Tra vocazione e rifiuto: la sfida delle persone transgender cattoliche nella Chiesa
Articolo di Madeleine Davison pubblicato sul National Catholic Reporter (Stati Uniti) il 24 ottobre 2024. Liberamente tradotto dai volontari del Progetto Gionata.
James Pawlowicz aveva solo diciassette anni quando iniziò a intuire, nel profondo, di sentirsi un ragazzo. Non aveva ancora le parole per dirlo, né la consapevolezza per comprendere cosa stesse vivendo.
Cresciuto a Chicago in una famiglia cattolica molto credente, trovò nella fede un rifugio e un punto d’appoggio.
Ma, per molto tempo, racconta al National Catholic Reporter, non esistevano ancora né il linguaggio né i riferimenti culturali per dare un nome a quella sensazione di diversità che lo abitava. Parlare di identità transgender era allora qualcosa di quasi sconosciuto, soprattutto nei contesti religiosi più tradizionali.
Da bambino, James non si sentiva davvero una bambina, ma le persone attorno a lui lo trattavano secondo le convenzioni sociali. Anche senza usare la parola “transgender”, iniziava già a vivere in coerenza con ciò che sentiva dentro di sé.
Durante gli anni della scuola, il suo modo di presentarsi oscillava: spesso appariva come un ragazzo, e nessuno sembrava turbato. Molti, forse, preferivano semplicemente non chiedere.
Fu solo nel 2022, quando iniziò a pensare seriamente di entrare in una comunità di consacrati, che la sua identità di genere divenne una questione delicata e difficile.
Aveva già completato la transizione medica, viveva da anni come uomo ed era pienamente inserito nella sua comunità di fede, dove si sentiva accolto. Eppure, proprio allora, incontrò per la prima volta il rifiuto a causa del suo essere transgender.
«È stato quando ho desiderato entrare nella vita consacrata e ho confidato a qualcuno di essere transgender che ho sperimentato un vero rifiuto», ricorda. «Solo in quel momento ho capito fino in fondo cosa significasse per me essere transgender. Ho dovuto rinunciare all’idea di essere semplicemente un uomo come gli altri e accettare che la realtà fosse più complessa».
Per otto mesi James visse un intenso cammino di discernimento con i gesuiti. Racconta di aver provato una profonda pace interiore, una certezza che Dio lo stesse chiamando a servire la chiesa cattolica.
Ma quando si avvicinò al momento della scelta definitiva, comprese che non poteva più nascondere una parte così essenziale di sé.
«Sapevo che quella era la mia strada. Ero pronto a lasciare tutto e a dedicare la mia vita ai gesuiti per servire il popolo di Dio», racconta. «Ma sapevo anche che non avrei potuto vivere per sempre tenendo nascosta la mia verità. Sono una persona trasparente, è parte di ciò che sono».
Quando rivelò al suo accompagnatore spirituale di essere un uomo transgender, trovò accoglienza umana ma chiusura istituzionale. Il suo mentore lo ascoltò con rispetto e affetto, ma poco dopo ricevette una telefonata dal direttore delle vocazioni gesuita che mise fine al suo sogno: «Per entrare nella vita consacrata bisogna essere nati maschi e rimanere tali per tutta la vita».
«È stato devastante», confessa James. «Per mesi avevo sognato, mi ero fidato di Dio, avevo creduto che fosse possibile. E poi tutto è crollato».
Dopo quel rifiuto, cercò contatto con altri ordini religiosi, come i francescani, ma la risposta fu sempre la stessa. La vita consacrata, gli dissero, non era accessibile alle persone transgender secondo la dottrina attuale della chiesa cattolica.
Eppure, nella sua parrocchia trovò accoglienza: continua ancora oggi a partecipare ogni giorno alla Messa e a offrire il suo servizio. Lavora in un’organizzazione non profit e collabora in varie attività pastorali, vivendo la fede con serenità e speranza.
Fu proprio il suo accompagnatore spirituale a presentargli fra Christian Matson, eremita diocesano a Lexington, nel Kentucky, il primo consacrato cattolico dichiaratamente transgender.
Prima di essere accolto come eremita nel 2022, anche Matson aveva tentato più volte di entrare nei gesuiti, tra il 2011 e il 2018. Nonostante fosse stato definito un candidato “eccellente”, alla fine la sua candidatura fu respinta a causa della “storia medica”.
Matson racconta che, per quattro anni di seguito, i suoi direttori spirituali presentarono la sua richiesta ai superiori gesuiti di New York, ma ricevettero sempre la stessa risposta negativa.
Le ragioni, spiega, erano due: la presunta “complessità psicosessuale” e il dubbio che una persona che aveva lottato tanto per affermare la propria identità potesse davvero vivere in obbedienza.
«Non mi ascoltavano davvero», dice. «Pensavano che, siccome avevo lottato per essere riconosciuto, non sarei stato capace di obbedire. Ma non è così».
