Tanti linguaggi, un solo Vangelo. Scoprire la luce in tempi di crisi
Video con trascrizione della meditazione biblica su Genesi 1,1-5 tenuta da Lidia Maggi* e Angelo Reginato* alla “3giorni.Tanti linguaggi, un solo Vangelo” de La Tenda di Gionata (Albano Laziale, 13-15 giugno 2025) il 13 giugno 2025
In un tempo segnato da tante crisi – personali, sociali, ecologiche e spirituali – questa meditazione ci riporta all’inizio, alla prima pagina della Bibbia, là dove tutto appare informe, vuoto, immerso nelle tenebre. È proprio in quel buio che risuona una Parola: quella di un Dio che, con forza e tenerezza, pronuncia un “sì” alla vita. Nel loro intervento di apertura della “3giorni. Tanti linguaggi, un solo Vangelo”, i pastori battisti Lidia Maggi e Angelo Reginato ci guidano in un intenso percorso di rilettura di Genesi 1,1-5 e ci invitano a lasciarci raggiungere da quella luce che – anche oggi – può nascere proprio dentro le nostre notti.
Tanti linguaggi, un solo Vangelo. Un solo Vangelo che si radica nelle diverse situazioni e, dunque, il linguaggio si fa necessariamente plurale. Ed è proprio nel momento della crisi, in cui ci chiediamo come annunciare l’evangelo in un tempo in cui la speranza sembra difficile da afferrare, che questi racconti vogliono fare la loro parte.
Provano a farci sentire, a proclamare il Vangelo in situazioni di crisi. E leggiamo il primo dei testi scelti per queste nostre mattinate di meditazione. Leggo dal Libro della Genesi, siamo al capitolo uno, i primi cinque versetti:
«Nel principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo» (Genesi 1,1-5).
Fu sera, poi fu mattina: primo giorno. Allora iniziamo proprio dall’inizio, dalla prima pagina delle Scritture. E questo è anche un’indicazione per noi, per la nostra meditazione.
Bisogna sempre iniziare e ricominciare dall’inizio, essere persone che non si sentono arrivate, ma sempre in cammino.
E l’inizio che cos’è? Non è un momento nostalgico. A volte, nelle nostre storie come nelle vicende del mondo, pensiamo che ci siano stati momenti magici — e a volte davvero ci sono stati — e poi tutto il resto degrada. Si passa dall’età dell’oro a metalli via via meno preziosi? No: nella lingua originaria, quel che noi traduciamo con “nel principio” ha un valore più spaziale che temporale. Dovremmo tradurlo: “in profondità”.
Qui non si parla tanto della preistoria, di dove è sorto il mondo, ma si prova a gettare uno sguardo in profondità. Su che cosa?
Ecco, questo forse è l’aspetto su cui vi invitiamo a riflettere.
Perché qui non abbiamo l’idea — poi maturata dalla filosofia — di una creazione dal niente. Non c’è il nulla da cui Dio crea il tutto. No. Qui, nel linguaggio narrativo sapienziale, chiaramente non descrittivo, ci viene detto che c’era già la terra informe e vuota.
E noi diremmo: senza una figura, senza un senso. Ci sono le tenebre che coprono la faccia dell’abisso.
La mia Bibbia — e anche la vostra, immagino — traduce: “lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”. Ma quel termine potrebbe essere benissimo tradotto anche come “un vento fortissimo”, perché quel “di Dio” è un superlativo. Un vento fortissimo che aleggia e spariglia la superficie delle acque.
Vediamo allora quattro immagini che usiamo ancora oggi come metafore della crisi: il non senso — la terra informe e vuota; l’abisso — quando diciamo “mi manca la terra sotto i piedi”; il vento fortissimo — che mette sottosopra e spariglia le nostre carte; e infine le acque — dove le nostre vite rischiano di affogare quando manca un terreno solido.
