Trent’anni in mezzo al guado. Il lungo cammino dei cristiani omosessuali del Guado
Articolo di Silvia Lanzi, volontaria di Gionata, del 11 novembre 2010
C’è un compleanno importante per gli omosessuali cristiani che cade nel 2010: sono i trent’anni di attività del gruppo del Guado di Milano, uno dei primi gruppi di omosessuali cristiani in Italia.
In questi anni tante persone sono passate, per cercare una parola di conforto e di aiuto, molte vi hanno collaborato per essere lievito vivo nella Chiesa della quale si riconoscono parte integrante.
Si tratta di “ un luogo in cui ci si confronta per elaborare insieme un’etica per vivere cristianamente l’omosessualità.” Il Guado, cioè “vuole essere un segno di speranza per tutti coloro che ci incontrano, perché è nella Speranza che, fin da ora, facciamo esperienza della nostra definitiva liberazione.”
Liberazione e comprensione. Perché non ci può essere la prima senza la seconda. E gli strumenti di questa comprensione sono “l’incontro con esperti di psicologia, con esperti di morale e con esperti di pastorale, il confronto fra di noi sulle scelte che siamo chiamati a fare, l’ascolto orante della Parola di Dio e l’attenzione al magistero della Chiesa, sono gli strumenti che ci aiutano in questo cammino.”
Sì perché è questo che caratterizza il Guado, e l’ha caratterizzato fin dalla sua fondazione: l’ascolto di Dio e dei suoi ministri, senza rinnegare la coscienza, l’intelligenza e la capacità di discernimento di cui proprio Dio a fatto dono ai suoi figli.
Un cammino non sempre facile, ma comunque arricchente ed entusiasmante: ne è testimonianza l’attività del gruppo che, dopo trent’anni, non accenna a battute d’arresto. Anzi. Basta dare un occhiata al sito (www.gaycristiani.it), per vedere che l’agenda è fitta di impegni ed incontri.
Tra un appuntamento e l’altro, Gianni Geraci, il referente nonché portavoce del gruppo, è stato così gentile da ritagliare qualche minuto per rispondere ad alcune domande. Eccole, insieme alle sue considerazioni.
Quale è la scintilla che tanti anni fa ha portato alla creazione dei gruppi di omosessuali cristiani?
Credo che la nascita dei gruppi di omosessuali cristiani sia da mettere in relazione con la consapevolezza nuova che, durante gli anni settanta, alcuni omosessuali erano riusciti a maturare rispetto alla loro omosessualità.
Direi che si tratta della stessa consapevolezza che aveva portato Angelo Pezzana e i suoi amici a raccogliere in un unico movimento (che si chiamava FUORI) centinaia di omosessuali sparsi in tutta italia.
Tra queste persone c’erano anche alcuni omosessuali credenti che hanno pensato di creare dei momenti di incontro per vedere in che modo si potevano aiutare le chiese a cambiare il loro atteggiamento nei confronti dell’omosessualità.
Fin da subito fu chiaro che la maggior parte delle persone che si avvicinavano a questo nuovo tipo di esperienza partiva da premesse molto diverse e cercava, fondamentalmente, un ambiente che le aiutasse a superare i sensi di colpa che sentivano rispetto alla loro omosessualità.
Non è un caso che, a poco più di un anno di distanza dalla nascita del gruppo Davide e Gionata a Torino, Ferruccio
Castellano (l’ideatore e l’organizzatore del primo campo di Agape su Fede e omosessualità), avesse scelto di ritirarsi e di non seguire più il gruppo che aveva fondato.
Questa ambivalenza è presente, in forme diverse, nella maggioranza dei gruppi di omosessuali credenti italiani e ha portato, nelle realtà più articolate come il Guado alla nascita di una serie di esperienze concentriche dove, intorno a un nucleo più motivato, che cercava anche la collaborazione con il movimento omosessuale e il confronto serrato con i vertici della chiesa, si è sempre mossa una comunità molto più vasta che vedeva nel gruppo uno strumento utile per risolvere alcuni problemi esistenziali collegati alla condizione di omosessuale credente.
Secondo te quanta parte, se ne ha avuta, il Concilio Vaticano II e il ’68 hanno avuto nella decisione di fondare il Guado?
Il Concilio, secondo me, ha suscitato nel clero quell’atteggiamento di umiltà e di ascolto che ha spinto alcuni omosessuali credenti a cercare nella propria vita le risposte che non riuscivano ad arrivare da una tradizione che non aveva mai considerato l’omosessualità come qualche cosa che avesse a che fare con la dimensione affettiva della vita (l’idea era quella che gli omosessuali fossero degli eterosessuali viziosi o malati che, per loro sfortuna, inseguivano delle forme di intimità sessuale innaturali).
