Transizioni. Dare un nome a ciò che siamo
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 6.2, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Il nome del fiume Hammond venne in mente a River un giorno mentre stava camminando lungo le rive del fiume Upper Iowa: “Volevo mantenere le iniziali del mio nome originale, quindi volevo un nome che iniziasse per R e lo volevo neutro rispetto al genere, in modo che potesse essere ambiguo, se lo avessi ritenuto necessario”, mi spiegò quando gli chiesi l’origine del suo nome.
“Quando ero al college vivevo vicino al fiume Upper Iowa e percorrevo quel sentiero più volte al giorno pregando e riflettendo. Ero noto per essere associato al fiume. E un giorno mi dissi: “River è una bella parola. Potrebbe essere un nome davvero! E così divenne il mio nome”.
Ma per River trovare un nome è stata una delle cose più facili del suo coming out come trans. Unico figlio di un missionario battista del sud e di una madre fisicamente e mentalmente malata trascorse la prima infanzia spostandosi da un luogo all’altro nel Nord America.
“Abbiamo vissuto una specie di vita nomade, passando da un posto all’altro”, ha detto ripensandoci. “Quando avevo 12 anni abbiamo passato un periodo come senzatetto e quella è stata la prima volta in cui ho capito che in me c’era qualcosa di diverso. Sapevo che stava succedendo qualcosa, non avevo parole – non avevo nulla – ma sapevo che qualcosa era diverso. E quella è stata la prima volta in cui mia madre mi ha chiesto se fossi gay”.
La domanda colse River alla sprovvista, e sperimentò un attimo di riconoscimento e intensa paura. “Sapevo che, a un certo livello, un giorno avrei potuto usare quel linguaggio, ma all’epoca non potevo perché non sarei stato al sicuro”.
All’ultimo anno di college per River nascondersi divenne troppo pesante. Quando prese il diploma si ritrovò a vivere un trauma personale molto complesso e contemporaneamente ad affrontare il coming out. Ha sospirato profondamente quando gli ho chiesto della reazione della famiglia. “Ho fatto coming out per la prima volta coi miei genitori come uomo gay e si è scatenato l’inferno. Un incubo. Sono stato cacciato dalla mia chiesa e da casa per circa tre settimane, un mese”.
Lasciare la casa è stato un vero affare per River che era stato istruito a casa fino al college in modo da poter continuare l’istruzione anche durante gli spostamenti ed essere colui che si prendeva cura della madre in prima persona. Parecchi anni dopo, quando seguendo la sua chiamata al ministero, cominciò a frequentare il seminario, River si trovò a vivere con un gruppo di uomini negli alloggi forniti dal seminario.
Non avendo fratelli o sorelle e non avendo mai vissuto prima insieme ad altri uomini, questo gli offrì l’opportunità di riflettere a fondo su sessualità e genere. “E compresi che non ero gay! C’era qualcosa di molto diverso in me rispetto a quei ragazzi!”. Ma se la sessualità non spiegava la differenza, cosa poteva essere?
River fece ricerche e alla fine del primo semestre stava provando pronomi e nomi diversi, cercando di comprendere come la propria consapevolezza ed esperienza fosse differente da quella delle persone cisgender che lo circondavano. Ad agosto, alla fine di quella prima estate in seminario, cominciò ad elaborare alcune risposte. Fu allora che River trovò il suo nome.
Non tutte le persone transgender trovano immediatamente il nome giusto per loro. Infatti molte persone trans si trovano nella stessa situazione dei loro genitori quando dovevano scegliere un nome – sfogliando libri per bambini, compilando elenchi o pronunciando ad alta voce dei nomi per vedere come suonavano. Potrebbe capitare di provare uno o due nomi prima di trovare quello giusto. Chi vuole mettere in luce una parte della propria personalità potrebbe adottare un soprannome rendendolo più formale.
Altri vogliono consolidare i legami con la propria famiglia e comunità leggendo tutto l’albero genealogico alla ricerca del nome più adatto oppure chiedono ai genitori quali altri nomi erano stati presi in considerazione alla loro nascita.
Molte persone scelgono una caratteristica – o quella che li descrive come sono o chi sperano di diventare – o trovano nomi che hanno significato in una lingua straniera, come Asher che significa felice oppure Valencia che significa coraggioso. Si potrebbe anche scegliere il nome di un personaggio immaginario con cui uno si identifica oppure di cui si ammirano le doti!
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