Ecco, Dio interviene in una situazione di crisi. Siamo all’inizio, e questi primi versetti sono come una miniatura dei testi antichi, che nel frammento provano a dirci il tutto del racconto. Ci viene detto: attenzione! Qui abbiamo una parola che prova ad affrontare la crisi. E come lo fa?
Prima di tutto annunciandoci che il Dio che entra in scena non è un Dio annoiato, che per risolvere la sua noia si inventa un mondo.
Ma un Dio appassionato. Appassionato di vita. Appassionato di vita in un contesto dove tutti gli elementi di morte sono schierati. Un Dio in relazione, che chiama la vita all’esistenza. Un Dio che non si rassegna a tutte le forze negative che impediscono la vita, e dice il suo sì. Il suo sì che nasce dal desiderio di relazione.
E difatti Dio disse: “Sia luce!”. E la luce fu.
Dio vide che la luce era buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Un Dio che desidera che ognuno abbia il proprio spazio. Le tenebre devono lasciare un po’ di spazio alla luce, ma la luce non può pretendere che le tenebre spariscano.
Perché cos’è la luce senza le ombre e il negativo? In questo desiderio di relazione, ogni cosa trova il suo senso, il suo perché. E trova il riconoscimento.
Ogni elemento della creazione viene riconosciuto, chiamato per nome. E la vita non è proprio questo? Il desiderio di essere riconosciuti?
Veniamo al mondo quando qualcuno ci chiama per nome, quando riconosce la nostra esistenza, le nostre vite, accogliendo anche quei lati negativi che vorremmo cancellare. Perché, in questa relazione, anche quei lati diventano utili, complementari, e contribuiscono a rendere la vita buona.
Le acque permettono alla terra di essere, ma anche la terra ha bisogno delle acque per specchiarsi. E la luce ha bisogno delle tenebre per la sua tridimensionalità.
L’atto creativo è un atto di separazione. E già qui troviamo un’indicazione preziosa per la nostra meditazione: abbiamo il compito di porre un argine al male. Non possiamo vincerlo, perché il male è un ingrediente fisso della vita personale, della storia.
Le tenebre non vengono eliminate, ma si fa spazio alla luce, al giorno.
Guardare se stessi e la storia in profondità vuol dire esercitare questa capacità di discernimento: distinguere, domandarsi, come posso arginare il male? Come posso essere una creatura che partecipa al sogno di Dio di creare più luce, più spazio, e fare in modo che nella crisi emerga un elemento di speranza?
Un unico Vangelo, tanti linguaggi. E il linguaggio della crisi trova sapienza proprio nella capacità di accogliere e riconoscere anche ciò che sembra non permettere la vita, per annunciare quel Dio che è più forte della morte, più forte del non senso.
Appassionato di vita, e che ci rimette al mondo. Allora partiamo da qui, dall’inizio, dallo sguardo in profondità. Buon cammino.
*Lidia Maggi, pastora battista, si occupa di formazione e dialogo ecumenico. Dedica particolare attenzione al tema delle donne e del femminile nelle chiese, e collabora con numerose riviste cattoliche e protestanti. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Quando Dio si diverte. La Bibbia sotto le lenti dell’ironia (Il Pozzo di Giacobbe, 2008); Le donne di Dio. Pagine bibliche al femminile (Claudiana, 2009); L’Evangelo delle donne. Figure femminili nel Nuovo Testamento (Claudiana, 2010); Giobbe, i dolori del mondo (Cittadella, 2013); e, con Angelo Reginato, Dire, fare, baciare… Il lettore e la Bibbia (Claudiana, 2012).
**Angelo Reginato è laureato in Teologia biblica e svolge il suo ministero pastorale presso le chiese battiste, attualmente a Lugano. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Lavoro (EMI, 2008); «Che il lettore capisca» (Mc 13,14). Il dispositivo di cornice nell’evangelo di Marco (Cittadella, 2009); e, insieme a Lidia Maggi, Dire, fare, baciare… Il lettore e la Bibbia (Claudiana, 2012).