Terapie riparative, no ai ciarlatani nella Chiesa
Riflessioni di Massimo Battaglio
Nella settimana scorsa, il quotidiano Domani ha coraggiosamente e approfonditamente esaminato il tema delle cosiddette terapie riparative dell’omosessualità. Prima è uscito un articolo in cui si parlava di un notissimo “riparatore”, Luca Di Tolve, quello che prima “era gay e adesso sta con lei” (secondo la canzone di quell’altro fenomeno della canzone e non solo che è Povia, di cui parleremo dopo).
Nei giorni immediatamente successivi, si è dato spazio a due testimonianze. Sono quelle di due nostri amici, Rosario Lo Negro e Luca Bocchi, che, le terapie riparative e i loro effetti, li hanno subiti.
Su Di Tolve e i suoi “corsi” per “guarire dalle ferite del cuore e riscoprire la bellezza della propria identità in Cristo”, si sapeva da anni. E si sa perfettamente che non si tratta d’altro che di violenze psicologiche organizzate che dovrebbero avere l’effetto di abbassare la libido, dando l’illusione di essere “guariti dall’omosessualità”.
Sono terapie riparative a tutti gli effetti, anche se l’autore non può definirle tali poiché non ne ha alcun titolo (non è psicologo, non è psichiatra, non è formatore né ha titolo accademico alcuno) e quindi le chiama “cristoterapie”. La novità è che ora le svolge in una villa sulla collina di Madjugorie, conquistando così un bel po’ di favore nel mondo delle anime pie e dei loro “accompagnatori pastorali”.
Prima di passare alle altre due testimonianze, apriamo la promessa parentesi su Povia, l’autore della canzone che ha fatto conoscere al mondo di Tolve: “Luca era gay”. Anche lui si dibatte ormai in mille direzioni. Fa interventi contro l’aborto, contro l’eutanasia, contro il gender, contro il gender… Il successo di quella canzone gli dette così tanto alla testa, che non ebbe mai più la forza di staccarsene.
Povia sarebbe dovuto intervenire come giudice in un talent show organizzato dal Comune di Nichelino, alle porte di Torino, nella prossima festa patronale. Il Sindaco ha visto il programma e l’ha fatto cambiare. Coro di sdegno! La censura LGBT+! La dittatura del gender! Comunisti! Eh no, ha risposto giustamente il Sindaco. Ok la libertà di espressione ma in Italia non c’è la libertà di insulto o quella di proferire notizie false e tendenziose. E anche fosse, non certo a spese del Comune.
Chiusa la parentesi.
Arriviamo alle due testimonianze. Sono abbastanza simili ma quella di Luca è più lineare. Cresciuto negli ambienti dell’Azione Cattolica di Mirandola (MO), si lascia convincere da un amico a seguire un percorso psicologico per “liberarsi dall’omosessualità”. Non riportiamo tutte i dettagli più raccapriccianti e ci limitiamo a ringraziare Luca per lo sforzo fatto nell’evocarli. Mettiamo solo il link all’articolo su Domani: Qui. Ciò che è più impressionante del racconto di Luca è la quantità di tempo occorsa per emanciparsi dai disastri compiuti da quello che avrebbe dovuto essere un percorso di emancipazione.
E l’altra cosa che colpisce, oscena, è che questi “percorsi” fossero legati in qualche modo, magari non ufficiale, al Seminario di Modena. E’ così. Ai tempi delle disavventure di Luca, ai seminaristi modenesi che si fossero scoperti gay, veniva “concessa” una doppia alternativa. O te ne vai o, visto che c’è penuria di vocazioni, resti ma provi a “redimerti” attraverso i pacchetti d’incontri forniti dai ciarlatani.
E i primi a cascarci erano i responsabili dei seminari stessi, che ci credevano. Col risultato che, alla fine i ragazzi se ne andavano comunque. E non per l’incompatibilità del proprio orientamento sessuale con il sacerdozio ordinato, ma per tentare di rifarsi una vita.
