Torturato e rinchiuso nelle carceri egiziane, per aver sventolato una bandiera arcobaleno
Dossier “Egypt: Security Forces Abuse, Torture LGBT People” pubblicato sul sito di Human Rights Watch (Stati Uniti) il 1 ottobre 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte decima
Ahmed Alaa, 24 anni, viene arrestato il 1 ottobre 2017, pochi giorni dopo il concerto dei Mashrou’ Laila, il giorno del suo ventunesimo compleanno, nella città di Damietta, nel nord dell’Egitto. Mentre sta aspettando un amico in macchina, dieci poliziotti in borghese lo aggrediscono per strada, lo picchiano e gli prendono il cellulare, senza identificarsi: “Pensavo fosse una burla, non riuscivo a capire cosa volessero”.
Dopo il pestaggio viene portato di forza al carcere di Damietta; in macchina, i poliziotti lo prendono a schiaffi. Ahmed non conosce ancora le motivazioni del suo arresto, e verrà interrogato per sette ore da parte degli agenti della Sicurezza Nazionale senza la presenza di un avvocato.
Ahmed viene portato per la notte “in una cella simile a una gabbia”, dove deve dormire ammanettato su un tavolaccio di legno, senza cibo né acqua, non può andare da solo al bagno e non può chiudere la porta della cella.
Durante l’interrogatorio gli viene chiesto “Sei frocio?”, “Perché fai cose simili?”, “Hai letto il Corano?”, “Hai mai fatto sesso anale?”.
Gli chiedono anche se abbia sventolato una bandiera arcobaleno al concerto, e Ahmed risponde di sì, perché lui sostiene il diritto all’espressione di tutti. Il poliziotto risponde “La democrazia è un peccato, finirai in prigione per un bel po’”.
Ahmed viene trasferito al carcere maschile al-Qanater del Cairo, dove viene interrogato di nuovo: “Venni interrogato da tre poliziotti, che mi insultarono in ogni modo, dandomi del frocio e del drogato. Minacciarono di incitare gli altri detenuti a stuprarmi se non avessi confessato di aver fatto sesso con altri uomini, ma non lo feci. Volevo soltanto tornarmene in cella per piangere”.
Quattro poliziotti, mentre lo guardano spogliarsi, lo coprono di insulti omofobi. Ahmed viene poi posto in isolamento, con il pretesto della protezione: “Era una cella sotterranea, senza finestre, senza luce, priva di letto e di ventilazione, una coperta sudicia, due bottiglie d’acqua e una pagnotta. Per dieci giorni non ho potuto lasciare la cella. Mi addormentavo piangendo, cantavo per calmarmi e avrei voluto non svegliarmi il giorno dopo”.
Il quinto giorno dell’isolamento c’è un altro interrogatorio, questa volta con Sarah Hegazy, anch’ella detenuta per aver sventolato una bandiera arcobaleno al concerto dei Mashrou’ Leila, con la medesima accusa: “far parte di un gruppo illegale che mira a interferire con la Costituzione” e “promozione della debosciatezza”.
“Mi sentii confortato dalla sua presenza, lei mi sorrise e mi raccomandò di essere forte. Insieme cantammo le canzoni dei Mashrou’ Leila. Sarah parlava con gli islamisti, faceva loro domande e ascoltava attentamente, e trattava tutti con umanità.”
Dopo l’interrogatorio un poliziotto spinge Ahmed per terra mentre un altro gli rasa la testa. Mentre viene riportato in cella i carcerati gli dicono “Se ti lasceranno fuori dalla cella, ti troverò e ti violenterò”, e “Sono cinque anni che non tocco nessuno, e ti faccio succhiare il mio cazzone”, mentre uno dei poliziotti lo costringe a toccarsi i genitali.
Viene così trasferito nel “reparto morale” di un altro carcere, e messo in una cella con altri sette uomini: “Facevamo i turni per dormire: quattro dormivano, e tre rimanevano in piedi, così che potessimo starci tutti”.
Il 1 gennaio 2018, dopo tre mesi di carcere in attesa di processo, Ahmed e Sarah vengono rilasciati su cauzione, ma nonostante questo Ahmed viene detenuto ancora illegalmente dieci giorni, in una località sconosciuta, per “terrorizzarlo”: “Mi dissero che, se volevo essere rilasciato, dovevo ammalarmi gravemente e ‘essere come morto’. I due giorni successivi feci lo sciopero della fame: volevo indebolirmi in modo che mi rilasciassero. Ero pronto a farla finita se avessero prolungato la mia detenzione. Se fossi morto lì dentro, nessuno ne sarebbe stato responsabile”.
Testo originale: Egypt: Security Forces Abuse, Torture LGBT People