se io sono gay, finché rimango nascosto; che io sono un abominio contro Dio; che posso cambiare se voglio; che non si dovrebbe parlare a scuola delle persone come me.
Mi dicono che dovrei essere soddisfatto perché la nostra scuola si è molto aperta, e che non dovrei spingere oltre la mia richiesta di parità di diritti e di inclusione, perché la società non è ancora pronta.
Sento dire così spesso “Questa è proprio roba da gay!” e che l’AIDS è la mia punizione per essere quello che sono, e mi sento dare del “finocchio” in continuazione. Non è facile evitare di essere permanentemente arrabbiato”
Se gli americani sono seri quando dicono di voler costruire una società inclusiva (e mi risulta che questo fosse il Sogno Americano), avranno bisogno di un sacco di gente per guidare gli altri oltre questa ultima frontiera della paura, dando una risposta a persone che sono diverse.
Se i cristiani sono seri nel voler costruire una Chiesa inclusiva (e la prima parola dovrebbe contenere in sé la seconda, secondo alla Bibbia che conosco), abbiamo una sfida speciale da affrontare.
Perché bisogna ammettere che i cristiani sono stati in gran parte responsabili se la gente di questo paese è incapace di accettare questi ultimi fuori casta. Come è emerso dal sondaggio sopra ricordato, la maggior parte degli americani che trovano inaccettabile l’omosessualità dicono di opporsi per motivi religiosi.
Ma abbiamo bisogno di sondaggi per saperlo? Recentemente, è passata da San Francisco Nancy Hanson, autrice del libro “Dal dolore alla gioia – parole ispirate di speranza e di guarigione”.
Essendo per la prima volta nella città, ha trascorso la Pasqua nel quartiere Castro di San Francisco, nel cuore della comunità gay/lesbica, regalando gratis copie del suo libro a chiunque fosse disposto a riceverlo. Mentre era lì, riferisce di aver visto un maglietta con lo slogan: Gesù mi odia, questo lo so, perché me lo dicono i cristiani.
Riflettendo sulla sua esperienza con la comunità omosessuale di Castro la Domenica di Pasqua, Nancy Hanson racconta la condanna che lei stessa aveva subito per mano di un’amica di buone intenzioni.
Lei era nel bel mezzo di una causa di divorzio e la sua amica le diceva che era stata ingannata da Satana, andando contro la Parola di Dio e che si comportava da grande egoista.
Questo le aveva dato un assaggio della feccia che le persone gay e lesbiche hanno dovuto ingoiare per mano dei cristiani armati delle loro Bibbie.
Ma dopo aver trascorso la giornata con la comunità gay, ha detto, “lo spirito di amore dalle anime buone che ho incontrato mi ha tenuto su per tutto il giorno”.
Poi ha fatto un paragone tra la sua amica “che credeva nella Bibbia” e gli estranei di San Francisco. Riferendosi alla sua amica, lei ha scritto, “in meno di un’ora, mi sono sentita ferita e annullata dalle sue parole.
Dopo undici ore con la gente su Castro Street, mi sentivo eccitata, felice, amata, accettata e sicuramente sostenuta. Gesù mi ama, questo lo so, perché la gente di Castro Street mi ha mostrato che è così”
Per molti cristiani, condannare ed escludere questi diversi in mezzo a noi appare normale e naturale, non sembra affatto strano farlo. Sembrerebbe invece strano se arrivasse qualcuno in mezzo a noi, che tenesse un atteggiamento completamente diverso nei confronti di chi è diverso.
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, tu non odi niente di ciò che hai creato e perdoni a tutti coloro che si pentono.
Crea e poni nella Chiesa un cuore nuovo e contrito che, piangendo la discriminazione praticata nei confronti dei fedeli e del clero gay, lesbiche, bisessuali e transgender, possa ricevere dal Dio di ciascuno la misericordia, il perdono e la pace perfetta, per mezzo di Gesù Cristo. Amen.
* Il reverendo Paul Egertson è stato nominato vescovo della Chiesa Evangelica Luterana in America (ELCA) nel gennaio 1995. In precedenza era stato parroco per 21 anni in California e in Nevada. E’ stato direttore del Centro di studi teologici in Thousand Oaks, in California, per 13 anni e professore di religione presso l’Università luterana della California per 10 anni. Laureato al Pepperdine College (Los Angeles) ha conseguito un Master al Lutero Theological Seminary di St. Paul, ed una laurea presso la Scuola di Teologia di Claremont (California)
Presso il Centro di studi teologici ha insegnato nei corsi per i laici affrontando il tema “L’omosessualità: Assunzione di un secondo sguardo.” Nel 1992, ha ricevuto il premio Voice of Faithfulness dai Lutheran Lesbian and Gay Ministry (San Francisco). Lui e sua moglie hanno sei figli e quattro nipoti.
Testo originale: Brano tratto da The Stranger in Our Midst