La storia di Rosario è abbastanza simile ma nasce nel seminario stesso, precisamente ad Agrigento. Lì furono proprio i superiori a “consigliargli” di “prendere contatto” con una particolare “agenzia” e bla bla bla… Insomma: gli imposero di sottoporsi alle terapie riparative. Anche qui, risparmiamo i particolari, ringraziamo e mettiamo il link. Qui. Ciò che veramente allarma è che l’allora rettore dell’istituto sembra ancora piuttosto convinto dei metodi.
Proprio su Domani, si esprime così: “L’obiettivo del percorso formativo è quello di una piena maturità umana, affettiva, spirituale e vocazionale e non ci sono terapie imposte”. E prosegue: “Con molti dei seminaristi che hanno liberamente scelto di fare quel percorso, ho mantenuto ottimi rapporti. Alcuni di loro sono sacerdoti, altri sono sposati.
Nessuno mi ha mai riferito personalmente di traumi subiti, altrimenti mi sarei messo in ascolto, avrei cercato di capire. Se vi fossero ragioni di sofferenza legate al mio agire, non avrei avuto nessuna difficoltà a chiedere scusa”. Aggiunge di essersi anche premurato di “partecipare a qualche incontro per testarne la correttezza” e che lo fece insieme al vescovo stesso.
Ma misericordia, Eccellenza! Per verificare la bontà del rancio dei suoi seminaristi, lei chiede in anticipo di poter mangiare alla loro mensa? E non immagina proprio che quel giorno si mangerà un po’ meglio?
E infatti, Rosario, per telefono, mi risponde chiaro: “questa non è una palla ma un pallone! Qual è quel seminarista che, tra l’andarsene e fare ancora un tentativo, non decide per la seconda? Sai cosa mi è stato detto dopo una seduta con uno che si dava dello psicologo? Che le cose che gli avevo detto, avrei dovuto ripeterle al rettore, se no gliele avrebbe riportate lui”. Molto professionale, in effetti.
E’ stupefacente come gli ambienti formativi ecclesiastici stiano affrontando (quando ci arrivano) il tema della sessualità dei giovani da “formare”. Fondandosi sull’ignoranza, si riproduce altra ignoranza. Si invita magari qualcuno a tenere un “laboratorio”, magari accertandosi che sia uomo di Chiesa o almeno lì intorno, un padre Amedeo Cencini, per esempio, prete psicologo che, sul sesso, la sa lunga. Lui arriva con le sue teorie sulla “omosessualità strutturale e non strutturale” (sulla prima non c’è niente da fare ma, dalla seconda, si può uscire coi nostri metodi). Aggiunge un po’ di concetti grotteschi come “l’omosessuale doc è affamato di sesso. L’omosessuale autentico non vive la coppia. Non esiste la coppia per l’omosessuale. L’omosessuale ha bisogno di tante relazioni. Se sta in coppia da tanti anni, vuol dire che entrambi si sono concessi la libertà di tante avventure estranee alla coppia”.
Forse è il punto di vista di Cencini, a fargli vedere le cose in modo un po’ distorto. Frequentando troppi omosessuali in talare, non può che constatare che il totale del suo campione vive l’omosessualità in modo estremamente libertino e compulsivo. Ma provare ad allargare lo sguardo?
E invece no: Cencini parla con tono affabulatorio, i seminaristi ascoltano incantati, e il gioco è fatto. Via libera per la prossima agenzia di riparazione omosessuali. Agenzie che proporngono “percorsi”, “cammini”, tutte queste parole che tanto piacciono ai cattolici, per non usare il termine “terapie riparative dell’orientamento sessuale”, che addirittura la Congregazione per il Clero ha condannato.
Cencini non è disponibile? Ma c’è Di Tolve! C’è Povia! Non hanno nessun titolo ma… se… per caso… fossero i ragazzi stessi a invitarli… perché no? E’ capitato anche questo. Poco prima dell’incontro, si sono fortunatamente verificati problemi con l’impianto audio.
E’ desolante constatare che, in molti seminari italiani e nei loro dintorni, se comparisse il Dulcamara di turno a spacciare il proprio elisir d’amore cantando “comprate il mio specifico, per poco io ve lo dò”, si farebbe un sacco di soldi.