In una delle email di rifiuto, gli scrissero che «i gesuiti non sono un luogo dove nascondersi dalle difficoltà del ministero pubblico». «Se volessi nascondermi – risposi – non cercherei certo di entrare nei gesuiti».
Matson non si arrese. Rifiutò perfino l’offerta di diventare sacerdote episcopale, perché sentiva che la sua vocazione era pienamente dentro la chiesa cattolica.
Nel 2021 fu accolto dal vescovo John Stowe di Lexington, che lo ammise al noviziato come eremita diocesano. Emise i primi voti nel 2022 e li rinnovò per tre anni nel 2023.
Oggi Matson è un punto di riferimento per altri uomini transgender cattolici che si sentono chiamati alla vita consacrata. Il piccolo gruppo che ha creato – come dice lui, “nato in modo spontaneo” – si incontra ogni mese online e una volta all’anno in presenza. È formato da uomini di profonda fede, molti dei quali hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza della discriminazione.
«Bisogna capire che noi siamo qui per l’Eucaristia, per Cristo», dice Matson. «Non vogliamo cambiare la natura della chiesa, ma vivere pienamente il Vangelo. Le nostre vite sono radicate in Cristo».
Il canonista Daniel Quinan, del Minnesota, spiega che casi come questi sono ancora rari ma sempre più attuali. Ogni comunità religiosa, ricorda, ha una propria regola approvata dal Vaticano, e ogni discernimento va valutato singolarmente.
Il diritto canonico oggi si basa ancora sul sesso biologico, il che rende giuridicamente ammissibile il rifiuto di candidati transgender. Tuttavia, sottolinea che la trasparenza e il dialogo dovrebbero essere alla base di ogni vocazione.
A livello teologico e canonico, Quinan non vede alcuna ragione assoluta per escludere le persone transgender dalla vita consacrata. Cita i principi del Codice di Diritto Canonico, in particolare il canone 210, che parla della chiamata universale alla santità, e il canone 597, che stabilisce le condizioni per essere ammessi alla vita religiosa.
«Sarebbe un grave errore – afferma – pensare che l’esperienza transgender sia incompatibile con la vita consacrata. Tutto dipende dal discernimento concreto e dalla relazione con la comunità».
Tra i membri del gruppo di Matson c’è anche George White, trentenne insegnante di religione alla St. Paul’s Catholic School di Leicester, nel Regno Unito. Cresciuto senza fede, decise di farsi battezzare a sedici anni insieme alla sorella gemella, dopo un’esperienza positiva nella scuola cattolica. Quel momento, racconta, fu l’inizio di un cammino che avrebbe cambiato la sua vita.
A ventitré anni White comprese di essere transgender, proprio mentre cresceva in lui il desiderio di consacrarsi tra i Salesiani di Don Bosco, noti per la loro missione educativa. Ben presto capì che, nella chiesa cattolica, quel sogno sarebbe stato impossibile.
Nonostante questo, la sua fede non venne meno. Continuò a sentirsi parte della chiesa, grazie anche a figure religiose che lo accompagnarono con delicatezza. Ricorda in particolare un sacerdote salesiano che gli disse di non sentirsi in colpa per le domande sulla propria identità: «Non è qualcosa da confessare», gli disse. Quella frase gli fece capire che c’era spazio anche per lui.
Oggi George White ritiene di essere l’unico insegnante di religione apertamente transgender in una scuola cattolica del Regno Unito. Ha scritto un capitolo sull’inclusione LGBT nelle scuole cattoliche britanniche nel volume Trans Life and the Catholic Church Today (Bloomsbury, Regno Unito, 2024, 320 pagine).
Nel giugno 2024 ha partecipato alla Outreach Conference, un grande incontro internazionale di cattolici LGBTQ+, dove ha conosciuto di persona Matson e altri uomini transgender cattolici in discernimento.
«Incontrarli mi ha ricordato quanto ancora ho bisogno di esplorare la mia identità – racconta –. Ora so di avere uno spazio dove farlo, ed è una grazia».
Il 23 ottobre 2024, grazie a don Andrea Conocchia, sacerdote italiano da anni vicino alle persone cattoliche LGBTQ+, White, Matson e altri due uomini transgender – tra cui il giornalista Maxwell Kuzma – hanno potuto incontrare Papa Francesco in piazza San Pietro.
Hanno consegnato così al pontefice una copia del libro Trans Life and the Catholic Church Today, con una lettera personale ciascuno.
Dopo essersi presentati come cattolici transgender, il papa ha stretto loro la mano, li ha benedetti e li ha ringraziati. «È difficile descrivere ciò che ho provato», ha confidato White dopo l’incontro.
* Madeleine Davison è giornalista del National Catholic Reporter e si occupa di giustizia sociale, fede e diritti delle persone LGBTQ+.
Testo originale: Transgender Catholics face barriers to religious life, find peace in communities

