Teresa Forcades: “l’atto sessuale omosessuale deve essere valutato con gli stessi parametri di quello eterosessuale”
Intervista alla monaca e teologa Teresa Forcades di Albert Torras pubblicata sul suo blog Soy gay y creo en Dios (Spagna) nell’agosto 2014, libera traduzione di Dino
Forse una delle persone più interessanti che mi ha accompagnato nella realizzazione di questo libro è Teresa Forcades, considerata un mito del sapere monastico catalano, acclamata dalle nuove generazioni vicine ai mass media in Catalogna, monaca erudita e saggia.
In occasione di uno dei suoi soggiorni a Barcellona mi dà la mano, calda ma delicata, e sorride come chi vede i bambini che giocano. Le sue opinioni come donna, come monaca, come medico, sono di grande utilità per capire come una parte del cattolicesimo nella sua linea d’azione vada verso scelte più inclusive, senza comunque perdere l’essenza fondamentale.
Si può essere un buon cristiano e vivere nel contempo con pienezza la propria omosessualità?
Sì.
E’ molto perentoria in questa sua risposta.
Si potrebbe rispondere “no” soltanto se si ritiene che l’omosessualità sia una deviazione, una malattia o qualcosa di simile. E non è così. Oggi nemmeno la Chiesa la considera così. Ciò che avviene è che la Chiesa cattolica esige che i cristiani omosessuali siano celibi. Allora che si facciano sacerdoti. Evidentemente qui c’è una controversia. Come si può convincere qualcuno di essere chiamato a rimanere celibe quando lui o lei non avverte questa chiamata dentro di sè? E’ già abbastanza difficile farlo (l’essere celibe) quando si sente questa chiamata, come si può chiedere a qualcuno, se non ha fatto l’esperienza personale, che il celibato possa avere un senso per lui?
Alcuni allo stesso modo ritengono che la finalità del matrimonio sia una sola: la procreazione, e pertanto tutto quello che esula da ciò è moralmente riprovevole e non è cristiano.
Nell’Enciclica Casti connubii di Papa Pio XII come finalità della relazione sessuale all’interno del matrimonio troviamo anche la relazione interpersonale. La Chiesa non ha mai proibito il matrimonio alle donne che non sono più in età di procreare. Questo è ciò che dovrebbe aver fatto se la sola finalità del matrimonio fosse la procreazione, non le pare? E’ evidente che la sessualità ha un risvolto interpersonale che riguarda la nostra identità.
C’è anche la tendenza a considerare la famiglia come l’obiettivo finale dell’uomo
Ciò che concerne l’identità famigliare è la prima cosa, il punto di partenza, la famiglia come base di una certa struttura sociale, ma non è il punto di arrivo. Durante tutto il corso della storia c’è stata una certa tensione riguardo a questo aspetto. La famiglia non è la scena finale della persona, ma lo è la comunità, con la quale interagiamo e ci relazioniamo. Perchè tutti, e ciascuno di noi, è chiamato a rendere attuale un potenziale unico che lo fa essere una concrezione nello spazio e nel tempo dell’amore e della libertà unici di Dio. Il nostro riferimento finale è Dio, non i genitori. Dio non ha sesso nè genere, non è nè uomo nè donna. La domanda finale che dobbiamo farci e sulla quale dobbiamo riflettere è: qual’è il posto della sessualità nell’antropologia teologica?
Gran parte della Chiesa continua tuttavia a considerare l’omosessualità una perversione
C’è una parte della gerarchia che tende a demonizzare l’omosessualità perché lo schema mentale che hanno non è compatibile con le relazioni omosessuali. Molti altri hanno parenti o amici omosessuali e si rendono conto che questo atteggiamento non corrisponde alla realtà e che non può essere giustificato. A dir la verità, non si azzardano a dire che è una patologia. Perciò la Chiesa opta per un messaggio a metà strada: si accetta che l’omosessualità possa essere un dono voluto da Dio, ma si afferma che dev’essere legato ad una chiamata al celibato. Credo che questa sia una posizione insostenibile.
Forse la gerarchia a questo proposito è più chiusa rispetto alle parrocchie
Dipende dalle parrocchie. In generale, il contatto con le necessità pastorali fa sì che la gente comprenda meglio la realtà e nel caso dell’omosessualità questo cambia completamente l’approccio ad essa.
Il messaggio della gerarchia non allontana gli omosessuali dalla Chiesa?
Le difficoltà non ci allontanano da una causa. Se uno ha fede, ce l’ha anche se la gerarchia pubblicamente esprime pareri da una diversa prospettiva. L’esperienza personale deriva da un incontro intimo con Gesù. Come esempio le dirò che gli schiavi neri del Nordamerica hanno ricevuto l’educazione cristiana ad opera di molti pastori che predicavano il messaggio di Gesù e giustificavano la schiavitù dicendo che così voleva Dio. Queste persone, invece di allontanarsi dal cristianesimo, quando hanno potuto leggere la Bibbia hanno compreso che quello che i predicatori avevano detto loro, nella Bibbia non veniva detto da nessuna parte. Fecero propria questa consapevolezza e lottarono per trasformare le ingiuste condizioni.