Mi hanno colpito le risposte date dai vari ecclesiastici a cui Ferruccio Castellano si era rivolto per chiedere loro un parere sulla sua condizione di omosessuale credente : «Debbo confessarti la mia
ignoranza» gli aveva risposto il parroco di Torre Pellice; «Non conosco questa realtà che sottoponi alla mia attenzione» gli aveva detto il vescovo di Pinerolo e l’aveva mandato da don Luigi Ciotti, quel prete che a Torino, iniziava ad occuparsi di tutte le situazioni di marginalità che interpellavano la chiesa.
Una chiesa che riconosce la propria ignoranza su certi aspetti dell’esperienza umana e che chiede ai credenti che vivono questi aspetti di aiutarla a capire è stata senz’altro un frutto del Concilio Vaticano II.
Non è un caso che la Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo inizi con una vera e propria professione di empatia nei riguardi dell’esperienza umana: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
In questo senso i nostri gruppi sono figli del Concilio Vaticano II, perché dal Vaticano II, hanno imparato che la chiesa, se vuole essere davvero cattolica, non può non accogliere e comprendere l’esperienza delle persone omosessuali.
Quanto al sessantotto non credo invece che ci sia un’influenza diretta sulla nascita dei primi gruppi di omosessuali credenti.
Semmai l’influenza diretta va ricercata in tutti quei movimenti che, nella seconda metà degli anni settanta, hanno dato vita a quella che adesso definiamo come «rivoluzione sessuale». E’ stato all’interno di questi movimenti che è maturata negli omosessuali quella coscienza della loro
affettività che li ha portati a vedere se stessi e la loro omosessualità in un modo radicalmente nuovo.
La vicinanza e la partecipazione attiva di una componente protestante – nella fattispecie anglicana – cosa ha significato e cosa significa nella vita del vostro gruppo?
Lo stile con cui il Guado si è mosso, fin dalle origini, non era quello di cercare un’altra chiesa che fosse più accogliente di quella cattolica.
Piuttosto lo sforzo era quello di aiutare le singole chiese con cui si veniva in contatto a diventare più accoglienti nei confronti dell’omosessualità.
Con le chiese protestanti storiche, la cosa direi che è riuscita, anche grazie al superbo lavoro fatto, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, dalla Rete evangelica Fede e omosessualità.
Nella chiesa cattolica, invece, la sconfessione di alcune aperture del Concilio ha provocato un progressivo irrigidimento che ha fatto diventare sempre più difficile il nostro lavoro.
In ogni caso, nella vita del Guado, la valenza ecumenica è molto importante, perché ci ha insegnato a rispettare le diverse sensibilità delle persone che si sono avvicinate a noi.
A quanto ho potuto notare, privilegiate un approccio “culturale” rispetto al cristianesimo – organizzando dibattiti, presentazioni di libri, proiezione di film e quant’altro. E’ sempre stato così? E perché questo taglio?
Non credo che la domanda sia corretta: ridurre il cristianesimo ai momenti di preghiera o alla celebrazione dei sacramenti significa dimenticarsi il significato stesso della vita cristiana che, appunto, è una vita e non una liturgia avulsa dalla vita concreta che è fatta di tante cose, alcune di queste hanno una maggiore visibilità (le attività culturali ad esempio, ma anche le lectio divine che proponiamo tutti i mesi ormai da molti anni), altre sono più discrete, come i momenti di amicizia che le persone vivono o le cene del sabato sera, che ormai sono diventate uno dei momenti più importanti della vita del Guado.
Quello che invece si può dire è che le attività che il Guado propone trascurano il confronto e la condivisione dei vissuti, visto che quasi tutti gli incontri si strutturano intorno a conferenze introduttive che lasciano poco spazio alla comunicazione interpersonale.
E non è un caso che, proprio quest’anno, per superare questa carenza siano partiti i Martedì del Guado che, appunto, si definiscono come un «Percorso di crescita tra Fede e omosessualità» e che hanno come obiettivo principale quello di aiutare le persone che ne sentono il bisogno di confrontare le esperienze di vita.
Come si pone la Chiesa, la gerarchia ecclesiastica, milanese, nei vostri confronti?
Nel 1997, l’allora presidente del Guado, che si chiamava Francesco Roccia, aveva scritto una lettera al cardinal Martini per lamentare il fatto che, dopo che don Goffredo Crema aveva fondato il gruppo di Cremona, il Guado non aveva più un prete che venisse a celebrare la messa per noi.
Il cardinal Martini ha risposto e ci ha indirizzati a uno dei suoi vicari episcopali che ci ha ascoltato e che, soprattutto, ci ha fatto capire alcune cose importanti: che un gruppo che vuol vivere in maniera corretta la sua appartenenza alla chiesa non deve costruirsi i suoi momenti liturgici privati, ma che deve fare riferimento alla comunità in cui si muove.
Con alcune difficoltà iniziali abbiamo preso contatto con il parroco della parrocchia in cui eravamo e abbiamo iniziato un cammino che continua ancora adesso nella nuova parrocchia in cui abbiamo trasferito la sede nel 2004.
Quindi, trent’anni di cammino proficuo cui ne seguiranno, c’è da augurarsi, almeno altrettanti.
Che aggiungere allora se non un cordiale buon lavoro?