Trent’anni e gay. Vorrei solo essere me stesso
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Sono Francesco e ho trent’anni. Per me è stato difficile conquistare “la libertà di essere sé stessi”, anche se non mi considero “libero” di vivere come vorrei. Sarebbe troppo bello. Questo traguardo sembra ancora lontano… Mi sembra tutto così assurdo.
Vivo in un piccolo paese della parte orientale del Veneto e, nonostante tanti anni, sono ancora qui e non per mia volontà. Vorrei tanto vivere altrove e cominciare una vita guardando ai ricordi e a questo momento come fossero solo un passato da superare. Ma per ora non è così.
A 17 anni ebbi finalmente la forza di ammettere a me stesso e agli altri di essere omoaffettivo (ancora non accettavo la parola “gay”). Tuttavia ne ero consapevole fin dall’infanzia, età in cui vivevo questo lato della mia personalità senza complessi. Inoltre non ero il solo in famiglia: avevo un fratello gemello, A., ed era come me.
Con il passare degli anni e la scuola, da me tanto amata, i miei timori divennero più tormentosi così come i pregiudizi e il bullismo dei compagni di classe e degli altri studenti. Il momento più pesante fu alla scuola media e da allora iniziarono anni di offese e di bullismo mentre io ero alla ricerca di una mia identità.
Ormai ero al liceo scientifico e, a causa di un lutto familiare e al grigiore della vita quotidiana, cominciai a soffrire d’ansia e di una cupa forma di depressione. Fu in quegli anni in cui mia madre decise di portarmi alla Neuropsichiatria Infantile della cittadina vicina. Intrapresi un percorso psicoterapeutico accompagnato da un aiuto farmacologico. Nonostante questo, la solitudine e il dolore divennero sempre più forti.
Era per me difficile ammettere a me stesso che ero omoaffettivo e soprattutto temevo che ciò venisse comunicato a mia madre. Il momento arrivò durante un periodo di crisi: provavo una forte simpatia per un compagno di classe, andai in crisi fino e fui ricoverato in ospedale. Dopo poco tempo, mi confidai con A. e lui con me e capimmo, dopo anni di silenzio reciproco, di essere entrambi gay.
Il parere degli psicoterapeuti non fu gradito dagli altri familiari, i quali pensavano al nostro orientamento sessuale come la conseguenza di un forte disagio psichico.
Da quel momento in poi, nella loro disperazione e nella mancanza di consigli da parte del medico di famiglia, ci portarono, ancora minorenni, da psichiatri e in reparti psichiatrici; poi, un giorno, nostra madre trovò un unico psichiatra privato per entrambi che confermò, manipolandola, la sua preoccupazione.
Il medico in questione, noto per il suo pesante uso di psicofarmaci e per la sua misteriosa clinica privata nella provincia vicina, cominciò a sostenere che la nostra omoaffettività era la conseguenza di una grave psicosi e che tutto il nostro sistema era saltato.
Ancora penso che a lui non importasse proprio nulla del nostro orientamento sessuale: i suoi interessi erano probabilmente altri. Cominciò un decennio da incubo in cui mi fu imposto di rivolgermi a quel medico, dovetti provare tutti gli psicofarmaci in uso e i familiari (mia madre e il fratello maggiore) continuarono a sostenere che “non ero in grado di sapere quello che dicevo né quello che facevo” e che “ero un sistema saltato”
E così la voce si spargeva nella zona: l’isolamento e l’abbandono divennero soffocanti come pure l’indifferenza altrui, di parenti e conoscenti che sapevano cosa stavo vivendo. Riuscii ad andare all’università contando solo sulle mie uniche forze e accantonando la speranza di poter un giorno vivere un’esistenza tranquilla e serena.
La mia vita poteva al massimo “assomigliare un domani a quella degli altri”. Queste erano le parole che mi venivano continuamente ripetute. Inoltre ero quotidianamente controllato e la mia libertà veniva limitata.
Io e mio fratello non facemmo più parola a casa circa i nostri sentimenti: il desiderio di trovare un giorno il ragazzo della nostra vita divenne uno dei nostri argomenti segreti. Inoltre, nonostante le mie confidenze a colleghi di studio del mio liceo, nessuno si avvicinò per rendermi la vita meno pesante: i contatti erano difficili e sembrava che anche sui miei sentimenti e sul mio desiderio di innamorarmi dovesse calare il silenzio. Sembrava davvero che non ci fosse alcuna via d’uscita.
Solo da tre anni sono riuscito a staccarmi da quello psichiatra privato e sono caduto con A. nel circolo vizioso del servizio pubblico. La situazione a casa, data la crescente consapevolezza della situazione e l’emergere di un forte punto di vista personale, è crollata e l’abbandono è totale.
Nell’indifferenza delle figure mediche, pronte ad omettere il soccorso, a fare violenza psicologica durante gli appuntamenti e a negare la possibilità di fare rete con i servizi sociali territoriali, viviamo ancora in un continuo stato di tensione a causa di una convivenza forzata tra familiari in conflitto e tutti con disagi personali.
Anche la richiesta di aiuto ad alcuni circoli LGBT e la voglia di conoscere degli amici sono stati dei salti nel vuoto: nessuno era disposto a ricambiare, dato il nostro pesante vissuto. Ancora mi chiedo il “perché” di questo totale isolamento, non trovo pace e temo che un giorno il pessimismo abbia il sopravvento.
Spero, comunque, che vincano la pazienza e la speranza in una vita mia in cui sentirmi libero di essere me stesso, di poter fare le mie scelte e conoscere davvero quei sentimenti e quelle emozioni che non ho mai conosciuto.
Un caro saluto,
F.
P.S. Mi auguro che queste vicende non debbano più trovare spazio in lettere come quella che ho scritto io. Sarebbe ora di cambiare pagina, no?
La risposta…
Caro Francesco la tua testimonianza lascia davvero l’amaro in bocca. Quanta sofferenza ti è toccata nei tuoi primi trent’anni di vita, quante persone ti hanno guardato senza vederti e hanno udito le tue parole senza ascoltarle. Non possiamo che concordare con te “sarebbe ora di cambiare pagina”.
Sarebbe bello vivere in una realtà più accogliente, in una chiesa inclusiva e in famiglie che sappiano capire, senza generare tragedie, che il loro figlio gay o lesbica è sempre e solo il loro figlio. Ma Francesco ti assicuriamo che un mondo così già c’è.
Ci sono parrocchie che accolgonoi gruppi di credenti omosessuali senza problemi; psicologi che combattono quei ciarlatani che dichiarano di poter cambiare l’orientamento sessuale delle persone; genitori che, passato lo smarrimento iniziale del coming out dei figli, li accolgono e li supportano nel loro cammino.
Queste realtà non sono dappertutto e, come ci ricordi, non si verificano sempre. Ecco perché è compito di ognuno lavorare, giorno per giorno, perché il mondo cambi sempre in meglio… per tutti e anche per te.
Caro Francesco non ci sono parole per la sofferenza che hai vissuto, ma non possiamo fare a meno di ricordarci che il mondo sta cambiando e noi con lui, perciò è il di non ripiegarci su noi stessi, ma è ora di iniziare un nuovo cammino.
Perciò non lasciarti andare, non arrenderti, non rinunciare a essere “libero” di vivere come senti di essere, in fondo abbiamo una sola splendida, confusa, complicata e incredibile vita. Non rinunciare a viverla.
Un abbraccio forte da tutti noi