Le posizioni più inclusive, tuttavia, si giustificano dicendo che il messaggio di Gesù era l’amore. Non è una posizione riduttiva?
Che Gesù sia amore, nessuno lo può negare. Ma non basta fare questa affermazione. Si deve elaborare l’antropologia teologica e nella Chiesa fare una nuova rilettura del sesso. Credo che ridurre il mondo a concetti maschili o femminili sia molto limitante.
Tutti abbiamo qualcosa di maschile e qualcosa di femminile.
Non è esattamente così. Qualunque identità sessuale, che sia omosessuale, eterosessuale, transessuale non importa, costituisce un punto di partenza, partendo dal quale arriviamo ad essere inclassificabili. Tutto questo ha molto a che vedere con la relazione unica con Dio, col fatto di essere ciascuno di noi un pezzo unico.
L’immagine che la Chiesa dà di sé in televisione non aiuta a rendere visibile il fatto che esiste una Chiesa che pensa come lei.
Forse è vero che quello che compare in televisione non è del tutto reale. Ma non si tratta che la Chiesa debba dare una buona immagine, ma che tutti noi che siamo Chiesa e che ci sentiamo cristiani sappiamo trovare il nostro posto dentro di essa.
Ci sono altre Chiese, più inclusive di quella cattolica, comprese alcune comunità cattoliche indipendenti.
Ci sono persone che si sentono chiamate a separarsi dalla Chiesa cattolica e c’è chi si sente chiamato a continuare a far parte di essa, ma non perché sia la migliore, ma perché il progetto di Dio è per tutti, cosicché l’aspetto più importante è lavorare per il Regno, e non importa da dove lo si faccia, perché alla fine tutti, ciascuno con le sue caratteristiche, saremo Uno.
Quindi queste persone sfuggono di mano alla Chiesa
In generale c’è l’immagine che la Chiesa e la sua gerarchia vogliano controllare tutto, e ciò provoca una svalutazione dell’immagine della Chiesa cattolica.
Queste Chiese cristiane più inclusive, spesso protestanti, hanno favorito l’ingresso delle donne al sacerdozio, hanno aperto porte che erano chiuse
Ne hanno aperte alcune e ne hanno chiuse altre. Quando io sono entrata nella Chiesa cattolica ho trovato uno spazio che sono i monasteri che in altre Chiese avevano eliminato già da molto tempo, ed ho anche trovato la figura di Maria apprezzata in alcuni aspetti, che altre Chiese avevano eliminato.
Nel corso della storia i monasteri hanno funzionato come spazi alternativi per ciò che riguarda il vissuto dei ruoli di genere. Non possiamo affermare che le Chiese protestanti abbiano trattato meglio le donne rispetto alla Chiesa cattolica. Il mio monastero, come tanti altri, nel quotidiano funziona in modo autonomo come comunità di donne governate da una badessa, nella quale noi viviamo senza nessun uomo, in una continuità ininterrotta da secolo XIII.
E’ vero che oggi nella Chiesa anglicana e in alcune Chiese protestanti le donne possono essere consacrate sacerdoti, o vescovi, e che quella cattolica non lo permette ancora. Ma ciò non comporta che queste Chiese siano necessariamente migliori per le donne.
Cosa pensa del matrimonio omosessuale?
Storicamente, quando un uomo diventava maggiorenne riceveva due tipi di beni: il patrimonio che gli veniva lasciato dal padre e che consisteva in beni mobili e immobili, e il matrimonio, che non era altro che il possedere una donna. Con ciò voglio dire che non si tratta di un problema di termini, né di etimologia, né si tratta di preservare la purezza di alcuna parola. Io non parteciperei a nessuna manifestazione che difendesse il concetto che il matrimonio è esclusivamente tra un uomo e una donna.
Lei ha chiesto ad alcuni sacerdoti cosa risponderebbero se si avvicinasse a loro una persona che vuole confessare di essere omosessuale e di sentirsi colpevole
Se questa persona crede che Dio la stia accusando di commettere un peccato per il semplice fatto di essere omosessuale, dovrebbe fare un lavoro di liberazione da questo senso di colpa, che non ha ragione di essere. Credo che non abbia nemmeno senso il concetto che l’atto omosessuale sia in se stesso peccato. Credo che l’atto sessuale omosessuale debba essere valutato con gli stessi parametri di quello eterosessuale.
* Teresa Forcades è monaca benedettina, laureata in medicina e in teologia fondamentale, saggista nel campo della medicina sociale, della teologia trinitaria e di quella femminista (fra i suoi libri più noti, Los crímenes de las grandes compañias farmaceuticas e La teologia feminista en la historia, editi in spagnolo, e La trinitat, avui, in catalano). Teresa Forcades, monaca del Monastero di Montserrat a Barcellona, ha intrecciato studi, vissuti e riflessioni che ne fanno un singolare spirito libero, mai sovrapponibile a una qualsivoglia corrente di pensiero. E’ vicepresidente dell’Associazione di Donne Europee in Ricerca Teologica (Eswtr)
Testo originale: Teresa Forcades